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Il Foglio Rassegna Stampa
15.03.2004 Contro il terrorismo
unità mondiale. lo dice Israele che purtroppo se ne intende

Testata: Il Foglio
Data: 15 marzo 2004
Pagina: 3
Autore: la redazione
Titolo: «Per l’israeliano Avi Pazner ci vuole unità d’azione mondiale»
Il Foglio, pag. 3, "Per l’israeliano Avi Pazner ci vuole unità d’azione mondiale", un pezzo interessante con l'opinione di chi il terrorismo lo vive quotidianamente nel proprio paese.
Roma. "Il modus operandi negli attentati di Madrid sembra convergere verso la pista di Al Qaida", dice Avi Pazner, ex ambasciatore d’Israele a Roma, oggi portavoce del governo israeliano, nonché presidente mondiale del Keren Hayesod, l’organizzazione di solidarietà al sionismo che ha appena riunito i soci
italiani per una conferenza di Michael Ledeen all’Excelsior. "Certo Israele è in prima linea e soffre più degli altri. Lo dimostrano gli ultimi due attacchi suicidi domenica pomeriggio nel porto di Ashdod, 8 morti, 30 feriti. Ma ora anche l’Europa è colpita dall’offensiva del terrorismo islamico contro i valori
della democrazia, che sono i nostri". Se uno accenna alle bugie del governo sui responsabili della strage e allo sdegno dei pacifisti ‘verdad y paz’, Pazner si schermisce: "Non conosco bene la situazione spagnola. Ma il terrorismo è diventato una minaccia su scala mondiale. Alla quale bisogna rispondere in modo globale. Commuove vedere dodici milioni di spagnoli manifestare contro il terrorismo. Può servire contro l’Eta. Se però dall’altra parte non c’è l’Eta, ma una combinazione tra l’Eta e il fanatismo islamico, serve a poco. Non confonde i terroristi, tutt’al più li fa sorridere. Per sconfiggere il terrorismo islamico ci vuol altro. C’è bisogno di un accordo tra tutti i paesi democratici, non solo l’America, l’Europa, ma anche l’India, la Russia, l’America Latina. Bisogna mettersi insieme, scambiarsi informazioni. Da soli non ce la facciamo. Dobbiamo unire le forze in un’azione comune dei nostri
servizi di sicurezza, della polizia, dei ministeri degli Interni. Dobbiamo arrestare i terroristi, seguirli, disarmarli, confiscare le armi, smantellare le infrastrutture politiche, come abbiamo fatto noi israeliani nei territori palestinesi". Sembra difficile riuscire a fare la stessa cosa in Europa, dove Francia e Germania in fatto di terrorismo e di guerra all’Iraq seguno un’altra dottrina. "La guerra in Iraq forse è una delle ragioni, ma non la principale. Aver partecipato o non aver aver partecipato alla guerra contro Saddam Hussein
cambia poco o nulla. Il fatto è che il terrorismo islamico è un fenomeno più profondo. Non nasce dall’invasione dell’Iraq e dalla caduta di Saddam. Nasce in Iran ventitrent’anni fa. Lancia i suoi tentacoli in Arabia Saudita, in
Afghanistan, e oggi nega tutti i valori delle nostre società, perché vede un pericolo culturale e flosofico nei valori della democrazia liberale". Questi valori per noi sono universali, ma per metà del mondo islamico sono soltanto occidentali e quindi sospetti. "E’ questo il punto. Sono valori pericolosi per l’Islam, o per le frange minoritarie dell’Islam fanatiche, pronte a tutto per distruggerli. L’attacco dell’11 settembre contro le Twin Towers, e contro il Pentagono era un attacco contro i valori dell’Occidente. I terroristi islamici sapevano che gli Stati Uniti non sarebbero scomparsi. Ma volevano segnare il punto, riscattare il senso di impotenza che da tre secoli li attanaglia". Riusciremo a vincere il terrorismo? Avi Pazner – l’unico ebreo di Danzica fra i nati nel 1937 sopravvissuto alla Shoah, grazie alla fuga in Svizzera due mesi prima dell’invasione nazista – è ottimista. "Non in un un mese, nemmeno in un anno, ma alla lunga sì. Se ci mettiamo insieme con tutte le nazioni che hanno a cuore i nostri valori, saremo i più forti. La condizione però è l’unità d’azione, senza la quale siamo più vulnerabili". L’idea che Israele entri a far parte dell’Unione europea in questo senso sarebbe strategica?
"Quella di Marco Pannella mi sembra una buona idea, Israele fa già parte dell’Europa in senso religioso, storico e culturale. Se lo diventasse anche in senso politico, si eviterebbe molti problemi. E’ quel che pensa l’ottanta per
cento della popolazione israeliana".
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