Piccoli passi per la democrazia in Medio Oriente dove ce n'è veramente bisogno
Testata: Il Foglio Data: 23 gennaio 2004 Pagina: 3 Autore: un giornalista Titolo: «Chalabi fa scuola, ecco la Coalizione contro l’altro Baath»
Il Foglio di oggi pubblica un articolo che spiega come tra i dissidenti siriani del regime di Damasco si voglia creare una coalizione simile a quella guidata da Chalabi nel caso iracheno. La speranza è quella, da noi condivisa, della diffusione della democrazia in Medio Oriente. Milano. Si sono riuniti una seconda volta nel giro di pochi mesi gli esponenti della neonata opposizione siriana, fortemente sostenuta dagli Stati Uniti. Lo hanno fatto qualche giorno fa in Europa, a Bruxelles, e i temi trattati sono stati gli stessi della prima riunione, avvenuta a novembre scorso all’ombra della Casa Bianca: hanno discusso della rigidità del regime di Damasco, dell’anacronismo del partito Baath, della questione dei diritti umani, della libertà di espressione, del problema dei prigionieri politici. Pochi mesi dopo la creazione e la messa in campo da parte di Washington di un’opposizione irachena alla Ahmed Chalabi, gli esponenti della giovane opposizione siriana, quasi tutti in esilio e raggruppati nella Syrian Democratic Coalition, auspicano un dopo Saddam à la syrienne. La Coalizione democratica ha mosso i primi passi all’incontro di novembre a Washington, ma l’idea della creazione di un fronte unico in cui riunire tutti i gruppi d’opposizione della Siria è un’ennesima conseguenza dell’11 settembre. La sua prima manifestazione è stato il Partito riformista siriano (Rps), di cui Farid Ghadry, una delle maggiori figure della Coalizione, è presidente. Musulmano sunnita, ha fondato un partito i cui membri provengono dalle diverse minoranze del paese: ci sono infatti cristiani e curdi. Ghadry è un siriano della diaspora, ha vissuto per dieci anni in Libano prima di spostarsi negli Stati Uniti e in Europa. L’obiettivo che il partito si prefigge è la creazione di una "Nuova Siria" pluralista, con libertà religiosa e in cui una solida classe media faccia fiorire l’economia. Il regime di Damasco non è all’oscuro di quello che si sta muovendo al di fuori dai suoi confini. In gennaio un giornale nazionale ha scritto del Partito riformista, e l’emittente del Qatar, al Jazeera, non si è fatta sfuggire lo scoop. E’ lecito chiedersi se questa prima cellula della nuova Coalizione democratica sia temuta in patria o per lo meno se esistano ragioni perchè il regime possa realmente sentirsi minacciato. Ghadry, che al Washington Times ha detto di rifiutare l’idea che l’unica alternativa al partito Baath siano i Fratelli musulmani, sfrutta Internet per entrare in contatto con i siriani sparsi per il mondo: nel sito del partito i suoi obiettivi sono esposti senza mezzi termini. Accanto al Partito riformista ci sono il Movimento cristiano siriaco, il Forum democratico siriano, un’associazione tribale, l’Associazione delle donne e dei bambini siriani, un gruppo di emigrati, Siria per i siriani, l’Associazione siriana per i diritti umani, il Centro democratico di ricerca e altri tre partiti che hanno chiesto di rimanere anonimi per questioni di sicurezza. La Coalizione ha stilato una Carta in cui elenca i suoi principali obiettivi, dalla fine del regime baathista alla formazione di un governo di transizione in attesa di elezioni libere, dal rispetto dei diritti umani alla lotta al terrorismo. Un’altra figura chiave della Coalizione democratica è Nizar Nayouf, caporedattore di Saut al democratyia, la Voce della democrazia, premiato dall’Unesco con il World Press Freedom Prize, imprigionato dopo essere stato accusato di aver fatto circolare false informazioni. Nayouf ha più volte accusato il regime di Bashar Al Assad di avere occultato nel territorio siriano armi di distruzione di massa che Saddam Hussein avrebbe fatto passare clandestinamente dall’Iraq. La democrazia in Medio Oriente potrebbe dunque cominciare sulla via di Damasco, prima ancora che su quella di Baghdad? L’esistenza di un’opposizione in esilio si va a sommare ai gesti di apertura del presidente Bashar el Assad nei confronti degli Stati Uniti, della Turchia e ai millimetrici ma percettibili movimenti verso Israele. Atteggiamenti che stonano con le voci di infiltrazioni di militanti islamici in Iraq dal confine siriano e di occultamento delle armi di sterminio, ma che dimostrano che qualcosa si sta muovendo in senso positivo e che non è da escludere che Assad possa prestare orecchio alla voce di un’opposizione debole ma ben sostenuta da Washington. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.