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Libero Rassegna Stampa
24.02.2004 Lettera da Israele 4a parte
come avevamo previsto: il terrorismo sta diventando "resistenza", firmato Igor Man

Testata: Libero
Data: 24 febbraio 2004
Pagina: 13
Autore: Angelo Pezzana
Titolo: «Quei massacri chiamati "resistenza"»
Riportiamo la quarta e ultima parte del reportage di Angelo Pezzana da Israele, pubblicata su Libero di oggi, martedì 24 febbraio '04.


E' comprensibile che Yasser Arafat abbia dichiarato ieri alla Tv palestinese che non ci sarà mai pace finchè ci sarà quello che lui chiama il muro. Non perchè lui voglia davvero la pace, tutt'altro. Ma perchè la barriera difensiva è oggi il nemico più grande dei terroristi. Mohammed Zaul, il palestinese che si fatto esplodere sull'autobus n°14 domenica mattina provocando otto morti e sessanta feriti veniva da Betlemme, città non ancora separata dalla barriera e centro oggi di molti gruppi terroristici. Ha attraversato tranquillamente il confine non protetto, è salito sull'autobus e ha compiuto l'ennesimo massacro. Le dichiarazioni di Abu Ala e dello stesso Arafat che subito hanno condannato il crimine sono il segnale più vistoso del cinismo con il quale perseguono i loro obiettivi. Il terrorista apparteneva infatti al gruppo dei martiri di Al Aqsa, che dipende direttamente da Arafat, che da un lato organizza le stragi e dall'altro le condanna. Inutile, come hanno fatto ieri alcuni editorialisti, chiedersi a chi giova. Sono tre anni che i cittadini di uno stato democratico vengono massacrati dal terrorismo palestinese e l'ONU ha la sfrontatezza di intaurare un processo contro Israele colpevole di violersi difendere.
Va detto, a onor del vero, che l'Europa, insieme agli Stati Uniti, non si è unita al coro. In un sussulto di dignità, parola da usare con la massima cautela quando si parla di Europa, ha rifiutato di partecipare allo spettacolo. Che però ci sarà comunque, nella civile e tollerante Olanda, così civile che il sindaco dell'Aja ha cercato di impedire che davanti al tribunale venissero mostrati i volti delle vittime del terrorismo. "Voglio evitare di esasperare le tensioni", pare abbia detto, provocando l'immediata reazione dei parenti che erano arrivati all'Aja con i ritratti dei loro cari assassinati dai "martiri" di Arafat. Israele ha rifiutato di sedersi sul banco degli accusati, lasciando che per lo stato ebraico parli la carcassa di uno dei tanti autobus fatti esplodere con il loro carico umano dai terroristi. Quell'autobus stazionerà per tutta la durata del "processo" davanti al tribunale internazionale di giustizia, per ricordare che Israele sta combattendo una guerra per la sua sopravvivenza, per dire ad un'opinione pubblica così pronta a schierarsi dalla parte dei terroristi che non è così che si aiuta la democrazia. Alcuni giorni fa scrivevamo che tra non molto il terrorismo palestinese verrà chiamato da qualcuno resistenza. E' successo ieri. In un articolo di prima pagina sulla Stampa, Igor Man tutto preso a ricordare le colpe di Israele, ha infilato fra le righe l' equivalenza fra terrosismo palestinese e "resistenza". Ignorando che la barriera difensiva è una rete metallica per la maggior parte della sua estensione, che non rinchiude nessun villaggio palestinese ma difende solo il confine con Israele, e che è in qualunque momento rimuovibile. Al contrario delle vite che non possono più essere restituite. Anche la Rai, con la sola lodevole eccezione di Claudio Pagliara che svolge con equilibrio e accuratezza il suo lavoro, con i vari Televideo, Rai Sat news, diffonde a ogni ora del giorno e a piene mani propaganda pro-palestinese. All'Aja, sul banco degli accusati, dovrebbero esserci tutti i capi del terrorismo palestinese. Si processa invece uno stato che da sempre cerca la pace (Egitto e Giordania ne sono la testimonianza) senza però che Arafat e C. abbiano mai avuto realmente l'intenzione di farla.
Un mondo all'incontrario, dove chi commette stragi e uccide inermi cittadini viene descritto come un "popolo che si difende", mentre uno stato che costruisce una barriera difensiva viene giudicato "oppressore". Dove gli "oppressi" rifiutano sistematicamente e da sempre di fare la pace, pretendendo tutto, compreso il suicidio del presunto "oppressore". Per loro si aprono persino le porte del tribunale internazionale. E non è detto che non ottengano anche una sentenza favorevole. Che almeno non avvenga con la complicità dell'occidente, che gli Stati Uniti non siano lasciati soli a difendere Israele, che l'Europa parli un linguiaggio chiaro e comprensibile. Ma forse è pretendere troppo. Per questo Israele sa che può contare solo su se stessa. L'esperienza insegna.



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