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La Stampa Rassegna Stampa
26.02.2004 La Siria smetta di aiutare i terroristi
lo dice Colin Powell, colomba dalle ali robuste

Testata: La Stampa
Data: 26 febbraio 2004
Pagina: 10
Autore: Dalia Ahmed
Titolo: «Powell: Il muro non è un ostacolo alla pace»
Sulla Stampa di oggi viene pubblicata un'intervista al segretario di Stato americano Colin Powell, da molti ritenuto una colomba all'interno dell'amministrazione; contrariamente a quanto ci si potesse aspettare, Powell ha dichiarato che la barriera difensiva non è un ostacolo alla Road Map.

Peccato che ad illustrare il pezzo ci sia la solita foto del "muro". Quand'è che alla Stampa impareranno che il "muro" in cemento avrà al lunghezza del 3% su 700 km, e che quindi la barriera difensiva è un RETICOLATO ? Non hanno foto del medesimo ? O preferiscono dare al lettore un'immagine forte ma non veritiera della barriera ? Una domanda che invitiamo a inviare al quotidiano torinese, in particolare al suo desk esteri nella persona del capo redattore Mario Varca.
Ecco l'intervista a Colin Powell:

Egitto e Arabia Saudita hanno detto che rifiuteranno ogni riforma imposta dall’esterno. Ci saranno ripercussioni sulla sua missione in Egitto?
«Non imporremmo mai delle riforme. La proposta americana per il Medio Oriente dev’essere accettabile per le parti in causa, che sono stati sovrani. Stiamo cercando di aiutarli, nel modo che ognuno sceglierà, ad avviare un percorso che è nel loro interesse intraprendere verso la democrazia e i diritti individuali. In effetti la proposta a cui stiamo lavorando con i partner europei non potrà mai funzionare a meno che i Paesi dell’area non trovino un preciso interesse a muoversi in quella direzione, cosa che ovviamente auspichiamo. Le consultazioni sono già avviate. Concordo con egiziani e sauditi: dev’essere una libera scelta degli interessati. Che speriamo ne possano avere tutti i benefici».
I palestinesi dicono che se prosegue la costruzione del muro non c’è dialogo. Gli israeliani invocano ragioni di sicurezza e dicono che la Road map andrà avanti. Sembrano posizioni inconciliabili..
«Stiamo lavorando per renderle compatibili. La Road map è l’unico piano sul tavolo che permette una mediazione. Il presidente e io restiamo legati al progetto di due stati che vivono in pace uno vicino all’altro. Gli israeliani sono convinti che occorra la barriera per difendersi dagli attacchi suicidi. Abbiamo detto loro che questo può essere un problema - non l’idea in sè, ognuno ha diritto di delimitare il proprio territorio, se lo desidera - quanto il fatto che entri nei territori palestinesi e possa pregiudicare il proseguimento dei negoziati e la Road map. Abbiamo espresso questi dubbi e come si è visto gli israeliani hanno cominciato a fare qualche aggiustamento. A questo punto credo sia importante che entrambe le parti si attengano alla Road map e inizino a parlarsi. Dal lato palestinese, come ho detto più volte chiaramente, bisogna fare tutti gli sforzi possibili per porre fine alle violenze, dimostrare che si sta lavorando al cento per cento per bloccare chi non vuole la pace e non è interessato alla Road map. Chi non vuole uno stato palestinese a fianco di Israele ma lotta solo per distruggerlo dev’essere fermato. Sul terrorismo non si può arrivare a compromessi, è inaccettabile. Gli israeliani con le loro recenti aperture, come la disponibilità a eliminare gli insediamenti di Gaza, ci stanno dando una base su cui lavorare. Attendo con ansia l’incontro fra Sharon e Abu Ala, spero sia vicino e che siano pronti ad affrontare quei compromessi necessari allo sviluppo della Road map. Credo che sia l’unica strada possibile per arrivare allo stato palestinese».
Sì, ma potrebbe dirmi con chiarezza qual è la posizione americana a proposito del muro?
