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La Repubblica Rassegna Stampa
24.02.2004 La fervida fantasia di Lucio Caracciolo
dati ribaltati e strabismo politico

Testata: La Repubblica
Data: 24 febbraio 2004
Pagina: 1
Autore: Lucio Caracciolo
Titolo: «La grande illusione della via giudiziaria»
In questa sua analisi dei rapporti fra il processo intentato ad Israele dinanzi alla Corte Internazionale dell'Aja e la prosecuzione delle faticosissime trattative di pace fra Israele ed Autorità Palestinese, Caracciolo afferma sostanzialmente quel che oramai viene riconosciuto da tutti: che, cioè, la vera strada da seguire è quella della politica, e che comunque vada a finire la sentenza dell'Aja non farà che acuire le tensioni.
Ma, nel contesto di questo ragionamento, Caracciolo infila due singolari frutti della sua immaginazione, che denunciano un suo pregiudizio di fondo.
Descrivendo le motivazioni che hanno indotto il governo Sharon a costruire la barriera che ha lo scopo di separare i territori palestinesi da Israele, Caracciolo sottolinea la sua funzione di difesa passiva contro il terrorismo
suicida, ma al contempo nega tale efficacia, in quanto - così egli scrive -
"l'efficacia tecnica della barriera è peraltro discutibile, almeno a giudicare dal susseguirsi di attentati palestinesi".
Il che non solo non è vero, ma è esattamente il contrario della verità. Le
statistiche, si sa, sono sempre poco attendibili e possono essere lette da
diverse angolazioni, ma al di là delle percentuali indicate dai media
israeliani, e pur tenendo conto del fatto che molti attentati sono stati
sventati all'ultimo minuto grazie alla cattura od all'intercettazione dei
terroristi, è fuori discussione che il numero degli attentati e la loro
devastante efficacia sono crollati da quando esiste la barriera; non soltanto, ma essi sono enormemente diminuiti proprio là dove i cittadini israeliani sono protetti dalla barriera, e meno dove la barriera non è stata ancora costruita.
Sulla base dei fatti, fatti incontrovertibili, nel 2003 una grande quantità
di vite umane è stata salvata rispetto a quanto era avvenuto nel 2001 e nel
2002.
Più avanti Caracciolo lamenta che gli Stati Uniti non abbiano esercitato
abbastanza a lungo e con vigore la loro influenza sul governo israeliano per
indurlo a fare la pace; pur ammettendo che la popolazione palestinese è
"sempre più attratta dalla predicazione fondamentalista" e che esiste nei fatti una "furia del terrorismo palestinese", e pur riconoscendo fra le righe che "il troppo lungo tramonto del patriarca Arafat, avvinghiato al suo residuo potere" non sia privo di responsabiità in tutto ciò, malgrado tutto ciò Caracciolo trascura di approfondire le cause profonde del terrorismo e del fondamentalismo palestinese, quasi fossero fenomeni indotti dalla costruzione della barriera o dallo scarso risultato delle trattative di pace, e lascia intendere che è su Israele e solo su Israele che si deve esercitare una forte pressione per arrivare a dei risultati.
Tutto ciò lascia intravedere una sua miope (o strabica) visione delle cose, che vorrebbe addebitare alla sola parte israeliana il rifiuto di conseguire risultati apprezzabili nelle trattative di pace, mentre sappiamo invece
perfettamente quali siano le responsabilità palestinesi, queste sì talmente
pesanti da impedire qualsiasi progresso. Basti considerare cosa è diventata
Betlemme dopo il ritiro israeliano: un covo di terroristi che vi confluiscono da tutti i territori in cui, a causa della barriera o dell'efficacia delle contromisure iraeliane non possono più agire.

Ecco il testo dell'articolo.

