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La Repubblica Rassegna Stampa
22.02.2004 Raccontare non quello che si vede
ma quel che si vuole vedere

Testata: La Repubblica
Data: 22 febbraio 2004
Pagina: 15
Autore: Alberto Stabile
Titolo: «La doppia vita del muro, viaggio nella terra divisa»
Alberto Stabile ha partecipato con altri giornalisti della Stampa estera di Gerusalemme ad un tour organizzato per "vedere" con i propri occhi la realtà della barriera difensiva. Informazione Corretta ha già pubblicato sullo stesso argomento due articoli, usciti la scorsa settimana, quello di Fiamma Nirenstein sulla Stampa e Angelo Pezzana su Libero. I nostri lettori possono così confrontarli con quello di Repubblica che riproduciamo integralmente.
Non è che Stabile racconti frottole, arriva persino a scrivere che il muro ha ridotto il numero degli attentati e che quindi a qualcosa serve. Ma tutto il pezzo è intriso di valutazioni che non fanno altro che ripetere la falsità delle posizioni palestinesi, che Stabile accetta e ripete come oro colato senza mai sottoporle ad esame critico. Case che invece fa con la parte israeliana.
Non vogliamo visezionarlo, co basta riprodurlo ed invitare a leggerlo e poi confrontarlo con i due articoli citati prima (Stampa e Libero).
La miglior risposta a Stabile è venuta purtroppo ieri mattina a Gerusalemme, mentre Repubblica con il suo articolo veniva distribuita nelle edicole. Un terrorista si è fatto esplodere su di un autobus uccidendo 7 persone e ferendone una sessantina, fre le quali molte in modo grave. Il terrorista veniva da Betlemme, dove la barriera di sicurezza non è ancora stata costruita e apparteneva al gruppo Martiri di Al Aqsa, che dipende direttamente da Arafat. Il quale manda i suoi a farsi esplodere e poi condanna l'attentato. Ma questo sfugge a buona parte della nostra informazione.
(a cura della redazione di IC)