«Lo abbiamo detto, è un problema. Gli israeliani ne risponderanno, ma ogni barriera che viene messa può essere tolta. Stanno appunto abbattendo un pezzetto di ciò che hanno costruito, per spostarlo. Magari servirà a migliorare un po’ le cose. Il muro non è un ostacolo insormontabile».
Dobbiamo attenderci sorprese durante la visita di Sharon a Washington?
«La visita non è ancora stata fissata ma non ci piace sorprendere la gente. Quando il primo ministro israeliano arriverà speriamo di discutere con lui francamente e apertamente di ogni argomento. E speriamo, nella stessa occasione, di avere anche un interlocutore palestinese e di fare passi avanti».
Stamattina era sul punto di annunciare la revoca del divieto di recarsi in Libia per gli americani. Che cosa è successo?
«C’è stato un piccolo disguido per alcune dichiarazioni del primo ministro libico a Londra a proposito delle famiglie delle vittime del Pan Am 103. Avevamo bisogno di chiarimenti prima di procedere con la revoca. Penso sia solo un ritardo momentaneo. Siamo molto lieti delle dichiarazioni della Libia sulla rinuncia alle armi di distruzione di massa. E’ stato un passo coraggioso da parte del colonnello Gheddafi e gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno risposto. E così l’Aiea. La Libia si sta liberando di queste armi e già ne vede i benefici».
Alla vigilia del coinvolgimento dell’Onu nella preparazione delle elezioni in Iraq, qual è la posizione degli Stati Uniti?
«Ci hanno confermato che occorrono almeno otto mesi per mettere in opera le basi legali e procedurali necessarie a preparare una consultazione. E così parleremo con il Consiglio iracheno, con l’ambasciatore Brahini e con il Segretario generale per sapere quando potremo iniziare il conto alla rovescia. Si voterà al più presto entro la fine dell’anno ma potrebbe essere il 2005. Sono solo pochi mesi di differenza. Non vogliamo essere frettolosi, vogliamo buone elezioni, che permettano a ogni iracheno di esprimere la propria opinione. Elezioni che siano giudicate aperte e leali, complete e trasparenti. Questo richiede tempo. L’Onu ha una grande esperienza in merito e siamo felici di collaborare con loro».
Il presidente siriano ultimamente ha lasciato intendere che è disposto a riaprire i colloqui di pace con Israele. Perché non l’avete preso in considerazione?
«Diverse volte ho affrontato con lui l’argomento dei negoziati con Israele. Sono state fatte delle offerte, sono arrivate delle risposte da Israele, non ci si è intesi. La mia impressione è che se anche c’è una possibilità di riaprire il discorso dobbiamo prima prima vedere come si evolve il discorso sul fronte palestinese. Ma se i siriani fanno sul serio sono certo che gli israeliani ascolteranno con attenzione».
Come sono le relazioni fra Siria e Stati Uniti?
«Non sono quelle che vorrei. Sono stato in Siria l’estate scorsa dopo la guerra e ho esposto al presidente Assad le nostre difficoltà. Ho affrontato temi che spero vengano presi in considerazione come il nodo dell’appoggio offerto alle organizzazioni terroristiche in Palestina. Crediamo anche che la Siria non dovrebbe appoggiare Hezbollah e la Jihad islamica e non dovrebbe permettere loro di operare da Damasco. Ho evidenziato punti-chiave come il rispetto delle regole sui programmi per le armi di distruzione di massa che i siriani continuano a sviluppare e il blocco dei traffici illeciti in corso sul confine siro-iracheno. Ho anche detto al presidente che se non vediamo alcuno sforzo in questo senso può attendersi che il Congresso degli Stati Uniti prenda provvedimenti. Spero che la Siria comprenda che l’assetto dell’intera regione è cambiato dopo la caduta di Saddam e come ora, con l’affermarsi della democrazia in Iraq e la proposta americana per l’assetto del Medio Oriente, anch’essa possa beneficiarne. Credo sia ora di riesaminare attentamente le politiche del passato e valutare se siano ancora produttive per il futuro. Noi siamo pronti a parlarne anche subito».

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