Pena di morte, qualcosa contro cui battersi interessa a quelli che che puntano il dito su Israele?
Testata: Europa Data: 23 gennaio 2004 Pagina: 3 Autore: Imma Vitelli Titolo: «Esecuzioni a pieno regime»
Su Europa di oggi, venerdì 23 genanio 04, Imma Vitelli, lodevole eccezione tra le firme del quotidiano della Margherita, pubblica un'inchiesta sulla pena di morte in Medio Oriente. A parte Israele, vi è ampio ricorso a questo strumento tra i regimi arabi. Un unico appunto, i cosiddetti omicidi mirati non possono essere considerati come pena di morte poichè si configurano in una situazione di guerra nella quale Israele si trova costretto a colpire prima di essere a sua volta colpito. Per gli israeliani si tratta esclusivamente di un estremo atto di autodifesa, pertanto non vanno messi sullo stesso piano. Ecco l'articolo. All’alba di sabato scorso, nel cortile del più grande penitenziario libanese, due uomini legati a un palo e un terzo, a 10 metri, con un cappio al collo, si sono guardati intorno per l’ultima volta. Davanti a loro, due plotoni di otto soldati ciascuno, un colonnello e un agente. Alle 5,30 in punto il colonnello urlava "Fuoco!", i soldati sparavano, l’agente sfilava lo sgabello sotto i piedi del terzo uomo, Ahmed Mansour, condannato alla forca da un tribunale civile per aver ucciso otto colleghi una mattina del 2000, nell’istituto previdenziale degli insegnanti privati. Secondo la legge libanese, è peggio morire sparati che impiccati. Per questo gli altri due, Badih Hamade, militante islamico e assassino di tre uomini dei servizi segreti, e Remi Zatar, ladro di banche e killer di due agenti di polizia, sono stati finiti col piombo: la loro sentenza era stata firmata da una corte militare.
Quando il primo ministro era vegetariano Chi c’era, ha raccontato poi dell’incredulità dei tre condannati, di come abbiano sperato fino alla fine che gli attivisti, che l’Unione europea, che qualcuno riuscisse a fermare la macchina della vendetta di stato, ferma qui in Libano da cinque anni. La moratoria si è rivelata più che altro un incidente della storia, complice un ex primo ministro vegetariano, Salim Hoss, uno che era riuscito a bloccare le esecuzioni ripetendo in giro di non sopportare l’idea che si uccida un animale, «figuriamoci un uomo». Contrariamente alla sensibilità di Hoss, in Medio oriente il più spietato dei castighi è ampiamente praticato, nel nome della legge islamica e per conto di regimi che lucidano così le proprie credenziali religiose. Ma anche il popolo lo invoca, come dimostra la folla di sciiti scesi in piazza nei giorni scorsi in Iraq per chiedere, assieme alle elezioni, la testa dell’odiato Saddam. Secondo l’ultimo rapporto di Amnesty International, nel 2002, ci sono state esecuzioni in 10 paesi (Egitto, Iran, Iraq, Giordania, Kuwait, Yemen, Siria, Emirati, Arabia Saudita e Territori palestinesi). Quanti siano stati esattamente fucilati, impiccati o decapitati, è un dato custodito dai regimi come un segreto di stato. Di certo c’è che molti dei verdetti sono stati emessi dai tribunali militari, che non contemplano appelli, nè sottigliezze: è la guerra al terrorismo islamico, bellezza. L’Egitto è un buon esempio. Negli ultimi dieci anni, ci sono state 530 sentenze di morte e 213 esecuzioni. Ad avere la peggio: fratelli musulmani, militanti islamici e chiunque abbia avuto la cattiva idea di essere in qualche modo associato alla Gamaat islamica e alla Jihad, i due maggiori gruppi terroristici. Domanda: qual è il regno dove lo stato taglia la testa in piazza ai suoi sudditi peccatori? Risposta (facile): l’Arabia Saudita. Lo scorso anno è toccato a più di 40 persone, metà delle quali lavoratori stranieri (indiani, pakistani, srilankesi). Tra i sauditi, tre hanno pagato con la vita l’omosessualità. Altri sono stati messi a morte perchè colpevoli di apostasia (si erano convertiti a una religione diversa dall’Islam) ed esorcismo.
