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La Stampa Rassegna Stampa
11.03.2004 Un faraone in ascesa nella diplomazia mondiale
i retroscena del viaggio di Mubarak in Europa

Testata: La Stampa
Data: 11 marzo 2004
Pagina: 12
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Mille facce e mille ruoli per il leader egiziano»
Sulla Stampa di oggi, Fiamma Nirenstein illustra ai lettori i motivi per cui L'Egitto si stia rivelando fattore decisivo per il nuovo Medio Oriente.
Ecco l'articolo.

Che cos’è tutta questa attività diplomatica nel Medio Oriente, specialmente collegata all’Egitto? Perché il ministro Frattini incontra Mubarak proprio mentre il capo dell’intelligence egiziana, Suleiman, vede prima Sharon e subito dopo Arafat, e intanto finalmente Sharon e Abu Ala avrebbero deciso di sedersi allo stesso tavolo? Perché Silvan Shalom, il ministro degli Esteri israeliano, è in visita oggi da Mubarak che ha appena visto Blair? Per quale ragione i tre inviati del governo di Bush tornano in Medio Oriente e Sharon sta per partire? Come mai si parla addirittura di contatti segreti di Israele con il Sudan e con la Libia? La risposta risiede in un sommovimento storico grande e in uno più piccolo, e il secondo diventa sempre più essenziale al primo.
Il grande movimento è quello che vola sulle ali del previsto incontro dei G8 a Savannah, dove, a giugno, sarà presentata l’«Iniziativa del Grande Medio Oriente» che promana direttamente dalla dottrina Bush per la democratizzazione della regione come arma per combattere il terrorismo e migliorare la situazione di un’area in cui il 40% della popolazione è analfabeta e un terzo vive con meno di due dollari al giorno. Le voci ufficiali e gli intellettuali dei Paesi coinvolti si adoperano per ripetere che non accetteranno mai soluzioni imposte dall’esterno: la verità è che si soppesa quanto il futuro possa essere promettente. L’Egitto non è in condizioni diverse, ma avendo il pregio di aver fatto la pace con Israele si trova in posizione privilegiata. Potenza, anche, della «moderazione» di un leader che tuttavia governa con pugno duro il Paese e che spende il 30% del denaro pubblico in missili, aerei e carri armati, in gara con Israele, ricevendo ingenti aiuti americani.
Il secondo movimento in vista: il disimpegno da Gaza che Sharon è deciso a intraprendere in tempi brevi (tempi da elezioni americane, tempi per rassicurare che il cambiamento post-Iraq c’è stato, che i terroristi lo vogliano o no). Bush capisce ormai che un grande sgombero dai territori è pur sempre una bella acquisizione per la pace, o appare tale: all’inizio si era opposto a una mossa unilaterale, affezionato com’è alla Road Map. Ma Sharon ha assicurato che la Road Map tornerà a essere la sua strada. Gli Usa chiedono la promessa da parte del primo ministro israeliano che allo sgombero seguiranno altri sgomberi, stavolta nella West Bank; in più, è richiesta la garanzia della tutela araba affinchè Gaza non diventi una zona franca per Hamas e altre organizzazioni terroristiche. Qui l’Egitto diventa fondamentale: se gli egiziani non ci badano, dai tunnel sotto il confine seguiteranno a entrare quantità pericolose di armi di contrabbando; e dall’altra parte potranno infiltrasi in Egitto terroristi palestinesi ed Hezbollah, cioè integralisti all’attacco del regime.
Mubarak vede qui un rischio e un’opportunità. Il rischio da evitare in ogni modo: essere visto come un poliziotto degli israeliani e degli americani; l’opportunità: che Frattini, l’Europa, gli Usa capiscano che l’Egitto avrà bisogno di consenso e sostegno. Perché i palestinesi, una volta sgomberata Gaza, si volgeranno alla loro area naturale, il mondo arabo, e non a Israele, e ci sarà bisogno di posti di lavoro e infrastrutture. Ma guai a pensare che Mubarak voglia mettersi in un ruolo che verrebbe considerato subalterno dai suoi: per questo Suleiman è andato a parlare con Arafat dei ventimila uomini della sicurezza che ha a Gaza (non toccata dall’operazione «Muro di Difesa», integra qìuanto a forze dell’ordine) e di Mohammed Dahlan, l’ex ministro che è rimasto fedele ad Abu Mazen, un boss in grado - unico - di controllare gli armati di Al Fatah che possono contenere Hamas.
Mubarak capisce che il suo atteggiamento su Gaza lo porta diritto nell’occhio del ciclone, ma lo rende anche la pupilla dell’occhio del cambiamento auspicato ormai da tutto il mondo. E cammina sul filo tipico del comportamento egiziano nel corso degli anni: Il Cairo non ha mai consentito il libero scambio con Israele, ha persino favorito sulla stampa e sulla tv statale l’antisemitismo, si è conservato la libertà di dire e fare tutto quello che pertiene al custode panarabo della fede e dell’identità del suo mondo, compresa l’animosità verso gli Usa e l’odio verso Israele.
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