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La Repubblica Rassegna Stampa
30.01.2004 Sandro Viola antisemita? Ma no, l'antisemitismo è colpa degli ebrei!
Un ragionamento perverso basato su considerazioni di fantasia

Testata: La Repubblica
Data: 30 gennaio 2004
Pagina: 1
Autore: Sandro Viola
Titolo: «La trappola del terrore»
Il titolo dell'articolo dovrebbe essere cambiato, per conformarsi meglio al
contenuto: "la trappola della malafede" sarebbe certamente più appropriato.
Contrariamente alle nostre abitudini, non trascriveremo singoli passi dell'articolo per confutarli uno ad uno, ma cercheremo di delineare una analisi
sommaria, certamente, ma articolata dell'intero ragionamento che Viola
sviluppa con una supponenza che abbiamo avvertita come urtante ed offensiva. Poiché riportiamo di seguito a questo commento l'intero articolo, non sarà difficile ai nostri lettori verificare attraverso una accurata lettura quanto diremo.
L'avvio del ragionamento appare tranquillo, ma a chi conosce le tortuosità del pensiero di Viola risulta immediatamente avvertibile una ipocrisia di fondo, che traspare dall'uso di alcune parole.
Israele appare sorprendentemente vulnerabile ed indifeso malgrado la potenza
del suo esercito, esordisce Viola, e questa constatazione fa sì che cambi il
modo in cui, in Europa, tutta la problematica del conflitto fra Israele e
palestinesi viene percepita.
Viola parla dunque di apparenze e di percezioni, non di realtà. Il singolo
terrorista che ha la capacità di seminare stragi è la prova di questa
vulnerabilità: del resto noi tutti, noi europei, dice Viola, siamo esposti al medesimo pericolo che minaccia ogni israeliano in ogni momento della sua
normale vita quotidiana, e dunque è difficile per noi europei criticare come del tutto immotivata la durezza di Sharon.
Davvero ogni europeo deve temere quando va a mangiare una pizza sotto casa,
o quando prende l'autobus per andare in ufficio, o quando i suoi bambini vanno a scuola? Non è un pò esagerato, questo paragone? E cosa si nasconde
dietro ad esso? Lo capiremo proseguendo la lettura: il desiderio di annacquare la realtà vera in cui da tre anni ed oltre vivono gl israeliani, ogni singolo cittadino d'Israele come scrive Viola stesso. Il desiderio di indurre gli europei a pensare: ma se noi stessi corriamo gli stessi pericoli degli israeliani, e ciò malgrado non reagiamo come Sharon, perché mai dovremmo consentire a Sharon di fare indisturbato quel che non facciamo noi?
Riprendiamo il filo del ragionamento di Viola, per sintetizzarlo come segue:

1) Per diverso tempo noi giornalisti europei abbiamo criticato aspramente la
politica del governo Sharon e della destra israeliana, che costituisce un
ostacolo serio al conseguimento della pace coi palestinesi;
2) Non ci pentiamo di averlo fatto, perché avevamo tutte le ragioni per
farlo;
3) Ora, da poco, ci rendiamo però conto che in Europa esiste un problema al
quale non eravamo preparati: un risorgente antisemitismo, e non possiamo non
tenerne conto diventando più cauti;
4) Il vero motivo che deve indurci alla cautela quando critichiamo Israele e
la sua politica è, tuttavia, che "le comunità ebraiche e la pubblicistica
pro-israeliana" sostengono che "sono proprio le critiche al governo d'Israele il brodo di coltura del nuovo antisemitismo";
5) Conclusione: l'aggravarsi ed incancrenirsi dell'antisemitismo in Europa
è colpa degli ebrei e dei filo-israeliani che non consentono di criticare
Israele, ed accusano chi lo fa di essere un antisemita.

