Un esempio lampante di come stravolgere la realtà la corruzione all'interno dell'Anp diventa una virtù
Testata: Il Manifesto Data: 19 febbraio 2004 Pagina: 11 Autore: Michele Giorgio Titolo: «Dahlan all'assalto di Arafat»
All’interno dell’ANP la lotta si fa serrata; Michele Giorgio, su Il Manifesto del 17 febbraio 2004, ne dà conto a modo suo: Dahlan all'assalto di Arafat Con un piccolo esercito e il sostegno degli Stati uniti, l'ex ministro prova a esautorare il presidente palestinese
Mohammed Dahlan non è più ministro per la sicurezza interna dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) dal settembre scorso, quando l'ex premier Abu Mazen diede le dimissioni. All'estero tuttavia fanno finta di non saperlo. Stati uniti e Gran bretagna infatti continuano a considerare Dahlan il loro «uomo» in Palestina e a sostenere, con milioni di dollari, il piano di «riorganizzazione delle forze di sicurezza palestinesi» presentato dall'ex ministro lo scorso giugno: una polizia da 20-25mila uomini a protezione delle «frontiere» con Israele e anche servizi speciali «antiterrorismo». Una fonte europea ben informata, con un incarico in questioni di sicurezza tra israeliani e palestinesi, ci ha spiegato che, grazie a questi aiuti, provenienti soprattutto da Londra, Dahlan negli ultimi mesi è stato in grado di dare vita ad una milizia che l'ex ministro considera il primo nucleo dei nuovi servizi di sicurezza palestinesi che dovranno prendere il controllo di Gaza se e quando Israele evacuerà le colonie ebraiche sulla base del piano del premier Ariel Sharon. Il presidente Yasser Arafat e gli attuali capi dei servizi di sicurezza - ha aggiunto la fonte - naturalmente non rientrano nel «quadro politico» che hanno in mente Dahlan e i suoi sostenitori locali e stranieri. Chissà quanti tra i lettori de Il Manifesto pigliano per buone queste sensazionali rivelazioni, provenienti da "una fonte europea ben informata, con un incarico in questioni di sicurezza", che trova addirittura il modo di confidarsi con Michele Giorgio Il ritorno improvviso sulla scena di Dahlan è avvenuto, non a caso, dopo l'annuncio fatto da Sharon ed è coinciso con l'approfondirsi della crisi di Al-Fatah e il riesplodere della tensione interna a Gaza che ha toccato il punto più alto due settimane fa, con l'assalto da parte di «sconosciuti» al comando delle forze di pubblica sicurezza di Saraya e l'aggressione subita dal capo della polizia Ghazi Jabali, responsabile di aver rivelato l'esistenza di un «pedaggio» ai valichi con Israele fatto pagare da uomini vicini all'ex ministro. Negli ultimi mesi Dahlan ha cercato di rafforzarsi anche in Cisgiordania attraverso i suoi alleati, il governatore di Betlemme Zuheir Manasra e il capo delle «forze speciali» Bashir Nafaa, molto popolare a Kalandia (Ramallah). Con risultati deludenti per il momento. Pedaggi, assalti da "sconosciuti", faide interne.. che edificante quadretto! Sono notizie dei giorni scorsi, ma le abbiamo cercate inutilmente su Il Manifesto
Nato in un campo profughi 42 anni fa, cresciuto tra i giovani di Al-Fatah, Dahlan venne deportato da Israele nel 1988 (durante la prima Intifada) in Giordania, da dove raggiunse il quartier generale dell'Olp a Tunisi. Fino a due anni fa è stato uno dei dirigenti palestinesi più influenti e vicini ad Arafat. In qualità di capo del servizio di sicurezza preventiva e come molti altri dirigenti dell'Anp, ha accumulato durante gli accordi di Oslo (1993-2000) una fortuna economica, Anche quando spiega la corruzione interna all'Anp, Michele Giorgio non rinuncia a giocare con le parole, ed eccolo parlare di "deportazione". Sono per caso carri bestiame che conducono allo sterminio? Niente affatto, Dahlan va in Giordania e poi raggiunge la base, e fa anche una brillante carriera; non sarà che questa "deportazione" è un normalissimo provvedimento di espulsione? grazie al monopolio che gli era stato affidato sull'importazione a Gaza di materiali da costruzione. Lasciato l'incarico ai servizi di sicurezza, dopo un breve periodo trascorso come consigliere di Arafat, l'ex ministro ha stretto un alleanza con Abu Mazen (al quale era stato sempre legato) del quale aveva accettato la linea contraria all'Intifada, di collaborazione attiva con Israele e Stati uniti e di opposizione al potere di Arafat. Dahlan