Testata: Il Foglio Data: 05 febbraio 2004 Pagina: 3 Autore: La redazione-editoriale Titolo: «Due editoriali dal Foglio»
Sul Foglio di oggi appaiono due interessanti articoli di commento della politica israeliana. Il primo è un editoriale, il secondo è un commento sulla possibile nuova alleanza tra Peres e Sharon. Li pubblichiamo entrambi.
"Aiutare Sharon" Israele riapre la "road map" senza lasciare diritti di veto ad Arafat
Le ultime mosse del premier israeliano cominciano a far capire anche all’estero ciò che nello Stato ebraico tutti i soggetti responsabili sanno da tempo: la linea di Ariel Sharon, che vede la pace inseparabile dalla sicurezza, è l’unica che possa condurre il paese fuori dal tunnel. Sharon ha consapevolmente messo a rischio la stabilità del suo governo per togliere dalla strada per la pace l’ostacolo rappresentato dagli insediamenti ebraici a Gaza. E ora sembra intenzionato a chiedere il sostegno popolare a questa scelta dolorosa attraverso un referendum. Quelli che, soprattutto in Europa, continuano a mettere sullo stesso piano il premier israeliano e il presidente palestinese dovrebbero considerare che Yasser Arafat, invece, ha sempre subordinato qualsiasi mossa al mantenimento del suo potere personale, contribuendo così al fallimento dei tentativi dei vari leader palestinesi moderati. Stati Uniti ed Egitto sembrano aver compreso il rilievo delle proposte di Sharon, e premono sui palestinesi, pare con successo, perché avviino contatti diretti, finora rinviati con i più speciosi pretesti. Anche in Europa qualcosa si muove. I ministri degli Esteri dell’Unione hanno espresso avviso contrario all’ipotesi di denunciare Israele a una Corte di giustizia internazionale per la sua decisione di erigere il muro difensivo, e il vicecancelliere tedesco Joschka Fischer ha richiamato la coscienza europea all’esigenza di difendere senza tentennamenti il diritto all’esistenza di Israele. C’è chi ancora insiste a denunciare il carattere "unilaterale" della strategia di Sharon, senza considerare che Israele non può essere condannato ad attendere sotto i colpi dei terroristi che l’autorità palestinese, o quel che ne resta, sia in grado di garantire la sicurezza. Sharon, proponendo di abbandonare i territori, mette la leadership palestinese di fronte alle sue responsabilità, e intanto punta a garantire la sicurezza degli israeliani con le proprie forze. Chi vuole la pace ha il dovere di aiutarlo. "La strana coppia Sharon - Peres è tornata e fa sul serio" Gerusalemme. La strana coppia di Israele, come la chiamano nelle cancellerie, è tornata, e fa sul serio. Ariel Sharon annuncia l’intenzione di smantellare unilateralmente tutti gli insediamenti della Striscia di Gaza e tre in Cisgiordania. Assicura di essere pronto a contare chi sta con lui, nel governo, nella maggioranza e nel paese, con un referendum che non potrà non vincere. Dice, in un esemplare esercizio di leadership, di non voler più essere "alla mercè delle fazioni" e comunica a Israele e al mondo l’ormai prossima traduzione in atti delle "dolorose concessioni" che promette dal suo avvento al potere, tre anni fa. Lo fa nel giorno in cui Shimon Peres ottiene la rinconferma alla leadership laburista, e dunque ha la forza per offrire al primo ministro la rete di sicurezza che gli serve per andare avanti sulla via del gollismo. Si riconferma dunque una massima del New York Times: Sharon e Peres sono due vecchi amici divisi da toni e atteggiamenti, ma non dai contenuti. Per decenni hanno fatto lo stesso mestiere – rafforzare Israele – con i mezzi più consoni all’indole di ciascuno: le armi e la politica. Negli anni 50 erano i due principali protegé di David Ben Gurion, che vedeva una perfetta complementarietà tra i metodi spicci usati da Sharon e dalla sua famigerata Unità 101 per proteggere le frontiere del giovane Stato e la fermezza di Peres – allora direttore generale del ministero della Difesa – nel gettare le basi del programma nucleare israeliano e nel provare a far fuori, insieme a francesi e inglesi, Gamal Abdel Nasser. Quanto i cliché della colomba premio Nobel per la pace e del falco da processare in qualche modo nel Benelux siano da rivisitare, lo raccontano due dati: fu Peres, da ministro della Difesa, a dare il via negli anni 70 alla colonizzazione dei Territori occupati. E resta Sharon l’unico statista israeliano che abbia mai preso di peso i coloni, buttandoli fuori dal Sinai dopo la pace con l’Egitto. Vecchi amici, dunque. Solo quattro mesi fa, dal palco di un convegno all’università di Tel Aviv, Peres si rivolgeva così a Sharon, seduto in prima fila: "Arik, ma non ti sei stufato di stare nella sala d’attesa della storia?". Non era l’attacco gratuito del leader dell’opposizione, né la punzecchiatura risentita del partner di governo scaricato due anni prima: Peres intendeva dire che Sharon poteva e voleva farla davvero la svolta, e molto più di lui, lo statista più lucido ma anche più perdente della storia di Israele. Basta sentire come Mina Tzemach, il Mannheimer israeliano, chiosa il suo sondaggio che vede il 59 per cento degli israeliani favorevoli al ritiro da Gaza: "Non c’è dubbio sul fatto che l’imprimatur del premier sull’evacuazione abbia aumentato in misura notevole il numero di cittadini favorevoli". Peres lo sa, e oggi può forse garantire premier la realizzazione della svolta, se i 19 laburisti della Knesset – anche con un semplice appoggio esterno consentiranno a Sharon di arginare la defezione dei due partiti di estrema destra e quella annunciata ieri da una decina di parlamentari del Likud. E in ogni caso, Peres sa pesare le parole e non solo i fatti: dice che dopo l’annuncio di Sharon nessun primo ministro israeliano potrà più pretendere di mantenere Gaza, così come l’odiata Oslo aveva avuto conseguenze irreversibili anche per la destra che la negava. Sarà l’età, ma Peres crede ad Arik qundo gli sente dire che pensa al futuro di Israele. E guarda con interesse anche all’altro ballon d’essai gettato in questi giorni dal premier, ma oscurato dall’annuncio su Gaza: la possibilità ridisegnare i confini di Israele attraverso uno scambio popolazione con il futuro Stato palestinese: città araboisraeliane della Galilea in cambio di parti di West Bank. Perché la minaccia demografica c’è – secondo gli ultimi dati, un bambino israeliano su quattro è musulmano – e crescente richiesta di uno Stato binazionale, se si vuole salvare Israele, richiede una fermezza che soltanto la strana coppia può assicurare. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.