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La Stampa Rassegna Stampa
05.02.2004 Hamas e Autorità palestinese non sono nemici
parola di Jibril Rajoub, delfino di Arafat

Testata: La Stampa
Data: 05 febbraio 2004
Pagina: 10
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Sharon, i ritiri unilaterali ormai non bastano più»
Sulla Stampa di oggi, giovedì 5 febbraio '04, Fiamma Nirenstein intervista Jibril Rajoub, uno dei più importanti tra i fedelissimi di Arafat e suo probabile erede. Ecco il pezzo.
L’autonomia palestinese, già in stato di grande crisi, cerca una linea strategica e contrattacca dopo che Ariel Sharon la mette in difficoltà con la sua decisione di ritiro unilaterale: questo si ricava dalla lunga chiacchierata di ieri all’Hotel Grand Park di Ramallah con Jibril Rajoub, duro generale, consigliere speciale di Arafat per i servizi segreti, di fatto il numero due, forse il suo successore, colui che, dopo l’intermezzo Abu Mazen-Dahlan, ha ripreso in mano per il rais il controllo degli armati dell’Autonomia. Rajoub è un tipo concreto e di sostanza, che tuttavia oscilla senza tregua fra dichiarazioni di contenuto e slogan. E tuttavia ci sono alcuni nuclei di novità nell’incontro che concede a un gruppo di giornalisti stranieri; che gli si attribuisca importanza lo si ricava dalla successiva sorpresa, una visita in compagnia di Jibril alla «Mukhata», dove fra le rovine Arafat di ottimo umore saluta uno dopo l’altro tutti i presenti, una implicita affermazione di controllo e di cortesia tipica di chi è ancora il capo assoluto. Qualcosa si muove.
Generale Rajoub, che ne pensa delle offerte di sgombero di Sharon da Gaza?
«Ogni sgombero è benvenuto se precede il riconoscimento di tutti i diritti di palestinesi, ovvero il riconoscimento della legalità internazionale, che chiede il ritorno di Israele ai confini del 1967».
Vuol dire che Sharon sbaglia?
«Certo. Ma cominciamo dall’inizio, ci sono tre temi sul tappeto: primo, le due parti non hanno fiducia l’una nell’altra; si tratta di fare un grande sforzo per fermare la violenza armata con segnali di buona volontà agevolati da paesi stranieri,(come hanno cercato di fare Ahmad Maher e poi anche la delegazione americana in visita la settimana scorsa); in secondo luogo,per quel che ci riguarda, fra pochi giorni una riunione di Al Fatah avvierà una ridefinitizione strategica dei metodi e degli obiettivi, e una ristrutturazione dei servizi di sicurezza per stabilire ordine e legalità; infine c’è il problema dei passi unilaterali del governo Sharon, che non sono altro che un tentativo di creare fatti compiuti sul terreno che impediscano un’autentica soluzione del problema. Non mostra di fatto nessuna di quelle buone intenzioni che consentano ai palestinesi di credere in una svolta. Ma la palla è nel suo campo, lui deve dare segnali».
Sgomberare insediamenti non è giudicato un fatto positivo?
«L’unilateralismo di Sharon sottintende l’idea israeliana che il problema centrale sia la sicurezza, e non l’accordo territoriale, i colloqui e gli incontri, dimentica la Road map che promette due stati per due popoli dichiarando impossibile il rapporto; ma oggi persino lo sceicco Yassin ammette uno stato palestinese indipendente nei confini del ‘67, e Fatah alla prossima riunione definirà chiaramente i suoi obiettivi verso uno Stato indipendente».
Vuol dire che occorre tornare alla Road map? Ma l’impegno da voi preso per avviarla era contro il terrore per prima cosa.
«Non c’è nessuna soluzione militare al problema della sicurezza che Sharon pone come paravento delle sue continue incursioni armate, della sua violenza, dell’attacco a cittadini innocenti. E l’unilateralismo non dice niente di buono: solo la rimozione dei check point e gli sgomberi da tutta la Palestina occupata aiuteranno contro la violenza».
Avete intenzione di combattere il terrorismo?
«E’ una domanda che non ha senso, dato che la violenza è un circolo che si genera soprattutto a causa degli attacchi dell’esercito israeliano».
Generale, avete fatto errori nell’Intifada?
«L’Intifada è il risultato della frustrazione generata dall’ occupazione. Errori tuttavia ci sono stati nella sua militarizzazione e negli attacchi a civili dentro la Linea Verde».
La riunione del Fatah potrebbe dare nuovi ordini?
«Darà nuovi ordini, e specialmente un orizzonte che renda concreto l’orizzonte di uno Stato indipendente, ma non per questo, certo, ci si deve aspettare che noi lavoreremo per gli israeliani, che andremo contro il nostro popolo».
In che rapporto siete con le Brigate di Al Aqsa?
«Sono nostre, una filiazione del Fatah, e parleremo anche di questo alla prossima riunione strategica».
E che farete con l’irriducibile Hamas, specie se resterà maggioranza a Gaza dopo l’eventuale prossima fuoriuscita di Israele?
«Fatah è la spina dorsale della rivoluzione, chiunque attenti alla sua linea politica deve tenerne conto. Però, Hamas non è un nemico, è parte del nostro popolo; e se dovesse risultare maggioranza in eventuali elezioni rispetteremo la decisione della gente».
Gli americani protestano perche non catturate gli assassini dei loro uomini a Gaza.
«Non è questione di non capire: il loro è un vero e proprio ricatto. Ci chiedono i responsabili dell’attacco alle auto americane come contropartita di molte clausole anche economiche dei nostri accordi. Non capisco perchè, se non interpretandolo come un ricatto».
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