Ma ci dovrebbero essere prove impugnabili A prendere molto sul serio i reati di adulterio, contemplati in quasi tutti i paesi della regione, è invece l’Iran. E' di qualche giorno fa la notizia dell’arresto di una coppia a Qazvin, nella zona centrale del paese, condannata a morte perchè gestiva un bordello. Al marito hanno dato 13 anni di prigione, 155 frustrate, una non meglio precisata multa e, dulcis in fundo, morte per impiccagione; alla moglie 10 anni di reclusione, 80 frustrate e come castigo finale la lapidazione. Se tutto ciò vi sembra esagerato, è perché non conoscete il Corano. «Nel contesto di una giusta società islamica, la pena di morte ha un ruolo importante da giocare», ha detto Massoud Shadjareh, della Commissione islamica per i diritti umani di Londra, alla tv Al Jazeera. «Ma a differenza di quanto avviene oggi, l’accusato dovrebbe essere processato in un tribunale islamico, con prove d’accusa inoppugnabili». La filosofia islamica, ha spiegato ancora Shadjareh, stabilisce che la durezza della pena è un indispensabile deterrente. Previene i reati contro la persona, ma anche le minacce alla stabilità sociale. Secondo la Svaria, due sono i crimini punibili con la morte: l’omicidio intenzionale e la «diffusione del disordine nella patria». Quest’ultimo include, nell’interpretazione generale_ tradimento, apostasia, terrorismo, stupro, adulterio e omosessualità Sebbene nel mondo arabo si faccia un gran parlare di questi tempi di democrazia e diritti umani, le due questioni non vanno a braccetto. Di elezioni e libertà di stampa si può parlare e si parla; altri argomenti rimangono invece solidi tabù. A una recente conferenza a Sana’a, il segretario della Lega araba Amr Moussa a una domanda sui gay ha risposto: no comment. Sulla pena capitale, è stato leggermente più loquace: «Ma perchè rompete le scatole a noi? E l’America allora?». Che l’America sia uno dei paesi che giustizia più persone in tutto il mondo, è un fatto. Altrettanto curioso è che lo faccia usando argomenti religiosi simili a quelli adottati dai regimi arabi. Ricordate l’appassionata difesa del repubblicano Antonin Scalia, giudice della Corte suprema Usa? «Il governo deriva la sua autorità morale da Dio. E' il ministro di Dio, ed ha il potere della vendetta, la vendetta con la spada, lo dice San Paolo riferendosi inequivocabilmente alla pena di morte». La vendetta con la spada di solito non opera distinguo. In tutti paesi in cui vige la legge islamica, ma anche negli Stati Uniti, è applicata a prescindere dall’età del condannato. Con una sola eccezione: lo Yemen. Da tre anni, il regime di Ali Saleh ha emendato il codice penale ed escluso i minorenni. «In America, invece, gli adolescenti continuano a giustiziarli», ha detto con orgoglio la minstra per i Diritti umani Amat Al Alim Al Soswa. Un altro paese finito di recente sulla lista rosa di Amnesty International è la Turchia. Islam o non Islam, lo scorso 9 gennaio ha definitivamente buttato nel cestino la vendetta di stato, abolendola anche per i crimini di guerra. Ankara ha così ratificato la convenzione europea sui diritti umani, tappa indispensabile per entrare a far parte dell’Unione europea.
L’eccezione di Israele Prima che la Turchia cambiasseidea, lo stato ebraico era l’unico paese non forcaiolo della regione. La prima ed ultima esecuzione risale al 31 maggio 1962, quando Adolf Eichmann, l’architetto della "soluzione finale" nazista, fu impiccato nella prigione di Ramle e le sue ceneri gettate nel Mediterraneo. La pena di morte è prevista nel codice ma solo per genocidio o atti di tradimento per conto di un paese con cui Israele è in guerra. L’opinione pubblica è fermamente contraria al boia di stato, e sui giornali di Tel Aviv e Gerusalemme non si risparmiano critiche all’Autorità palestinese, che invece ricorre alla fucilazione in casi di omicidio e stupro (13 condanne nel 2002). Il paradosso è che il 90 per cento degli israeliani sostiene invece gli omicidi mirati dei militanti palestinesi. Secondo Yael Stein, dell’associazione per i diritti umani Btselem, «la considerano una diversa procedura». Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione di Europa. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.