è convinto, dicono a Gaza, che sia giunto il suo momento e che la grande occasione per saldare i conti con i suoi rivali - a cominciare dal generale Jibril Rajub, attuale consigliere per la sicurezza di Arafat - sia ormai una questione di mesi se non di settimane. L'ex ministro agisce ad ampio raggio. Fonti palestinesi riferiscono che alla costituzione di una milizia, Dahlan e i suoi uomini abbinano la diffusione di indiscrezioni scottanti per mettere in difficoltà Arafat e i suoi uomini. E come non fidarsi di anonime "fonti palestinesi"! Molti infatti non si spiegano come mai proprio in questi giorni sia improvvisamente venuta alla luce l'esistenza di un conto corrente estero di Suha Arafat, la moglie del presidente, sul quale transiterebbero milioni di dollari di dubbia provenienza, e perché siano state messe in circolazione voci sulle attività economiche di familiari del premier Abu Ala che «venderebbero» a Israele il cemento per costruire il muro di separazione in Cisgiordania. Qualcuno ricorda a questo proposito le ottime relazioni tra Dahlan e Mohammed Rashid (Khaled Salam), l'ex consigliere economico di Arafat caduto in disgrazia (ora vive, da nababbo, tra il Cairo, l'Italia e la Spagna) che conosce i particolari più scabrosi delle finanze dell'Anp. Prosegue l’edificante quadretto della leadership palestinese, ricolma di dedizione alla causa – però i lettori de Il Manifesto hanno finalmente potuto apprendere quello che i lettori di tutti gli altri quotidiani sanno da settimane: l'esistenza di un conto corrente estero di Suha Arafat, la moglie del presidente, sul quale transitano milioni di dollari di dubbia provenienza. Chissà perché Michele Giorgio per spiegarlo ricorre al condizionale… Al lettore resta un dubbio: cosa hanno di "scabroso" le finanze dell’ANP? E non appare un caso che proprio nei giorni scorsi circa 400 militanti di Al-Fatah (in gran parte di Gaza) abbiano restituito la tessera in protesta contro la «corruzione» del gruppo dirigente del movimento. Dahlan nega tutto, ribadisce la sua fedeltà ad Arafat. Più che un movimento nazionalista, che si divide sulle strategie e le tattiche, sembra una cosca mafiosa, che cerca di accaparrarsi la fetta più "scabrosa" del malloppo Tutti però sanno che «dare una lezione» a Ghazi Jabali è stata una squadra speciale dei servizi di sicurezza preventiva (diretti dall'amico d'infanzia Rashid Abu Shbak), guidata dal suo braccio destro Nabil Tammuz, personaggio a metà strada tra il gangster e il militante politico. Grazie ai fondi a disposizione, Dahlan riesce con una certa facilità a reclutare centinaia di palestinesi ma, fanno notare a Gaza, sta arrivando incautamente in anticipo allo scontro frontale con i vertici di Al-Fatah a Gaza. Non si capisce chi stia facendo notare, ma il sapore è quello di un avvertimento mafioso. Se l'aggressione al capo della polizia è destinata a non lasciare il segno - Ghazi Jabali, noto per la sua arroganza, non ha molti amici - il segretario di Al-Fatah Ahmad Elles (molto popolare) non pare disposto a farsi mettere da parte, così come il capo della guardia civile Abdul Razek Majaideh. In questo clima da guerra civile non sorprende che i dirigenti del movimento islamico Hamas stiano sulla riva del fiume in attesa che passi il cadavere dell'Anp. E qui termina il quadro della impressionante corruzione interna dell’ANP. Il lettore ha però bisogno di essere rassicurato: se l’ANP è una banda di ladri, i responsabili della situazione chi sono? La popolazione invece deve fare i conti con i raid militari israeliani - gli ultimi due, la scorsa settimana, hanno fatto 15 morti -, le demolizioni di case, la confisca di terre, la disoccupazione e la povertà. Ieri un palestinese, Jamal Al Afifi, di 45 anni, è stato ucciso da un cannonata sparata da un carro armato dall'insediamento di Rafiah Yam contro il quartiere Tel Sultan di Rafah. Un operaio di 41 anni, Ahmed Sheikh, è morto per soffocamento al valico di Erez mentre con altre seimila persone cercava di superare i punti di controllo per raggiungere il lavoro in Israele. In serata un ragazzino è stato ucciso e tre adulti sono rimasti feriti a causa dell'esplosione di un ordigno. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione del Manifesto. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.