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Internazionale Rassegna Stampa
10.02.2004 Qualsiasi cosa faccia Sharon
per la rivista di De Mauro non va mai bene, è sempre un falco

Testata: Internazionale
Data: 10 febbraio 2004
Pagina: 1
Autore: la redazione
Titolo: «Varie da Israele - 10/02/04»
A pag. 21 dalla cronaca da Gerusalemme

Attentato contro un autobus a Gerusalemme

Il 29 gennaio un kamikaze palestinese si è fatto saltare in aria su un
autobus nel centro di Gerusalemme, vicino all'abitazione del premier Sharon,
causando la morte di dieci israeliani. Altre 48 persone sono rimaste ferite,
almeno 13 in maniera molto grave. L'attentato è stato rivendicato dalle
Brigate dei martiri di al Aqsa, un gruppo armato palestinese legato ad al
Fatah. Nel giorno dell'attacco il governo israeliano aveva fissato uno
scambio di prigionieri con gli hezbollah libanesi che è stato comunque
portato a termine. Israele ha liberato 400 prigionieri palestinesi, 23
libanesi, sette siriani e un tedesco in cambio delle spoglie di tre piloti
israeliani catturati e uccisi dalla guerriglia nel sud del Libano e
dell'uomo d'affari Elhanan Tannenbaum catturato da Hezbollah nel 2000 perché
sospettato di essere una spia.
1 Yasser Abuleish, leader della cellula di Rafah della Jihad islamica, suo
fratello e altri due palestinesi sono stati uccisi dall'esercito israeliano
in un raid mirato nel sud della Striscia di Gaza.
Sempre meglio specificare che Al-Fatah è il partito di Arafat, visto che Internazionale non lo evidenzia mai.
Il piano di Sharon - Via le colonie da Gaza

Il primo ministro israeliano Ariel Sharon ha reso nota la sua intenzione di
procedere allo smantellamento di 17 delle 21 colonie ebraiche della Striscia
di Gaza. La proposta fa parte di un più ampio piano di separazione degli
israeliani dalla popolazione palestinese, di cui Sharon aveva parlato per la
prima volta lo scorso dicembre. L'evacuazione delle colonie, in cui vivono
7.500 persone, dovrebbe cominciare tra giugno e luglio. Sharon vuole
applicare il suo piano anche a costo di innescare una crisi di governo, già
minacciata dalla destra ultranazionalista e da una parte dei deputati del
Likud, il partito del premier. Il 4 febbraio il capo del governo israeliano,
disposto a indire elezioni anticipate pur di non rinunciare alla sua
proposta, ha evocato la possibilità di sottoporre a referendum lo
smantellamento delle colonie della Striscia di Gaza.
Internazionale ha sempre versato fiumi di inchiostro contro, a loro dire, il "falco" Ariel Sharon, reo di non voler smantellare colonie o insediamenti.
Ora che Sharon ha manifestato questa intenzione che potrebbe anche costare una crisi di governo, Internazionale rifila il tutto in un trafiletto.
Per De Mauro Sharon è un falco (perchè è di destra, quindi non è un compagno), e falco rimarrà, a prescindere da quello che farà e/o dirà.

Nazioni Unite - Sul muro israeliano

Quarantaquattro stati, tra cui Israele, gli Stati Uniti, la Russia e molti
paesi dell'Unione europea, hanno presentato alla Corte internazionale di
giustizia (Cig) delle memorie confidenziali sulla costruzione del muro di
separazione tra Israele e Territori palestinesi. L'Assemblea generale
dell'Onu ha chiesto alla Cig per la prima volta di pronunciarsi sul muro l'8
dicembre 2003. La discussione comincerà all'Aja, sede dell'organo
giudiziario dell'Onu, il 23 febbraio.
Quando la redazione filo-palestinese di Internazionale capirà che quello in costruzione non è un muro di separazione, bensì una barriera difensiva?
Quale stato democratico sopporterebbe senza far nulla 109 attentati suicidi in tre anni, dei quali 27 nella capitale, Gerusalemme?
Quale stato tollererebbe un simile macello organizzato?
Anche dopo l'ultimo attentato dei sicari di Arafat del 29 gennaio (10 morti e una cinquantina di feriti), l'Onu non è riuscito ad imbastire una condanna del massacro.
D'altronde cosa aspettarsi da un organizzazione che posiziona paesi come la Libia o la Siria nella commissione sui diritti umani?
I parrucconi dell'Aja giudichino pure la barriera in costruzione, fortunatamente il destino e la sicurezza di Israele non sono nelle loro mani e di quanti (specie a sinistra), manifestano e filosofeggiano.

A pag. 56 è pubblicato un articolo tratto da Ha'aretz, dello storico israeliano Benny Morris, che puntualizza alcune affermazioni rilasciate durante un'intervista allo stesso quotidiano alcuni giorni fa.
Internazionale scrive che Morris "risponde a se stesso", in realtà lo storico non fa altro che rispondere a quanti lo hanno accusato per aver detto la semplice verità; ovvero che i palestinesi che si fanno esplodere sono dei barbari, che le organizzazioni terroristiche come Hamas vogliono la cancellazione dello stato ebraico, che la critica è vietata all'interno dell'Islam e dei paesi islamici e che Israele dovrebbe adottare tutte le misure necessarie (espulsione degli arabi compresa), nel caso la propria sicurezza venisse minacciata.
E' shoccante tutto questo, come lo aveva definito Internazionale settimana scorsa?
Avremmo gradito il termine shoccante non per una intervista di uno storico che, tra l'altro, si è sempre posizionato su opinioni di sinistra al limite del filo-arabismo, bensì per giudicare e descrivere gli attentati che i killer con la kefiah mandati da Ramallah, compiono all'interno dello stato ebraico.
Per noi sono shoccanti questi attentati e certe immagini, per De Mauro un intervista che non dice le solite banalità buoniste sinistroidi.
Questione di punti di vista.

A pag.59 è pubblicato un sunto di un articolo tratto dal The Jerusalem Report che tratta il costo in termini economici di un eventuale ritiro da Gaza, come annunciato da Sharon.

C’è un aspetto della questione degli insediamenti ebraici nei Territori palestinesi che viene raramente affrontato: quello economico. Quanto costa andare a vivere in una colonia? E quanto dovrebbe sborsare Israele se si ritirasse dalla Striscia di Gaza, come ha annunciato di recente il premier Ariel Sharon? Il Jerusalem Report pubblica alcune cifre che fanno riflettere.

Se una famiglia di quattro persone vuole comprare una casa in un sobborgo di Gerusalemme, in territorio israeliano, lo stato le concederà un prestito di 18mila euro. Se la casa si trova nella colonia di Ofrah, in Cisgiordania, il prestito salirà a 59mila euro, di cui oltre quattromila sotto forma di sovvenzione. Per quanto riguarda i costi del ritiro, le cifre sono molto più incerte. Secondo uno studio dell’università di Tel Aviv, l’evacuazione costerebbe 119mila euro per ogni famiglia.

Nella somma è compresa la costruzione di una nuova casa, ma non il terreno, che sarebbe fornito dallo stato. Altra difficoltà: se la zona fosse lontana dalle grandi città, bisognerebbe creare nuovi posti di lavoro. Sempre meglio, comunque, dei 399mila euro a famiglia previsti da un’altra ricerca. Tenuto anche conto delle remore ideologiche di molti coloni, è facile capire che il ritiro dagli insediamenti non sarebbe indolore.
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