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La Stampa Rassegna Stampa
28.02.2004 Notizie dall'interno dell'OLP
Palestina corrotta e autoritaria. Lo racconta Fiamma Nirenstein

Testata: La Stampa
Data: 28 febbraio 2004
Pagina: 13
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Arafat,la tua Palestina è corrotta e autoritaria»
TRECENTO DIRIGENTI DI AL FATAH SI SONO DIMESSI PER PROTESTA
Uno sguardo all'interno del potere di Arafat. In un articolo di Fiamma Nirenstein. Un'osservazione: argomento delicato, certo, ma perchè i nostri "grandi" editorialisti non hanno la stessa curiosità, perchè non gli interessa andare a vedere cosa capita in "Palestina" ?




GERUSALEMME
Scagliare una penna con rabbia contro il raìs in persona, contro Yasser Arafat, persino se lui ti ha appena lanciato addosso un microfono, sarebbe stato un gesto impensabile fino a poche settimane fa: e invece Nasser Youssuf, suo consigliere sulla riforma dei servizi di sicurezza, l’ha fatto giovedì sera: prima l’ha accusato pubblicamente di aver rovinato i palestinesi, di essere fallito con l’Intifada nei suoi scopi, e poi, bersagliato, ha risposto. Dopo un ulteriore scambio di insulti, Arafat si è allontanato. E’ accaduto durante il consiglio di Al Fatah riunitosi a Ramallah per la prima volta in tre anni nel segno dell’ansia e del tentativo di fronteggiare una crisi grave nel potere palestinese. La riunione ieri è arrivata al suo terzo giorno; in apertura Arafat aveva annunciato ai 130 membri del consiglio rivoluzionario che lo scopo principale era quello di riaprire il discorso con Israele sulla pace e la sicurezza; ha anche promesso le elezioni del Consiglio che dovrebbero aver luogo ogni cinque anni, e che non si vedono da quindici. Ma il segnale più pesante che ha spinto Arafat a convocare l’incontro è stato il documento di dimissioni firmato da più di trecento membri della leadership di Fatah.
E non è tutto: la strategia di Arafat definita da Khaled Abu Toameh, un famoso giornalista arabo, «tecnica del caos organizzato» è in difficoltà. La piazza palestinese, secondo Abu Toameh, è convinta che tre anni di violenza e 3000 morti le abbiano conferito il diritto di farsi sentire e di chiedere la fine dello strapotere poliziesco e della corruzione rampante del governo; quindi, non sopporta più il continuo scontro interno delle forze di sicurezza per evitare che troppo potere si concentri in poche mani. Di fatto, è la povera gente che ha pagato lo scontro di fazioni: mentre i media, dice un esperto israeliano di palestinesi, Dan Diker, si sono focalizzati sul terrorismo e sulle risposte dell’esercito, schiere di palestinesi sono stati uccisi dall’anarchia regnante; a Nablus attacchi di gang hanno fatto dozzine di morti. Il conflitto è sui racket dei furti di macchine, traffici di droga, estorsioni; spesso si è usato il paravento dell’accusa di collaborazionismo. Il dissenso è divenuto anche politico ed intellettuale: il 29 gennaio, il giorno dopo un attacco terrorista suicida, l’ex consigliere di Arafat Imad Shakur ha scritto un editoriale sul giornale arabo edito a Londra «Asharq al-Awsat» in cui biasima Arafat per «aver fallito nel governare e aver trasformato l’Autorità Palestinese in un amalgama di fronti e di milizie dominate da estremisti». Un esempio di quello che anche Abu Ala ha chiamato «il caos delle armi» è accaduto il 24 febbraio 2004, ricorda Abu Toameh, quando uomini armati hanno aperto il fuoco contro il ministro della sanità Jawad Tibi, o quando Mohamed Dahlan, ex ministro della difesa di Abu Abbas, ha attaccato Ghazi Jabali, commissario militare di Arafat per Gaza. Questi episodi sono legati al rifiuto di Arafat di unificare i servizi di sicurezza, come invece Abu Ala vorrebbe, ma non riesce a ottenere, pena la cacciata. Abu Mazen ha già pagato per questo stesso motivo. Imad Shakur nell’articolo chiede a Arafat di mettere fine all’Intifada e a disarmare i gruppi terroristici come i Tanzim. Il suo pezzo, invece di sparire dalla circolazione, è stato ripubblicato dai giornali palestinesi Al Ayam e Al Quds e da un giornale giordano, A-Rai. La stampa nel suo insieme, dopo la scoperta di nuovi scandali economici legati alla figura di Arafat, è in prima linea. Così, giornalisti di Ramallah e di Gaza sono stati picchiati da attivisti mascherati di Fatah; ci sono stati episodi di vandalismo e di minacce. Ma i giornalisti hanno reagito per la prima volta protestando il 15 febbraio nella sala vuota del Consiglio Legislativo palestinese e imbavagliandosi, finchè Arafat non ha promesso di aprire un’indagine sulle aggressioni.
La ribellione palestinese, che ha molte altre sfaccettature, non include però l’argomento del terrorismo. La violenza politica contro Israele, dice Diker, risulta così «scorporata» dall’analisi della crisi civile ed economica della società. Come dice Dennis Ross «i riformatori palestinesi non hanno mai dato concreti suggerimenti per affrontare il problema del terrore». Ma suggerisce un riformatore che vive all’estero, Omar Karsou: «Israele dovrebbe fare qualche gesto magnanimo che confermi la sua volontà di preparare annessioni; al contempo, la leadership locale palestinese dovrebbe disarmare, magari con l’aiuto della Giordania e della Turchia, i Tanzim Hamas e altre forze radicali per ristabilire un senso di sicurezza e di speranza nel futuro».

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