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La Stampa Rassegna Stampa
19.01.2004 Il Senato si impegna contro il pregiudizio antisemita
e invita da Israele Nathan Sharansky

Testata: La Stampa
Data: 19 gennaio 2004
Pagina: 12
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Sharansky: il pregiudizio antisemita allontana la pace in Medio Oriente»
Riportiamo l'intervista al ministro israeliano Nathan Sharansky di Fiamma Nirenstein e pubblicata sulla Stampa di lunedì 19 gennaio '04. Sharansky è stato invitato dal Presidente del Senato Marcello Pera. Terrà una conferenza a Palazzo Giustiniani giovedì 22.
Nathan Sharansky, ministro d’Israele per la diaspora e Gerusalemme, fu accusato nel luglio del 1978 di tradimento dall’Urss e condannato a Mosca a tredici anni di prigione. Aveva trent’anni quando fu condannato: fisico eminente, nato in Ucraina, era già un decennio che combatteva per le sue idee e per il diritto di andare a vivere in Israele. Era sposato da un solo giorno quando sua moglie Avital ottenne nel 1974 il visto di uscita, e divenne da quel momento la sua più fervente sostenitrice anche in anni in cui nel buio del carcere Sharansky era dato per perduto. Sharansky giunse da Israele nel 1986 mentre anche altri refusenik, fra cui Ida Nudel approdavano alla terra tanto amata.
Signor ministro, lei sta per partire per l’Italia per la lettura annuale del Senato sul tema del nuovo antisemitismo alla Sala Zuccari, alle sei di giovedì: il 27, sarà il Giorno della Memoria. Molti titoli nei media riguardano storie di antisemitismo: c’è l’indagine in Italia secondo cui il 35,9 per cento degli italiani immagina che gli israeliani si comportino con i palestinesi come i nazisti contro gli ebrei; c’è la vicenda del vostro ambasciatore che ha protestato al Museo di Stoccolma per quella che ha ritenuto la glorificazione di una terrorista suicida.
«Ha avuto ragione a reagire sul posto, in particolare quell’attentato è fra i più efferati e bestiali: mentre si faceva saltare per aria uccidendo 22 innocenti a pranzo al ristorante Maxim, la terrorista ha tirato verso di sè, secondo testimoni oculari, una carrozzina con un bambino neonato..tre generazioni della stessa famiglia, nonna, genitori e figli sono stati sterminati fra gli altri a Haifa».
Lei non crede che uscire dai canoni diplomatici sia un improvvido nervosismo?
«Ci sono situazioni in cui i canoni diplomatici diventano addirittura fuori luogo. Vorrei vedere cosa farebbe un diplomatico svedese se si imbattesse in un monumento all’assassino di Anna Lind, la ministra uccisa al supermarket..».
L’artista è ebreo..
«Anche in Urss, quando ero in carcere, c’erano parecchi leader ebrei. Ci sono stati ebrei fascisti..e molti ebrei aiutano a tutt’oggi, come sempre, l’antisemitismo. La terrorista ha ucciso anche degli arabi al ristorante di Haifa. E con ciò?».
Torniamo all’antisemitismo: esso si espande a macchia d’olio in Europa: eppure il compito della memoria non è stato abbandonato.
«Intanto, mi lasci reagire alla domanda sugli ebrei eguali ai nazisti: è una domanda che di per sè è segno di ingiustificabile pregiudizio. Quanto alla memoria: è giusto e utile che alcuni stati Europei abbiano istituito questo giorno. Ma Robert Wistrich chiama giustamente l’antisemitismo "l’odio più lungo": dall’attacco agli ebrei di Alessandria del 38 dopo Cristo, all’affare Dreyfus, alla Kristallnacht. L’Europa è madre e oggi erede sia dell’antisemitismo teologico medievale, come di quello razziale dell’era moderna. In Urss ho vissuto l’antisemitismo comunista: come molti ho creduto che antisemitismo e totalitarismo fossero connessi. Ma non è più così: ho invitato nel mio ufficio gli ambasciatori di Francia e Belgio, due paesi illuminati e democratici, proprio come la Svezia, per parlare di centinaia di attacchi fisici, incendi, boicottaggi...bene, ho capito che questo antisemitismo è differente da quelli precedenti.L’ambasciatore belga mi ha detto: "L’antisemitismo sparirà quando non si vedranno più in tv immagini di ebrei che opprimono i palestinesi"».