La doppia vita del Muro viaggio nella Terra divisa

La barriera di Sharon arriva alla Corte dell´Aja

DAL NOSTRO INVIATO
ALBERTO STABILE

QALQILYA - Altro che Muro di Berlino, strumento di segregazione, pretesto per accaparrarsi altra terra, come insinuano i palestinesi. Vista da chi la sta costruendo, la barriera di sicurezza che separa Israele dalla Cisgiordania è prima di tutto un antidoto contro il terrorismo che, en passant, è servito, serve, assicura il colonnello Shai, anche contro ladri d´auto, trafficanti d´armi, spacciatori di droga. Sbagliato, dunque, imbastire polemiche, rivendicazioni, processi, perché quel muro di 600 chilometri, che tale è solo per una piccola percentuale mentre il resto è reticolato munito di sensori elettronici, filo spinato tagliente come una lama e piste in terra battuta atte a svelare passaggi furtivi, non divide ma unifica, non ingabbia ma libera, non danneggia ma addirittura migliora la vita dei palestinesi.
Alla vigilia delle udienze della Corte internazionale dell´Aja chiamata dalle Nazioni Unite a pronunciarsi sulla legalità della barriera antiterrorismo parzialmente eretta in una porzione dei Territori Occupati ma destinata a circondarli completamente, l´Esercito israeliano, che ne cura la realizzazione, ha avviato un´offensiva mediatica allo scopo di illustrare quegli aspetti del problema che, a giudizio dei pianificatori militari, vengono più o meno deliberatamente trascurati dalla stampa, da gran parte dei governi occidentali, da molte organizzazioni umanitarie.
Eccoci allora alla presentazione del progetto, nella sala riunioni di una base militare non lontano da Qalqilya, dove apprendiamo che la barriera, anche se costruita soltanto per la sesta parte, ha già prodotto i frutti sperati riducendo grandemente le infiltrazioni di terroristi suicidi in territorio israeliano dalla direttrice Jenin-Qalqilya-Tulkarem, e di conseguenza abbattendo il numero di attentati e di vittime civili. La curva che nel periodo agosto-ottobre 2002 aveva toccato il picco decresce inesorabilmente fino a sfiorare lo zero nello stesso periodo dell´anno seguente.
L´hudna cosiddetta, vale a dire la tregua più o meno concertata tra le parti in conflitto, non c´entra per niente, assicurano i militari. «Dopo che abbiamo eretto la barriera nessun terrorista è passato per i cancelli di questa zona», dichiara una fonte altolocata di cui non c´è permesso rivelare l´identità. Poi precisa: «Soltanto la donna che ha fatto saltare il ristorante Maxim ad Haifa è riuscita a infiltrarsi. Ma è stata fortunata. Era su un autobus che è stato fermato al cancello di Qalqilya. Tutti i passeggeri sono stati fatti scendere e sono stati identificati. Lei aveva un passaporto giordano, in regola. Il nostro ufficiale sul campo s´è insospettito lo stesso, ma non c´era nessuno in quel momento che potesse perquisirla. L´ufficiale le ha chiesto, allora, di tirare un po´ il vestito in modo da farlo aderire al corpo, ma non ha notato nulla di strano. Così è passata. Ma, ripeto, questo rappresenta un caso isolato. Il poliziotto palestinese che, pochi giorni fa, ha fatto saltare l´autobus 19 a Gerusalemme veniva da Betlemme dove non c´è barriera. Ci fosse stata la barriera, tutto per lui sarebbe stato più complicato».
Il muro sarà anche «reversibile», come insiste la nostra fonte, ma a vederlo serpeggiare sulle colline ben oltre la linea verde dell´antico confine, in piena Cisgiordania, non si può sfuggire alla sensazione di una nuova realtà stabilita sul terreno. È questo il primo motivo di contesa. L´autorità palestinese protesta che a muro ultimato, Israele avrà assorbito il 17 per cento dei Territori. Qui, invece, si parla dell´1 per cento, allo stato attuale, che diventerà il 6 per cento quando la separazione sarà realizzata in tutta la sua lunghezza.
Alla periferia di Qalqilya la barriera corre lungo le serre, i giardini di palme e di agrumi, gli uliveti dei palestinesi, poi s´inerpica sulle prime balze dei Territori. «Ecco, vedete le macchine dei contadini, vicino alle serre - ci invita a constatare il colonnello Shai -, mente chi dice che non si possono muovere liberamente». Il secondo e, da un punto di vista umanitario, più rilevante problema, è quello dei palestinesi rimasti intrappolati tra la barriera e il vecchio confine. Il fenomeno riguarda già quindici villaggi e una quantità di abitazioni isolate per un totale, allo stato attuale, di 14 mila persone che saranno sessantamila a barriera ultimata. Si tratta di palestinesi che, essendo stata la barriera costruita a est della linea verde si ritrovano adesso a vivere sotto controllo militare israeliano nella cosiddetta zona di congiunzione, mentre le loro terre, le loro scuole, le loro moschee, i loro parenti sono rimasti dov´erano, nei Territori. Oppure c´è anche chi continua a vivere nei Territori, ma terre, scuole, armenti si trovano adesso tra confine e barriera.
