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La Stampa Rassegna Stampa
29.02.2004 Una barriera che aiuterà la pace
E' l'opinione di Elie Wiesel

Testata: La Stampa
Data: 29 febbraio 2004
Pagina: 14
Autore: Alain Elkann
Titolo: «Il muro protegge la vita di tutti»
Il "muro" e altre riflessioni nella parole di Elie Wiesel nell'intervista apparsa sulla Stampa del 29-02-04 di Alain Elkann.
NON credo che sia un muro, è una barriera». Elie Wiesel, il premio Nobel per la pace che ha dedicato la vita a difendere la memoria dell’Olocausto, commenta così le polemiche sulla costruzione decisa da Sharon e sui dubbi che ha sollevato nel mondo.
Che cosa ne pensa, Wiesel?
«Io non l’ho visto, ma conoscendo bene Israele e i dirigenti politici penso che lo scopo del muro sia soprattutto la sicurezza, non è una questione politica. Il muro è probabilmente il modo migliore per cercare di impedire ai terroristi di penetrare in Israele e fare terribili atti terroristici. Se il muro è stato fatto per proteggere le vite, protegge naturalmente non solo gli israeliani ma anche tutti i palestinesi e gli altri che vivono in Israele. Bisogna però che ci siano dei negoziati, che il processo di pace vada avanti. Così, il muro potrà anche sparire in pochissimi giorni...».
I muri, in genere, durano a lungo. Non crede?
«Sì, ma come ho detto questo non è un muro. Bisogna cercare in ogni modo di arrivare alla pace e di creare due Stati sovrani che vivano in pace uno accanto all’altro: questo è l’inevitabile destino».
La questione è arrivata al Tribunale dell’Aja...
«Ma come si può pretendere che un tribunale salvi delle vite umane?»
E l’antisemitismo che rinasce in Europa, lei come lo giudica?
«E’ un flagello che si rifiuta di morire e molti rifiutano di seppellirlo. Il mio è un sentimento di disfatta, pensavo che dopo Auschwitz l’antisemitismo e i pregiudizi razziali fossero definitivamente morti. Ho incontrato ebrei in Europa che mi chiedono: quando dovremo andarcene? L’antisemitismo è la conseguenza dell’odio. L’odio per gli ebrei è l’odio per i diversi, per gli altri. Bisogna mettere fine a tutto questo».
Ma si può mettervi fine?
«Anche se non si può, bisogna. Bisogna fare una priorità assoluta. Il flagello deve sparire».
Che cosa pensa del film di Mel Gibson che suscita tanta polemica?
«C’è stato un marketing esemplare per questo film su Gesù pieno di misteri e che nessuno poteva vedere. Non si può guardare la televisione negli Stati Uniti senza vedere qualcosa che riguarda questo film. Certo è inquietante mostrare che sono stati gli ebrei che hanno strillato alla morte di Gesù...».
Quindi essere un ebreo oggi è ancora difficile?
«Sì. Ma io ogni giorno scelgo invece di essere ebreo, sono contento di essere chi sono e cerco di essere universale all’interno del mio ebraismo».
Molta gente separa nel suo giudizio Israele dagli ebrei.
«Sì, gli israeliani sono ebrei israeliani, io sono un ebreo della Diaspora, ma sono legato a Israele e quando succede qualcosa a Israele mi tocca profondamente. E’ vero che c’è chi è antisionista e non antisemita, anche alcuni ebrei sono antisionisti, ma non bisogna andare oltre certi limiti».
Che cosa sta facendo in questo periodo?
«Sempre le stesse cose: scrivo e insegno. Vorrei non viaggiare e invece viaggio sempre da Israele alla Grecia, dal Belgio alla Francia all’Italia. Non posso dire no, bisogna andare. Sono contro la neutralità passiva e l’indifferenza. Se si può aiutare bisogna provarci».
Lei ha provato anche ad aiutare Primo Levi, invano...
«Sì, sentivo che soffriva, era un mio amico. Nell’ultima telefonata era addirittura disperato. Gli ho detto di venire in America, che mi sarei occupato di lui. Ma ormai era troppo tardi».
Perché?
«Non lo so. Le ragioni di un suicidio sono personali. Era una ricaduta nella sofferenza. Forse era troppo per lui. La categoria degli scrittori è quella che dopo Aushwitz ha avuto più suicidi».
E come vede il mondo?
«Male, con il fanatismo e il terrorismo. I terroristi che si vogliono creare un posto al sole uccidendo. Si parla di terrorismo biologico, nucleare: ma è appena cominciato. Speravo che questo secolo sarebbe stato migliore. Pensavo che ci saremmo potuti liberare dei fantasmi del Novecento».
Lei è pessimista?
«Non ho il diritto di esserlo. Se fossi solo forse lo sarei, ma penso ai miei allievi e ai ragazzi per strada e soprattutto quando non esiste una ragione di sperare bisogna inventarsela».
Crede in Dio?
«Sì, ma la mia fede è una fede ferita».
Wiesel, lei è uomo di destra o di sinistra?
«Né l’uno né l’altro, sono un uomo indipendente. Credo nei diritti dell’uomo. Ho sempre combattuto per le cause dei più deboli. Non sono iscritto a nessun partito».
Quali sono le cose importanti della sua vita? Quelle che la commuovono?
«La musica, la bellezza e il sorriso dei bambini. Soprattutto i bambini: sono i più vulnerabili. Gli adulti fanno le guerre e i bambini muoiono. Gli adulti si detestano e sono i bambini che sono umiliati. Ho visto che i bambini del mio popolo erano i primi a essere scelti come bersagli del nemico».

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