E, giusto per restare coerente, poche righe più in là Viola mette in
parallelo "la politica della forza di Ariel Sharon" e "le sofferenze dei
palestinesi".
No, questo NON E' ANTISEMITISMO: E' MANIPOLAZIONE, E' DISINFORMAZIONE. E'
FALSIFICAZIONE DEI FATTI attraverso una lente deformante.
La controprova è di una banalità elementare: gli attentati suicidi hanno
preceduto la vittoria elettorale del governo di destra, anzi hanno causato la caduta di un governo di sinistra che aveva portato a termine un ritiro
unilaterale dal Libano ed aveva offerto ai palestinesi uno stato
indipendente con Gerusalemme per capitale. E le sofferenze dei palestinesi
(dove mettiamo quelle degli israeliani?...) sono una conseguenza di quella
scelta scellerata di rifiuto di un onesto compromesso politico: prima del NO
di Arafat la condizione della popolazione palestinese era invidiabile sotto
il profilo economico e quello sociale.
Ma, lasciando da parte queste polemiche alle quali un Viola è certamente
impermeabile, vogliamo concludere sottolineando la semplice equazione alla
quale lui perviene e che tenta di avallare come addirittura venata di
simpatia per gli ebrei e per Israele: l'antisemitismo, se non è colpa degli
ebrei al centopercento, è comunque una conseguenza della loro incapacità di
accettare una critica politica legittima e fondata.
E dunque mettiamoci l'animo in pace: continueremo a vedere articoli non faziosi introdotti da un titolo a caratteri cubitali che ne falsa il contenuto, fotografie di carri armati israeliani che puntano il cannone contro mamme e lattanti a corredo di cronache che parlano di autobus sventrati, citazioni di fonti israeliane che vengono falsate quando non inventate addiruttura, i terroristi definiti "militanti" od "attivisti" ma mai "terroristi"...e dovremo tacere per non fomentare l'antisemitismo.