E lei che ne pensa?
«Che è un punto di vista che colpevolizza gli ebrei, anzi, l’ebreo collettivo, Israele, coprendolo di colpe che non ha. La condanna di Israele è frutto di accecamento ideologico: si scambia la difesa per l’attacco, la strage di innocenti volontaria con la tragica perdita di innocenti nel corso della guerra al terrore. Questo ha origine nel pregiudizio, che è l’anima dell’antisemitismo. Comincia nel 1967 Israele vinse la guerra dei Sei Giorni, in cui benchè in pericolo di vita vinse con un clamoroso successo. Cadde l’idea dell’ebreo-vittima cui gli Stati che avevano partecipato alla tragedia della Shoah erano abituati. L’ebreo ubbidiente e chino fece posto a quello vittorioso: questo è risultato insopportabile per l’Europa. Da allora, anche quando Arafat ha rifiutato le migliori offerte di pace, anche quando le bombe umane hanno cominciato a scoppiare a catena, Israele è diventato colpevole».
Molti però sostengono che non siamo di fronte a un’ondata di antisemitismo, ma a una forte critica della politica del governo Israeliano.
«Si vede che non è vero dalla demonizzazione di Israele, per cui Sharon come lo rappresentano non poche vignette (come quella dell’Independent), è un sanguinario divoratore di bambini palestinesi; dal doppio standard di cui sono pieni gli archivi dell’Onu che condanna solo Israele mentre non si toccano stati come la Cina, o stati africani genocidi; dalla negazione stessa del diritto di Israele ad esistere, dalle bugie che ne fanno uno stato di apartheid, un assassino di innocenti. Inoltre, gli attacchi, le botte, gli incendi, i boicottaggi in tutta Europa vanno ben oltre la critica. Il motivo è che l’Europa è tornata alla tradizione dell’appeacement: con il conflitto arabo israeliano e la diffusione del terrore,è arrivato a grandi ondate l’antisemitismo dei Paesi musulmani e l’Europa ha lasciato che si innestasse sulle sue radici. Il mondo islamico trasse dall’Europa le teorie del complotto, i Protocolli dei Savi di Sion, e le antiche credenze cristiane dell’ebreo assetato di sangue umano (le azzime impastate di sangue); ne ha fatto un mostro senz’altro scopo che il male altrui...E dato il parallelismo cronologico fra la guerra terrorista e l’ondata antisemita-antiamericana, in Europa si è creduto di potere contenere il rischio tenendosi fuori.. ma la debolezza incita a più terrorismo, più antisemitismo..».
Considera che il pericolo sia fisico e imminente?
«Certo che sì, e non solo per gli ebrei. L’antisemitismo per cui molti ormai pensano che per il bene di tutti Israele debba sparire, fa spazio alle ideologie totalitarie del terrorismo».
Signor Ministro, dal carcere duro in Urss è divenuto ministro dello Stato in cui sognava di emigrare. Eppure le sue parole sono dure e tristi.
«Al contrario: ho vissuto l’esperienza del totalitarismo, la repressione della libertà di coscienza, l’antisemitismo, e non ho mai smesso di credere nel cambiamento.Oggi penso che sia in atto uno scontro non fra ebrei e antisemiti, ma una guerra fra democrazia e tirannia, ed essa nella mia esperienza può essere sconfitta: con la democrazia si placa l’incitamento che porta popoli interi a odiare nemici immaginari a beneficio del loro dittatore. Per questo penso che la rivoluzione avviatasi in medio Oriente con la destituzione dei Taleban e di Saddam Hussein sia un buon inizio. Spero nella pace».
Ma l’Europa cosa potrebbe fare per bloccare l’antisemitimo?
«Può fare moltissimo, affrontando quella le radici del terrorismo, combattendo l’insegnamento dell’odio che è ormai un sistema intero internazionale, con i libri scolastici, la TV, la radio. Occorre proibire le menzogne, tagliare i fondi per la loro produzione, far conoscere la realtà del conflitto, la sua storia vera, e la realtà del terrore. Una volta ho chiesto in un campus se i ragazzi dei movimenti che manifestano sia per i diritti dei gay che per Arafat, si rendevano conto che fra i palestinesi nessun gay, nessun diverso è libero. Israele è l’unica democrazia dell’area, e i movimenti democratici devono tornare a saperlo».
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