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La Stampa Rassegna Stampa
20.01.2004 Una cronaca da Israele, rosa-nera
Quando lo stato di diritto pone questioni di difficile soluzione

Testata: La Stampa
Data: 20 gennaio 2004
Pagina: 9
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «L’assassino di Rabin vuole sposarsi. In Israele tutti cercano di impedirglielo»
Su La Stampa di oggi, Fiamma Nirenstein racconta la vicenda di Yigal Amir, l'assassino di Rabin, la cui richiesta di matrimonio ha suscitato un forte dibattito in Israele. Ecco il suo articolo.
«SUL mio cadavere»: questa è, più o meno la reazione colletiva di Israele alla notizia che Ygal Amir sta per chiedere ai Servizi delle Prigioni di sposarsi la prossima Pasqua. Amir, come si sa, è l’estremista di destra che assassinò a sangue freddo il Primo Ministro israeliano Ytzchak Rabin nel 1995. L’uomo non ha mai dato nessun segno di pentimento, e anzi ha sempre continuato a darsi l’atteggiamento di un capo politico, di un mistico esecutore di una volotnà superiore. Il suo atteggiamento sardonico e il sostegno che la sua famiglia e sparuti ammiratori integralisti hanno seguitato a offrirgli dopo che è stato condannato a una serie di ergastoli e al carcere duro hanno suscitato un sentimento di rifiuto e disgusto ancora maggiore verso di lui. Dalla sua parte, non si scorge pentimento, al contrario.
La prima reazione che la richiesta di Amir ha raccolto è stato un attacco di cuore (non grave) della figlia di Rabin, Dalia Rabin Filosoff, che è stata ospedalizzata nel mezzo della notte per lo stress procuratole dalla notizia. «Se sarà necessario - ha detto Shimon Peres - domani stesso proporrò una legge ad hoc che impedisca di sposarsi all’assassino del Primo Ministro, un uomo che deve espiare il fatto di aver procurato un lutto senza precedenti nella storia a ogni cittadino, e anche di avere attentato alla democrazia». «Un matrimonio così potrebbe avere luogo solo di fronte a una piscina piena di sangue» ha detto la deputata laburista Dalia Ytzick; e Yaacov Ganot, il direttore dei Servizi delle Prigioni, colui che dovrebbe personalmente fornire il permesso per il matrimonio, ha dichiarato senza battere ciglio, che, per quello che lo riguarda, lui quel permesso non lo darà mai: «Perchè - ha spiegato - sposarsi per Ygal Amir non sarebbe un gesto d’amore, ma l’inizio di una macchinazione ben concertata con tutta la sua famiglia: si comincerebbe a chiedere per lui più permessi per incontrare la moglie, e poi se magari lei fosse incinta allora sorgerebbero problemi psicologici e di salute, e ancora, se magari nascesse un bambino, il bambino avrebbe bisogno di vedere il padre senza il vetro che per ora divide Amir dai visitatori..magari si chiederebbe che venisse tolto dall’isolamento. Insomma è un complotto politico, e io, che ancora tuttavia non ho ricevuto nessuna richiesta, non intendo sottostarvi».
Ma non sarà così facile: le leggi in Israele prevedono chiaramente diritti per i carcerati, anche per i più efferati assassini (anche i terroristi si sposano in prigione) che preservano una quantità di diritti civili: un famoso avvocato Avigdor Federman costituzionalista, dice appunto che con tutto il rincrescimento, se Amir si vorrà sposare, sarà molto difficile impedirglielo «perchè la legge è legge, e non sono ammesse le leggi ad personam». La quasi futura sposa ha quarant’anni e quattro figli, il suo nome è Larissa Trimboler, vive a Gerusalemme, proviene dalla Russia, insegna filosofia e il suo cotèe ideologico è quello del nazionalismo religioso più duro. Ma lei insiste, nelle poche parole che le sono state strappate che le sue visite all’assassino di Rabin sono state tutte di carattere umanitario, per vedere l’essere umano che veniva celato dalla demonizzazione; per visitarlo l’attuale fidanzata fece richiesta insieme al suo marito di allora, Benyamin (si, esiste anche questa piccante parte della storia) due anni fa.
A Byniamin fu vietato l’ingresso; a lei invece fu concesso 22 mesi fa di visitare l’assassino. «Ygal non si considera così - disse un anno fa in’intervista a un settimanale - parla di ciò che ha fatto come di un’eliminazione programmata, dovuta». Larissa racconta come le conversazioni siano state per la maggior parte su libri, testi di filosofia , Nietszche, Kirkegaard, Descartes, Jung, Thomas Mann. Poi, Ygal Amir chiese di poterle parlare al telefono, e il permesso fu prima negato; ma poi accordato in base alle leggi carcerarie dopo che l’uomo fece appello alla Corte per la seconda volta. Pare che Larissa gli abbia consigliato più volte di ammettere di essere stato spinto al delitto, ma Amir avrebbe risposto: «Mai, altrimenti diventerei un assassino». Invece, pensa così di essere un eroe, un’opinione condivisa solo dalla sua mamma Geula, maestra di asilo, che è molto amica di Larissa: la madre, ha detto, aspetta con ansia le nozze, ha detto, e vuole diventare nonna.
Come lei, qualche folle delle colline come un residente dell’insedimento di Tapuah, David Haivri, che «augura a Ygal di uscire presto dalla cella e di vivere felice con la sua sposa». Un’augurio davvero isolato. Sull’altro fronte un intero mondo che non sa adesso come gestire il proprio rispetto per i diritti umani. Coerente ma isolata Zaava Gahon, una deputata del partito di estrema sinistra, il Meretz dice: «Se tutti gli assassini possono sposarsi in carcere, sarebbe un gravissimo errore fare un’eccezione per Amir». Eppure l’opinione pubblica anche a destra la pensa diversamente. Daniel Bel Lulu del Likud non lo manda a dire: «In assenza della pena di morte, l’unico diritto che io riconosco a Amir è di vivere».
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