NON c´è una scorciatoia giudiziaria alla pace in Terra Santa. Immaginare che la Corte internazionale di giustizia all´Aja possa disegnare una sua road map giuridica a surrogare il fallimento della road map politica appartiene al regno della fantasia. Il muro antiterrorismo che gli israeliani stanno costruendo in Cisgiordania non può essere bloccato da un tribunale, quale che sia la sua legittimità e composizione. Ma l´impatto sull´opinione pubblica mondiale di un eventuale verdetto di condanna di quella che per gli israeliani è una "barriera di separazione", per i palestinesi "il muro dell´apartheid", sarebbe enorme.
Perché quel confine fortificato che costeggia e spesso penetra i Territori occupati non ha solo una funzione tecnica ? limitare l´accesso dei terroristi suicidi in Israele. Esprime anzi un obiettivo geopolitico e psicologico di vitale importanza per Gerusalemme: garantire che lo Stato israeliano resti a netta maggioranza ebraica.
Quasi tre anni fa Arnon Soffer, geografo dell´Università di Haifa, considerato uno degli ispiratori del muro, aveva tratteggiato davanti al parlamento israeliano lo scenario del sorpasso demografico ormai in corso. Nel 2020 il numero degli arabi abitanti in Israele e nei Territori occupati supererà del 20 per cento quello degli ebrei. Per bloccare gli effetti geopolitici della bomba demografica araba, Soffer proponeva di erigere una frontiera fra Israele e l´Autorità palestinese: «Dovrà essere realizzata con muri e steccati percorsi da corrente elettrica, del tipo di quelli già esistenti al confine con Siria e Libano». Detto fatto: il 31 luglio 2003 è terminata la prima fase del progetto. La costruzione del vallo israeliano continua.
Ma proteggere il carattere ebraico di Israele significa ridimensionare il miraggio del "Grande Israele" tuttora coltivato dagli ambienti nazionalreligiosi, particolarmente influenti fra i coloni. I quali puntano a sciogliere il nodo della dominanza araba nell´ex mandato britannico rigettando i palestinesi oltre il Giordano. Il muro per loro è un inutile e inaccettabile sacrificio, un premio ai terroristi.
L´idea della barriera, d´altronde, ha un marchio d´origine di sinistra. Politici laburisti e intellettuali progressisti ne hanno fatto una questione di principio. Stabilendo finalmente il confine orientale di Israele, la barriera ammetterebbe implicitamente uno Stato palestinese. Ciò che molti, nella destra israeliana e non solo, considerano tuttora anatema. Ariel Sharon oggi spiega la fortificazione del confine con la necessità di fermare i terroristi suicidi che penetrano in Israele per massacrarvi civili innocenti. L´efficacia tecnica della barriera è peraltro discutibile, almeno a giudicare dal susseguirsi di attentati palestinesi.
Ma il contenzioso è ormai geopolitico. I legali palestinesi all´Aja insistono sul fatto che quel muro taglia in profondità i Territori. Si risolve quindi nell´annessione ad Israele di porzioni strategiche della Cisgiordania. Se mai nascerà una Palestina indipendente, essa si rivelerà un puzzle invivibile di mini-territori frastagliati, economicamente e strategicamente inconsistenti. Già oggi alcuni centri attraversati dal muro sono ridotti alla fame. Quando il tracciato sarà completato, secondo un percorso tuttora ignoto e comunque rivedibile, i palestinesi disporranno di un molto teorico mini-Stato che non potrà essere avallato nemmeno dal più moderato dei loro leader.
La disputa giuridica sul muro esprime il fallimento di ogni percorso di pace finora elaborato. Tutti sanno che, alla fine, la pace sarà il frutto di un´imposizione americana, o non sarà. Ma dopo aver pubblicamente ammesso la legittimità di uno Stato palestinese ? nemmeno Bill Clinton si era spinto fino a tal punto ? George W. Bush ha lasciato che della questione si occupassero Yasser Arafat e Ariel Sharon. Rinunciando ad esercitare una pressione credibile sulle parti, soprattutto su quella israeliana. Bisognerà quindi attendere un nuovo presidente americano o il secondo mandato di Bush per assistere a una vera offensiva negoziale a stelle e strisce, con l´inevitabile musica di accompagnamento russa, europea e onusiana.
Fino ad allora i contendenti cercheranno di stabilire sul terreno alcuni fatti compiuti, carte da giocare a un futuro tavolo diplomatico. Il muro israeliano in Cisgiordania esprime questa logica, al di là del suo carattere più o meno temporaneo. Può forse frenare la furia del terrorismo palestinese. Ma intanto contribuisce a radicalizzare una popolazione sempre più attratta dalla predicazione fondamentalista, dal cui seno germinano i terroristi suicidi.
È questo forse, nel medio periodo, il lascito più insidioso di questi anni di deriva bellica in Terrasanta. Il terrorismo palestinese è anche la faccia sanguinaria di una guerra civile strisciante fra palestinesi. Si uccidono israeliani per affermare la preminenza di un gruppo sull´altro. Sullo sfondo, il troppo lungo tramonto del patriarca Arafat, avvinghiato al suo residuo potere. Quanto a Sharon, è ben consapevole delle fratture nel campo avverso e si ingegna semmai ad accentuarle. La pace può attendere.
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