Armi di distruzione di massa gli indizi c'erano e anche molto seri
Testata: Il Foglio Data: 05 febbraio 2004 Pagina: 1 Autore: Christian Rocca Titolo: «Un'antitesi. Con gli ispettori in giro la vera arma si radeva beato tutte le mattine»
Pubblichiamo un interessante articolo che va controtendenza rispetto a quanto si legge in questi giorni sui principali quotidiani a proposito delle WMD (armi di distruzione di massa) irachene. L'autore è Christian Rocca de Il Foglio. Le armi di distruzione di massa. Non c’erano o forse sì. Ma non sono state trovate e il capo degli ispettori, David Kay, crede che non si troveranno. Il dibattito può essere appassionante (non lo è), ma agli amatori si consiglia di prendere Kay per intero. Intanto il lavoro degli ispettori non è finito, "deve continuare" ha precisato lui stesso, poi, il 25 gennaio, al Daily Telegraph, ha rivelato che una parte delle armi segrete di Saddam è stata nascosta in Siria poco prima dell’inizio della guerra: "Non stiamo parlando di un grande arsenale, ma sappiamo che molto materiale è andato in Siria prima della guerra, inclusi alcuni componenti dei programmi di armi di distruzione di massa". Kay ha detto anche altre cose. Primo: "Baghdad, fino al momento dell’invasione americana di marzo, stava attivamente lavorando per produrre un’arma biologica usando la ricina (New York Times, 26 gennaio)". Secondo: "C’è stato un riavvio del programma nucleare" (NYT). Terzo: ha spiegato che Saddam era in violazione grave delle risoluzioni Onu sulle armi convenzionali, "l’Iraq aveva anche un attivo programma missilistico che stava ricevendo significativi aiuti stranieri fino all’inizio dell’invasione americana". A giudizio di Kay, "quei soldi venivano messi da parte per i programmi nucleari da far ripartire, perché gli iracheni pensavano di avere bisogno di un qualche tipo di testata per i loro nuovi razzi". Alla Nbc, il 26 gennaio, Kay ha detto che Saddam costituiva un pericolo crescente: "Credo che negli ultimi due anni Baghdad fosse diventata davvero più pericolosa rispetto a quanto ci eravamo resi conto".
Il rapporto Hutton. Blair non ha mentito, ha mentito chi ha detto che Blair aveva sexed up, esagerato, la minaccia irachena. Questo ha accertato il giudice Brian Hutton. Non è una vittoria ai punti, è knock out. Molti osservatori, di destra e di sinistra, non se ne sono convinti, neanche dopo il rapporto. Al contrario, sostengono che proprio la formula pienissima provi la colpevolezza di Blair. E’ giusto farli sfogare, in fondo. Ma non è vero che le testimonianze rese nel corso dell’inchiesta erano controverse, è vero il contrario. Anche la testimonianza di Susan Watts, collega dell’autore dello scoop fasullo, dava torto alla Bbc e discolpava Blair. Secondo un editorialista del Guardian e secondo Barbara Spinelli non è così. Entrambi, però, dimenticano che Susan Watts, il 14 agosto, davanti a Hutton negò che il professor Kelly le avesse mai parlato di aggiunte e manipolazioni compiute dai blairiani. La giornalista consegnò la registrazione del suo colloquio con Kelly, che scagionava Blair, e accusò i suoi capi della Bbc di averla tirata in ballo e di aver fatto pressioni nel tentativo "incauto e falso", così disse, di usare la sua intervista per avvalorare la tesi di Gilligan. Quindi, come dice il titolo del Guardian, il rapporto Hutton è certamente "giusto" sulle malefatte della Bbc, ma per dire che sia stato "sbagliato" su tutto il resto forse sarebbe meglio provarlo, e innanzi a Hutton non è stato provato. Sui giornali c’è chiacchiera,pura illusione che ciò che si desidera sia effettivamente vero (wishful thinking).
