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Panorama Rassegna Stampa
10.03.2004 Il processo dell'Aja in crisi
ecco perchè

Testata: Panorama
Data: 10 marzo 2004
Pagina: 117
Autore: Enzo Bettiza
Titolo: «Processi fallimentari»
Riportiamo l'articolo di Enzo Bettiza sulla dubbia validità del processo dell'Aja alla barriera difensiva in Israele. E' su Panorama di questa settimana, a pagina 117.
La veemente disputa sulla legittimità della muraglia di sicurezza in corso di costruzione, per volontà del governo israeliano, tra Israele e la Cisgiordania è approdata dopo mesi di polemiche alla Corte internazionale dell'Aia. È stata l'Assemblea generale dell'Onu a decidere con 90 voti a favore, 8 contrari, 74 astensioni, il trasferimento all'esame e al verdetto improprio d'una corte di giustizia una delle più spinose questioni politiche del momento. La battaglia mediatica e diplomatica, che è ora in pieno svolgimento, suscita tre problemi collegati.

Il primo è d'ordine insieme storico e nominalistico. Gli avversari di Israele, quasi sempre predominanti nelle decisioni assembleari dell'Onu, usano chiamare la barriera di difesa «il Muro» per alludere a quello notoriamente ignobile che nel 1961 spaccò Berlino. Gli antisraeliani preferiscono ignorare il paragone coi muraglioni che da decenni separano gli Stati Uniti dal Messico, l'India dal Pakistan, la Corea del Sud da quella del Nord. Preferiscono colpire l'immaginazione della comunità internazionale evocando «il Muro della vergogna»: quello che aveva trasformato la capitale dell'Est tedesco in un micidiale lager nazicomunista, con fuggiaschi fulminati dai vopos, famiglie amputate, ferrovie e strade interrotte fino al 1989. Si dimentica che la Stasi, il servizio segreto della Germania orientale, aveva avuto a che fare coi primordi del terrorismo palestinese e con la messa a punto degli apparati di repressione di diversi stati arabi un tempo filosovietici. Oggi prevale la tendenza a dipingere Israele come erede naturale dei totalitarismi germanici.

Il secondo problema è di natura squisitamente etica. Ridotto all'essenziale, il paragone tra i due muri non regge. Il Muro maiuscolo voluto da Nikita Krusciov e da Walter Ulbricht era stato eretto contro la libertà e contro la vita. La barriera protettiva voluta da Ariel Sharon è costruita contro il terrore e la morte. Una volta fissata questa centrale differenza di senso e di scopo della costruzione israeliana, penso che le altre questioni collegate ai diritti e ai legittimi interessi palestinesi (lunghezza, durata, tracciato della barriera tra insediamenti ebraici e abitati arabi) potranno diventare oggetto di negoziato se e quando cesseranno le incursioni genocide in Israele.

Il terzo punto è d'ordine internazionale. Esso coinvolge da un lato la parzialità delle maggioranze terzomondiste e arabofile delle Nazioni Unite, che hanno favorito l'accumulo nel tempo di centinaia di mozioni e risoluzioni antisraeliane; dall'altro denuncia l'ambiguità e il funzionamento assai poco efficiente dei tribunali transnazionali dell'Aia. Già la recente Corte per i crimini di guerra, quella che dovrebbe decidere la sorte dell'ex presidente serbo Slobodan Milosevic, stiracchia le sue interminabili udienze fra contestazioni giuridiche e intoppi d'ogni genere; escussioni di centinaia di testimoni, assenze del grande imputato per motivi di salute, riduzione delle giornate procedurali a tre per settimana; infine, come se non bastasse, le strane e inattese dimissioni del presidente britannico della Corte. Si calcola che il procedimento barcollante, che sta favorendo sempre più la posizione di Milosevic, potrebbe durare oltre il 2006.

Che dire allora della patata bollente caduta sui banchi dell'antica e più rinomata Corte di giustizia dell'Aia? L'assemblea dell'Onu le ha delegato e quasi imposto l'obbligo di formulare un giudizio che, andando al di là del «muro» antiterroristico, dovrebbe in qualche misura condannare la politica di uno stato in quanto tale. Non solo sembrerà un processo intentato ai morti e ai morituri più che ai carnefici. Sembrerà, soprattutto, un'indebita ingerenza legalista e moralista in un affare che attiene alla politica e che soltanto la buona volontà politica potrà un giorno risolvere.
Avremo pertanto all'Aia un ennesimo fallimento dopo quello della road map. Sono ben altre le misure e le terapie internazionali che possono abbattere le barriere tra i bombaroli suicidi e le loro vittime. Già l'Onu di per sé, a causa dell'eterogenea e squilibrata composizione degli stati membri, è un tribunale politico di dubbia consistenza e credibilità. Quanto ai tribunali veri, anche se importanti come quelli dell'Aia, essi si qualificano sempre meno come sedi idonee a giudicare fatti e personaggi politici.
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rossella@mondadori.it

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