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Il Foglio Rassegna Stampa
03.03.2004 Islam contro Islam
le nuove strategie del terrorismo.

Testata: Il Foglio
Data: 03 marzo 2004
Pagina: 1
Autore: un giornalista
Titolo: «Islam uccide islam»
Riportiamo l'articolo pubblicato sul Foglio in prima pagina, che spiega in modo molto accurato la nuova strategia del terrorismo.
Roma. Centocinquanta sciiti uccisi in due attentati a Karbala e Baghdad, centinaia i feriti; nelle stesse ore 37 sciiti falciati da una sparatoria a Quetta, in Pakistan, centinaia i feriti. Ancora: un ulema sciita ucciso sempre in Pakistan e uno in Afghanistan, a Kabul, durante scontri che provocano anche 16 feriti. La furia degli attentatori si rivolge contro e dentro le moschee sciite o, a Quetta, con raffiche di mitraglia contro una processione. Le modalità, gli obbiettivi e la contemporaneità degli attentati fanno della giornata di ieri una data di svolta e spiegano la genesi, tutta interna al mondo musulmano, del terrorismo islamico. Il fardello agghiacciante dei morti, musulmani uccisi da musulmani, la tecnica blasfema di attentati nelle moschee e contro processioni religiose, e i tanti precedenti (più di 100 sciiti uccisi
nell’ultimo anno in Pakistan: 48 il 5 luglio, sempre a Quetta, sempre in una
moschea) rendono evidente l’essenza strategica del terrorismo islamico. Non è un movimento provocato dall’intervento in terra d’Islam dell’"imperialismo americano", anche se combatte contro gli Stati Uniti e contro le forze che hanno liberato l’Iraq; non è un fenomeno che si può tutto comprendere e
spiegare con la vocazione antioccidentale. La ferocia e la contemporaneità tra
gli eccidi di sciiti in Iraq, Afghanistan e Pakistan dimostrano che questo terrorismo è espressione non tanto di un’organizzazione, quanto di uno scisma religioso, rivolto contro i musulmani "idolatri" (gli sciiti) come contro gli "imperialisti infedeli". E’ l’identica caratura del terrorismo islamico inter-sunnita, che dal 1991 insanguina, con 150 mila vittime, l’Algeria
(dove non vi è presenza degli Stati Uniti, né questione israeliana), con più di 900 morti solo nel 2003. I terroristi – non solo di al Qaida – autori di questi massacri (tutti di alveo wahabita, come bin Laden e come il giordano Musab al Zarqawi, suo luogotenente in Iraq) non hanno di mira solo il processo di democratizzazione in atto a Baghdad (ovvia lettura delle cancellerie occidentali), ma anche e soprattutto la conquista dell’egemonia del loro credo scismatico nei confronti dei musulmani "idolatri", impuri: gli sciiti, innanzitutto. Dopo lunghe, sotterranee premesse, dopo la scia di attentati degli ultimi anni in Pakistan e Afghanistan, le stragi dell’Ashura segnano l’affermarsi di una "guerra di religione", di sunniti wahabiti contro sciiti, di dimensioni quali mai l’Islam aveva conosciuto. Con un terribile precedente: l’attacco in armi, del 21 aprile 1802, della setta saudita degli wahabiti sempre contro il mausoleo dell’Imam Hussein a Karbala, che fu saccheggiato, con centinaia di morti, sempre nel giorno dell’Ashura. 202 anni dopo, riemergono le identiche radici religiose: i "salafiti" wahabiti scatenano il Jihad contro gli sciiti, accusati di idolatria, perché adorano oltre ad Allah, anche i loro dodici Imam, attendono messianicamente il ritorno dell’"Imam celato" e celebrano, nel giorno dell’Ashura, come ieri, il martirio nel 680 d.C. del quarto imam, Hussein, nipote di Maometto, divinizzandolo (secondo gli wahabiti). L’attentato di ieri a Karbala è dunque una perfetta ripetizione del gesto iconoclasta dell’Ashura di due secoli fa e ha sugli sciiti lo stesso impatto orrorifico che avrebbe per i cristiani un attentato dentro San Pietro il giorno di Pasqua.

Un terribile sospetto
In Iraq, come in Pakistan e in Afghanistan (dove 25 mila sciiti Hazara furono massacrati dai Talebani negli anni 90) si sviluppa dunque una guerra di religione inter-musulmana, che s’intreccia con il contrasto ai democraticiiracheni e ai soldati della "coalition of willing". Alla luce delle stragi di ieri, assumono una dimensione diversa anche l’uccisione del più popolare leader iracheno, lo sciita Bagher al Hakim dello Sciri, e l’attentato cui è sfuggito lo stesso grande ayatollah Ali al Sistani. Attentati politici, ma
soprattutto parte di un nuovo Jihad scismatico. Con in più il sospetto, più volte espresso dai leader iracheni, che i santuari di questi terroristi siano in Arabia Saudita, regno wahabita, fondato da Abdulaziz Ibn Saud con l’aiuto della setta estremista degli Ikhwan, da lui poi massacrati alla fine degli anni 20, il cui messaggio di sangue, carsicamente, riemerge oggi sulla scena dell’Islam.
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