Israele Giordania e ANP, il nuovo Benelux parola di Shimon Peres di ritorno da Amman
Testata: La Stampa Data: 12 febbraio 2004 Pagina: 11 Autore: Fiamma Nirenstein Titolo: «L’Ue accolga Israele, Anp e Giordania»
Sulla Stampa di oggi appare l'intervista di Fiamma Nirenstein a Shimon Peres nella quale espone le sue opinioni sul futuroo del MO. La pubblichiamo integralmente.
Nella mattina del terremoto (5 gradi e mezzo della scala Richter, somma confusione, tutti gli scolari a casa, e anche i membri del Parlamento) Shimon Peres è ancora più energico del solito. Reduce da un breve viaggio ad Amman per incontrare il giovane re Abdallah, il capo dell’opposizione israeliana e Premio Nobel per la Pace, incontra un gruppo di giornalisti stranieri e li investe di una quantità di futuro pacifista: «Vedrete - dice - assisterete alla nascita di uno Stato palestinese molto prima di quanto possiate immaginare: Israele ha di fronte il problema demografico che rischia di farne o un Paese non ebraico o un Paese non democratico, due cose che non accadranno mai; e i palestinesi sono di fronte al rischio di non essere una nazione, ma una società sofferente e povera in cui invece della politica vince il terrorismo. Tutti e due hanno fretta». Da dove le deriva tutto questo ottimismo? «Dal fatto che la regione è in una situazione di cambiamento, anche il mondo mussulmano lo desidera, come ho verificato in molti colloqui compreso quest’ultimo con il re di Giordania. Ho in mente vari incentivi e incoraggiamenti verso la pace per i quali l’Europa ha oggi un ruolo determinante. Ne ho parlato con dignitari arabi e con molti europei e americani. Ne ho informato Sharon. Una politica di incentivi concreti è anche indispensabile per aiutare Abu Ala e le forze che vogliono la Road Map ad attuarla". Questo si disse già per Abu Mazen, che poi è stato eliminato dalla politica di Arafat: come può pensare di salvare Abu Ala? «E’ necessario, semplicemente perché Abu Ala è il primo ministro in carica e quindi, per me, l’interlocutore di Israele; è la persona con cui trattare, senza troppo pensare ad Arafat. Arafat è un problema dei palestinesi, a noi basta Abu Ala, e occorre quindi dargli carte da giocare». Ma se lui poi deve dar conto a Arafat, che non vuole... «Torniamo alle carte che lo aiuteranno, è più utile che parlare di Arafat, che comunque c’è. Gli incentivi per la pace. Quello principale non consiste nei soliti consigli e ordini dell’Europa o degli Usa, ma in una concreta decisione da parte dell’Unione europea di accettare Israele, la Giordania e lo Stato palestinese, appena fatta la pace, come membri con status pari, per ora, a quello dei paesi Efta; i tre devono essere uniti da un comune patto, una specie di Benelux con interessi economici interattivi, cioè con un interesse comune garantito dalla comunità internazionale. In secondo luogo, i confini devono essere certi: la loro labilità crea un nervosismo incessante di tutta l’area, quindi si facciano accordi precisi e li garantiscano gli Usa e l’Europa. In terzo luogo, la Nato, che già da tempo deve rivedere la sua intera struttura, dato che è nata nella prospettiva di guerre di eserciti mentre è chiaro che deve riconvertirsi nella nuova dimensione della lotta al terrorismo, può solo avvantaggiarsi dalla presenza al suo interno di questo nuovo Benelux, così otterrà anche una partecipazione asiatica e una dimensione mediterranea. Anche l’Egitto e altri paesi mediorentali devono essere invitati a far parte della Nato. Il terrorismo si batte creando un autentico interesse comune a farlo. Infine, gli Stati del Medio Orente devono firmare una carta simile a quella che stilammo a Sharm el-Sheikh che stabilisca i criteri della guerra al terrore e l’impegno di ciascuno». Come potranno Paesi i cui standard dei diritti umani sono tanto poveri far parte dell’Unione europea? «Spero anzi che, come è accaduto alla Turchia, o ai Paesi ex sovietici, l’aspirazione a entrarvi crei un grande miglioramento». Come considera la decisione di Sharon di lasciare Gaza? Sarebbe pronto, qualora egli fosse abbandonato dai suoi alleati di governo, a entrare in una coalizione con lui? «Per ora sono speranzoso e fiducioso nelle sue intenzioni. Se Sharon smantellerà gli insediamenti e ritirerà l’esercito a Gaza, noi lo sosterremo in Parlamento. Ma per ora non vedo nessuna ragione di impegnarsi per il governo». Come considera la vicenda delle accuse a Israele per la barriera di difesa e del «processo» alla Corte internazionale dell’Aja, il 23 febbraio? «Il processo riguardava la prima versione del recinto, che ora sta cambiando a vista d’occhio: una commissione ne sta modificando il tracciato. Spero che questo porti tutta la materia a ridimensionarsi: Israele ha il diritto di difendersi dal terrorismo, guai se non lo facesse, e nello stesso tempo deve salvaguardare i diritti umani dei palestinesi». Per il 19 l’Unione europea ha indetto un seminario sul nuovo antisemitismo, un grande e inquietante fenomeno che ha al centro un furioso attacco a Israele. Ma molti dicono che esso è legato alla politica del governo, e non all’antisemitismo: lei che ne pensa? «Io credo che ci siano molti tipi di antisemitismo, e che ci sia chi usa l’attacco a Israele per nascondere il proprio; comunque si tratta di una malattia contagiosa e repellente che non riguarda noi ebrei, ma le nazioni che ne sono infette e che hanno il dovere di combatterlo». Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de La Stampa. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.