Per queste persone è stato coniato un nuovo status, quello di «residenti permanenti», né cittadini né immigrati temporanei d´Israele i quali, per accedere alle terre, le scuole, gli armenti, le famiglie rimasti al di qua della barriera devono ottenere un permesso dell´autorità militare. Ma come raggiungere campi, scuole, famiglie? Ecco inventati i cancelli che, tre volte al giorno, mattina pomeriggio e sera permettono ai palestinesi muniti di permesso («niente permesso a chi ha un parente coinvolto in attività terroristiche», definizione per altro assai generica) di attraversare la barriera.
Alle falde del villaggio di Jayyus, la barriera sembra un ottovolante capriccioso e bizzarro. La linea di sicurezza corre lungo i fianchi delle colline, disegna una serpentina di stretti tornanti in mezzo a una gran quantità di terra benedetta e sprecata. Il filo spinato sfiora le fronde degli ulivi. Il colonnello Shai ci assicura che anche quella degli alberi sradicati (un milione secondo l´Onu) è una favola. «Quando è stato necessario, abbiamo rimosso degli ulivi trapiantandoli dove desiderava il proprietario». Quanti? «Non più di quattromila». A volte sono state date compensazioni in danaro: «Centinaia di migliaia di dollari di danaro israeliano».
Ci fermiamo davanti a uno dei cinque cancelli creati lungo la barriera, tra Tulkarem e Qalqilya. Complicati congegni elettronici sembrano tenere insieme le pesanti sbarre d´acciaio. Un vecchio contadino, su un carro trascinato da un asinello è appena passato. Lo vediamo inerpicarsi su una ripida stradina. «Siete fortunati - esclama il colonnello - il cancello è stato appena aperto, fuori dagli orari previsti, ma questa non è un´eccezione. Non è che stiamo lì a guardare l´orologio. I proprietari dei terreni possono passare in qualsiasi momento. Se si tratta di fattorie isolate gli diamo persino le chiavi del cancello. Tanto noi vediamo tutto con le nostre telecamere».
Gli abitanti di Jayyus non la pensano così. Lamentano che il cancello non viene mai aperto in orario. «Spesso noi stessi dobbiamo andare a cercare i soldati per farci aprire», dicono. Attese interminabili. Controlli estenuanti. E una volta passati, chilometri a piedi per raggiungere il campo, il giardino, le stalle, perché il muro ha cancellato sentieri e stradine interne. «È evidente - spiega Shai - che stiamo imparando ogni giorno come rendere efficace la barriera senza danneggiare la popolazione. Ma il danno, a sentire la gente di Jayyus è già fatto. «Eravamo padroni della nostra terra, adesso siamo diventati braccianti, immigrati a casa nostra, animali in gabbia cui ogni tanto aprono la grata». Alle porte di Tulkarem è stato innalzato un muro alto otto metri, lungo un chilometro e mezzo. Un vero muro fatto di blocchi di cemento. È stato costruito per proteggere dai cecchini, la cosiddetta Road n. 6 che un giorno sarà la principale arteria israeliana. Non bastasse Tulkarem e Abu Dis, presso Gerusalemme, ecco un altro muro tra le due Bakaa, quella palestinese e quella arabo-israeliana, un tempo separate dalla linea verde ma, di fatto, lo stesso villaggio.
Torniamo a Qalqilya per apprendere che la barriera in fondo rende più liberi. Alle porte della città c´erano, in tempo di pace, gli uffici del Dco, il coordinamento distrettuale tra la polizia palestinese e l´esercito israeliano: pattugliamenti congiunti, lavoro in comune. Oggi è un recinto abbandonato, un rudere prodotto dalla nuova Intifada. «Qui, vedete, non ci sono posti di blocco - spiega il colonnello Shai -. Avendo costruito la barriera possiamo farne a meno. Questo vuol dire che la gente di Qalqilya può prendere la strada liberamente e giungere a Nablus e Jenin». Un´altra leggenda dell´occupazione sembra crollare, quella della chiusura interna tra città e città, tra villaggio e villaggio che, come ha riconosciuto lo stesso capo di stato maggiore Yaalon, ha reso la vita impossibile ai palestinesi.
Il traffico alle porte di Qalqilya, per la verità, non è intenso. Molti taxi, pochissime auto civili. Fermiamo un tassista. Dunque via libera, chiediamo? «Non è mai completamente libera. Dipende dal momento. Quando meno te l´aspetti spuntano i posti di blocco volanti, tre quattro soldati che bloccano la strada. Quanto al percorso, possiamo soltanto arrivare fino ai villaggi vicini a Qalqilya. Jenin e Nablus, per quanto ne so, sono ancora irraggiungibili».

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