L’intelligence sulle WMD. Hutton non ha deciso di tenersi alla larga dalla questione delle WMD, s’è astenuto perché non era compito suo. Doveva valutare i fatti che hanno portato al suicidio di David Kelly. Se ne occuperanno le commissioni d’inchiesta appena annunciate, anche se in America c’è già un comitato bipartisan del Senato che indaga da sette mesi. Ci sono poi in corso anche le inchieste interne? Ce ne vuole un’altra? Giusto, a meno che l’obiettivo non sia quello di giudicare le sue conclusioni a seconda se condanni o meno Bush. Fareed Zakaria scrive che gli ispettori dell’Onu avevano capito benissimo che in Iraq le armi non c’erano? Hans Blix, che nelle interviste diceva questo, nei documenti ufficiali dava un’altra versiome, che smentisce Zakaria. Nella relazione presentata all’Onu due mesi prima della guerra, era il 27 gennaio, scrisse che l’Iraq non collaborava pienamente e che dalle stesse ammissioni di Saddam mancavano all’appello 6.500 bombe con mille tonnellate di agente chimico, e che, dunque, "in assenza di prove contrarie, dobbiamo presumere che di queste quantità non ci sia stata data spiegazione". L’Iraq, ha scritto ancora Blix, "sostiene di aver prodotto 8.500 litri di questo agente biologico bellico, ma dice di averlo distrutto nell’estate del 1991. Ha fornito poche prove, nessuna convincente sulla loro distruzione. Ci sono però forti indicazioni che abbia prodotto più antrace di quanto dichiarato (…). Dovrebbe ancora esserci". Sempre Blix, il 14 febbraio, un mese prima della guerra, al Consiglio di sicurezza disse: "Un’altra questione, ed è una questione di grande importanza, è che su molte delle armi e dei componenti proibiti non è stata data spiegazione. Non si può saltare alla conclusione che esistano. Comunque questa possibilità non è esclusa". Gli ispettori dell’Agenzia nucleare, infine, non si erano accorti del riavvio dei programmi nucleari.
Le responsabilità di Bush e Blair. I governi sono responsabili degli errori dei servizi. Come ha detto la senatrice Hillary Clinton in un’intervista di qualche mese fa, questi rapporti dei servizi risalgono all’Amministrazione di suo marito. Lo ha smozzicato anche lo stesso ex presidente e lo ha ripetuto Kay in un’intervista alla Pbs della settimana scorsa: "Dobbiamo ricordare che questa visione dell’Iraq è stata messa su durante l’Amministrazione Clinton, e non è cambiata con Bush". Stessa cosa, peraltro, dicevano servizi francesi e, soprattutto, quelli tedeschi. Chirac non ha mai messo in dubbio la presenza di armi, figuriamoci, chiedeva più tempo e per "disarmare" l’Iraq cercava soluzioni alternative che non implicassero la caduta del dittatore. Dire che gli errori dei servizi di tutto il mondo siano di Bush Blair è una stupidaggine, a meno che non si creda che i due abbiano falsificato le prove. Meglio dirlo, allora, e ricordarsi di portare le prove. Tertium non datur.
Le ragioni della guerra. L’articolo di Woolsey è uscito anche sul Foglio, dove da mesi si racconta che c’erano tre buone ragioni per fare la guerra: il regime change, i legami con al Qaida e le armi. Le prime erano non solo sufficienti, ma quelle necessarie dopo l’attacco a New York. Non è una follia dei neoconservatori, ma la tesi dell’editorialista principe del New York Times, Thomas Friedman, e di molti altri intellettuali di sinistra, da Paul Berman a Christopher Hitchens ad André Glucksmann. E’ la tesi di uno dei capi del socialismo europeo, tal Tony Blair, e di parecchi leader e dissidenti antitotalitari tra cui Vaclav Havel e Adam Michnik. Bush ha dato grande peso alle armi, mai dimenticandosi però le altre due ragioni. Ha sbagliato. Ma era un argomento più facile da vendere non solo rispetto all’opinione pubblica: il dipartimento di Stato, Colin Powell in testa, non voleva una guerra di liberazione. Non rientra nei suoi compiti far cadere le dittature. Il compito della diplomazia è quello di trovare accordi, di consolidare lo status quo.
Una scelta giusta per le ragioni sbagliate. La libertà in Iraq è, piuttosto, la posizione di pochi Democratici americani. Kerry condivideva e condivide ancora oggi la visione di Powell. Ha votato a favore della guerra per le armi, non per il cambio di regime. Ieri sera, dopo aver vinto cinque primarie, ha detto che fallito l’obiettivo delle armi questa resta una guerra ideologica che non andava combattuta. L’ideologia della lotta democratica e antifascista, pare che non sia più nelle corde dei Democratici. Ma è solo propaganda elettorale: ai tempi di Clinton votarono convinti la risoluzione ideologica per il regime change in Iraq.
Il dopoguerra. Il generale MacArthur ha impiegato 7 anni per ricostruire il Giappone. John McCloy 3 anni, più i 4 di occupazione militare, per far ripartire la Germania. Paul Bremer fin qui ha avuto 9 mesi di tempo e tra 5 trasferirà il potere agli iracheni. Pretendiamo già Porta a Porta. La situazione è critica, ma gli iracheni stanno meglio di prima. Solo a Baghdad e nel triangolo sunnita c’è un grave problema di sicurezza. Ma c’è la libertà, e la speranza di vivere come noi, senza nessuno che li torturi.
L’Onu. Non è riuscita a trovare la principale arma di distruzione di massa. Eppure era ben visibile. Con gli ispettori in campo si faceva la barba tutte le mattine. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.