Ecco l'articolo di Sandro Viola

L´autobus esploso ieri a Gerusalemme, l´ultima strage compiuta da un kamikaze fondamentalista, ci fa riflettere su come sia cambiato da qualche tempo, allo sguardo di noi europei, il quadro del conflitto israelo-palestinese.
In questo quadro, quel che oggi predomina è la vulnerabilità d´Israele. La percezione che la sua forza militare potrebbe battere qualsiasi esercito della regione che s´affacciasse ai suoi confini, può mettere a ferro e fuoco le città e i villaggi palestinesi, ma nulla può per fermare gli shaid, i martiri, che escono a file sempre più folte dal ventre del terrorismo islamico. Sicché ogni giornata d´Israele è potenzialmente la giornata d´una strage. Ogni israeliano che esca da casa secondo le sue normali abitudini di vita, è esposto alla minaccia dell´attentatore-suicida.
Questa diversa percezione della tragedia che si svolge ininterrotta tra Israele e Palestina, ha avuto un effetto ben preciso. Le critiche nei confronti della politica del governo Sharon si sono andate man mano attenuando. I raid dell´esercito israeliano a Gaza e nelle città della Cisgiordania, lo stillicidio dei morti palestinesi, la mancanza d´una vera volontà politica - da parte delle destre israeliane - di giungere al compromesso territoriale e a una tregua: tutto quello, cioè, che ancora un anno fa ci faceva insorgere e chiedere giustizia per i palestinesi, ci vede oggi quasi sempre senza più parole.
Come puntare l´indice, infatti, contro un governo che sottoposto ad una continua e terribile minaccia, reagisce in forme che ieri sì (quando da dietro gli angoli non spuntavano i kamikaze) apparivano inaccettabili, ma che oggi possiamo giungere a comprendere? Dopo tutto, sia pure virtualmente, tutti siamo esposti allo stesso pericolo. Le bombe di Al Qaeda serpeggiano sempre più vicine alle nostre città, così che anche le nostre giornate rischiano di diventare, un giorno, come quelle israeliane. Insicure, convulse, il fianco esposto alla pazzesca ferocia del terrorismo islamico.
Non è solo la vista delle vittime sui marciapiedi delle città israeliane, tuttavia, ad aver reso sempre più rade e sommesse le critiche contro la condotta del governo di Gerusalemme. C´è anche altro, infatti: e cioè i risultati d´alcuni sondaggi dai quali emerge che in Europa, l´Italia compresa, persiste un atteggiamento negativo o addirittura un´avversione nei confronti degli ebrei. Anche quei sondaggi hanno contribuito a creare un imbarazzato silenzio attorno al conflitto israelo-palestinese. E questo perché le comunità ebraiche e la pubblicistica pro-israeliana ne hanno tratto spunto per sostenere che sono proprio le critiche al governo d´Israele il brodo di coltura del nuovo antisemitismo.
Qui stanno le ragioni che hanno sbilanciato da qualche tempo l´ottica con cui guardiamo al conflitto israelo-palestinese, rendendoci quasi del tutto silenziosi dinanzi alla politica della forza di Ariel Sharon, e sempre più indifferenti di fronte alle sofferenze dei palestinesi. In primo luogo, dunque, la vulnerabilità dello Stato degli ebrei, e in secondo luogo il risultato dei sondaggi sull´antisemitismo. Ma giovano, i nostri silenzi? No, non giovano ad alcuno. Smettere di criticare la condotta israeliana anni non è possibile. E qui non ci si riferisce, ovviamente, a quel che accade nelle manifestazioni dei no global e della sinistra comunista: dove giovani che nulla sanno di come stiano le cose in Palestina, probabilmente avviati (per la propria ignoranza e per l´ormai lacero ideologismo dei loro capi) a concezioni e comportamenti antisemiti, si cingono la testa con la kefìah e urlano slogan contro Sharon.
Qui si parla delle critiche di chi conosce la questione israelo-palestinese, e ha sempre pensato che additare la gravissima ingiustizia che i palestinesi stanno subendo non potesse mai e poi mai essere scambiato per antisemitismo. I giornalisti e gli intellettuali, cioè, che negli anni hanno illustrato e contestato le occasioni perdute da Israele per giungere ad un arresto della carneficina. Sono costoro, ed io tra questi, ad essere spiazzati e intimiditi dalle reazioni scaturite da quei sondaggi. Perché nessuna persona bennata vuole passare per antisemita, mentre proprio a questo mirano le reazioni della pubblicistica pro-israeliana: a far ricadere su chi critica la politica del governo Sharon le responsabilità dell´antisemitismo che ha ripreso ad affacciarsi qua e là in Europa.
Vediamole un momento da vicino, queste posizioni pro-israeliane. Esse inglobano nell´antisemitismo, giustamente, l´antisionismo. Svelano l´ipocrisia di chi dice - com´è venuto fuori da uno dei sondaggi - «non sono antisemita ma penso che lo Stato d´Israele rappresenti oggi il maggiore pericolo per la pace mondiale». Sin qui niente da obbiettare: perché chi non riconosce allo Stato degli ebrei una piena legittimità (oltre al diritto di vivere in sicurezza), o è un antisemita o è un cretino. Le obbiezioni emergono, invece, quando nell´antisemitismo vengono inglobate anche le critiche più specifiche e circostanziate alla visione e alle scelte dei governi d´Israele e d´una parte della società israeliana, in quanto è da esse che trarrebbero alimento le pulsioni antisemite.
Queste critiche - e a volte condanne - dei modi con cui Israele ha agito e agisce, non possono essere infatti accomunate all´antisemitismo per la semplice ragione che sono le stesse critiche e condanne che l´altra parte della società israeliana riserva al suo governo. E chi conosce Israele, sa bene che cosa intendo per «l´altra parte della società israeliana»: il meglio delle sue intelligenze, i moderati, i tanti che hanno capito come la politica di Ariel Sharon (insieme, beninteso, alla follia sanguinaria dei fondamentalisti palestinesi) abbia avvicinato la situazione sull´orlo del baratro.
Sono anch´essi antisemiti, il paio di milioni d´israeliani che vorrebbero un altro governo e un´altra politica verso i palestinesi, o la condotta d´Israele può essere contestata solo dal di dentro e non dal di fuori? Se l´Europa soffre d´un male vergognoso come la risorgenza dell´antisemitismo, questo comporta che bisognerà mettere la sordina alle condizioni in cui vivono i palestinesi dopo trentasette anni d´occupazione, senza più un´economia né speranze di ricostruirla, nelle loro città e villaggi disastrati, nei loro campi da cui i bulldozer israeliani hanno divelto ulivi e vigneti, impossibilitati a muoversi da una città all´altra (e adesso, col Muro, senza più poter andare dal villaggio nei propri campi, nelle scuole, negli ospedali), dunque abilitati soltanto a celebrare funerali? La ripugnanza, il timore d´essere bollati come antisemiti ci dovrà far tacere su tutto questo?
No, non bisognerebbe tacere. Lo stallo sanguinoso in cui si trova oggi la contesa sulla Palestina ha due responsabili: il tumore fondamentalista che sta facendo marcire strati sempre più vasti del popolo palestinese, e l´opposizione delle destre israeliane a qualsiasi seria, accettabile idea d´uno Stato dei palestinesi. La trattativa deve quindi riprendere, tentando d´oltrepassare questi due ostacoli, e sinché non ricomincia tutti dobbiamo essere liberi di criticare chi cerca d´azzopparla. Senza timore, nel caso delle critiche a Israele, d´essere tacciati d´antisemitismo. Perché quando vuole, come ha dimostrato proprio ieri lo scambio di prigionieri con gli Hezbollah libanesi, il governo israeliano tratta anche con i terroristi. E questo significa che, volendo, potrebbe negoziare con i palestinesi nonostante la follia omicida degli shaid.
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