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La Stampa Rassegna Stampa
10.02.2004 Tutti uniti contro Israele
ma lotte a coltello all'interno dell' Anp

Testata: La Stampa
Data: 10 febbraio 2004
Pagina: 10
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Abu Ala da Berlusconi con una valigia piena di guai»
Pubblichiamo l' articolo di Fiamma Nirenstein a proposito della situazione interna palestinese e del viaggio di Abu Ala a Roma. Accurato, informato come sempre.
Il primo ministro palestinese Abu Ala mostra duttilità andando a trovare il primo ministro italiano Silvio Berlusconi, colui che invece rifiutò di incontrare Arafat, mentre strinse la mano a Sharon nel decisivo contesto dell’Intifada. E’ una duttilità che non mira soltanto al famoso Piano Marshall annunciato dal nostro premier, ma cerca consenso per le prossime fondamentali tappe della politica palestinese: il processo della Corte dell’Aja contro Israele per la barriera difensiva il 23 febbraio, e soprattutto il piano di sgombero di Ariel Sharon. In più Abu Ala ha una situazione interna da maneggiare con le pinze: stretto fra mille ostacoli, con la sorte ingrata di premier riformatore ma anche di funzione del raiss, solo Arafat decide della sua sorte, e la sponda straniera potrebbe fornirgli una relativa consistenza personale, una indispensabilità che per ora non ha nè per Arafat nè per l’Europa e gli Usa.
Qual è il compito del premier palestinese? Abu Ala dovrà insieme mostrare disponibilità e opposizione al programma di Sharon, un compito difficile. Disponibilità: perchè il ritiro da tutta Gaza è pur sempre un atto di buon senso e buona volontà, apprezzato persino da Kofi Annan; perchè una risposta estremista come quella che sta apparendo inquesti giorni dalle risoluzioni ufficiali e sulla stampa palestinese non sarebbe gradita dagli europei. Per esempi, già il comitato esecutivo dell’Olp domenica ha rilasciato un documento durissimo contro il piano già definito «razzista»., come ormai i palestinesi definiscono ogni mossa israliana, in cui «si chiama la comunità internazionale a non lasciare Sharon usare il pretesto di evacuare gli insediamenti di Gaza per espandere quelli dell’West Bank». Molto diverso da quando Abu Ala dichiarò che «era un passo positivo»; ma non troppo distante dalle sue dichiarazioni al Cairo, quando Abu Ala ha ripetuto la decisione di incontrare Sharon e la disponibilità a prendersi Gaza. E si sa che a Gaza, è molto difficile preparare il passaggio all’autonomia totale mamtenedo allo stesso tempo il potere di al Fatah.
Hamas è maggioranza, se si dovessero tenere le elezioni vincerebbe su una linea di continuo attacco terrorista a Israele, dall’Egitto e per mare fioccherebbero le armi. Non solo: nel Fatah stesso c’è guerra aperta, come dimostra l’incursione armata (con molti feriti)di Dahlan ex ministro degli interni,nell’ufficio del capo della polizia amico di Arafat e di Jibril Rajoub, Razi Jabali. Dahlan è accusato di puntare a fare da quinta colonna di Israele, accusa che si estende a tutti coloro che si oppongono il regime, comprese le grandi bande di malavitosi che infestano l’Autonomia. Jibril Rajoub, consigliere strategico di Arafat ha anche accusato di oggettiva connivenza con Israele 400 firmatari di una lettera di dimissioni dal Fatah presentata domenica al comitato centrale: la lettera, una sfida senza precedenti della generazio dei quaranta-cinquantenni, parla di «corruzione, abuso di potere, nepotismo», e però, insieme alla richiesta di riforme, inneggia alle Brigate dei Martiri di Al Aqsa e chiedendo più sostegno.
Sono segnali di impazienza prima di tutto verso Arafat, messi in ridicolo da alcuni alti dirigenti. Rajoub dice per esempio: «La critica è legittima solo se inviata attraverso le organizzazioni del caso»: Abbas Zhaki sostiene che ci sono firme di svariati «martiri» terroristi suicidi fra quelle mandate a Arafat. Di certo, la tempesta è enorme: molti giornalisti palestinesi sono assaliti con attacchi senza precedenti, botte e minacce. Ma sui giornali oltre ai soliti toni di propaganda sul «razzismo» e la diabolicità del disegno in realtà annessionista di Sharon («La Cisgiordania diventerà una seconda Gaza se la barriera razzista sarà completata», scrive il direttore del quotidiano Al Hayat al Jadida), si trovano autentiche novità.
Imad Sahur, uno dei consiglieri di Arafat ha pubblicato sul settimanale Al Sharq al Awsat una specie di appello per porre fine dell’Intifada, e ricorda il fato di Saddam Hussein che prometteva la vittoria contro gli Usa. Dichiara anche che non gli pace il termine «la Benedetta, la Santa Intifada». Sembra che Arafat abbia rivisto l’articolo prima che lo ripubblicasse il maggiore giornale palestinese, Al Ayam, e che ci sia ormai molta discussione aperta sugli errori fatti, sul terrorismo, su Camp David. Intanto, Hamas e la Jihad si vantano e minacciano. Questo il composito panorama dietro le spalle di Abu Ala, che, pure giovevole e razionale, forse per timore di fare la fine di Abu Mazen non ha mai accusato il terrorismo se non per biasimare «la violenza israeliana che genera violenza», né l’ha affrontato. Forse è quello che oggi gli chiederà Berlusconi in cambio del Piano Marshall.
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