Si fa esplodere a 17 anni adesso la sua famiglia vuole vederci chiaro
Testata: La Stampa Data: 17 gennaio 2004 Pagina: 12 Autore: Fiamma Nirenstein Titolo: «Martire a 17 anni: la famiglia accusa»
Fino a che arrivavano gli assegni (Saddam, Arafat, Arabia Saudita o da chiunque altro poco importa) le famiglie dei terroristi suicidi si facevano vedere in TV orgogliose per la morte del congiunto e per la strage che aveva procurato. Con i rubinetti un po' più a secco, anche la società palestinese comincia a mostrare un altro volto. Come ci racconta magistralmente Fiamma Nirenstein nell'articolo uscito oggi sulla Stampa. Invitiamo i nostri lettori a congratularsi con la Stampa per l'alto livello di qualità degli articoli della corrispondente da Gerusalemme. Iyad al Masri è esploso a Nablus forse per imperizia senza portare a termine il suo attentato. Il padre chiede ora all’autorità palestinese un’inchiesta per stabilire chi ha deciso di mandare a morte il ragazzo
UNA REAZIONE CORAGGIOSA IN UNA SOCIETA’ AMMALIATA DAL MITO DEL KAMIKAZE GERUSALEMME PER vie tortuose tuttavia qualcosa si scuote nella società palestinese da cui ormai da tre anni partono a schiera terroristi suicidi di ogni età e di ogni classe sociale, in cui l’ideologia della shahada, il martirio, ha occupato da sola gran parte dello spazio dell’antico nazionalismo. I limiti del lecito sembrano scricchiolare: la giovane madre di due bambini piccoli che si è fatta esplodere al passaggio di Eres (forse di nuovo in stato di gravidanza, si dice) ha avuto un funerale da eroina e le lodi di Arafat, ma la gente è rimasta perplessa che una mamma e in più religiosa sia stata mandata a farsi saltare per aria. Tanto che lo sceicco Yassin, capo supremo di Hamas, ha dichiarato la sua estraneità all’evento, contrariamente a tutti gli indizi che, secondo i servizi israeliani, portano diritto a lui. La famiglia della ragazza, che ha seguito tuttavia la procedura per così dire regolamentare dello stile glorioso che celebra gli atti dei terroristi suicidi, pure ha ribadito che la ragazza era ormai estranea alla famiglia, che il marito era l’unico che da quattro anni la teneva veramente sotto controllo. La gente intorno alla tenda di accoglienza mormorava la sua perplessità. Anche nella zona industriale, dove per ora i lavoratori palestinesi, a costo del pane, non possono più arrivare almeno fino al ripristino del check point distrutto, si sentono voci inusitate come quella di Fawaz Radwan, 42 anni che lavora in una fabbrica di legname: «Penso che sia giusto battersi per metter fine all’occupazione - dice - ma dobbiamo pensarci 100 volte prima di ogni gesto». La storia più significativa è quella della famiglia di un ragazzino di 17 anni, Iyad al Masri, che è saltato per aria senza uccidere altro che sè stesso all’inizio della settimana mentre si avviava con la cintura di tritolo a compiere un attacco suicida in Israele. La famiglia, gesto inusitato, si è rivolta arrabbiata all’Autorità Palestinese chiedendo un’inchiesta che scopra chi ha reclutato il loro figlio e gli ha fornito l’itinerario e l’esplosivo. Per capire a fondo la tragedia della famiglia Masri, un clan molto importante e onorato di Nablus, si deve leggere il quotidiano palestinese Al Ayyam, che racconta come il fratello quindicenne di Iyad fosse rimasto ucciso solo due settimane prima durante degli scontri con l’esercito israeliano. Durante il funerale del fratello, nella orribile girandola di sangue che è diventata questa guerra, il cugino di Iyad Masri era a sua volta stato ucciso dagli israeliani. Mancano i particolari su questi scontri. In pieno lutto, Yiad al Masri è stato contattato da qualcuno che ha fatto germogliare sul suo lutto la decisione di emulare gli altri due Shahid, martiri, della famiglia. Il giornale riporta che il padre Bilal, e qui si vede la torsione perversa della protesta, sostiene che chi reclutò il ragazzo non aveva affatto a cuore il risultato dell’azione, il suo successo o il suo fallimento, perchè «data la pesante presenza israeliana a Nablus, il giovane non aveva nessuna possibilità di successo». Sia le Brigate di Al Aqsa che la Jihad Islamica dopo il fallimento dell’azione l’hanno rivendicata telefonando alla tv degli hezbollah, Al Manar. Ma poi i membri delle organizzazioni a Nablus si sono tirati indietro. Così, abbiamo un padre che appare normale quando dice: dopo tanti lutti, chi è stato così pazzo da mandare anche Iyad, il mio figlio diciasettenne, a morire. E’ umano e commovente anche quando Bilal al Masri spiega altre ragioni della sua ira e dalla sua richiesta di indagine: «Iyad non aveva mai lasciato Nablus prima e non avrebbe saputo andare in nessun posto - racconta - sarebbe stato per lui impossibile raggiungere da solo la sua destinazione». Aggiunge che il ragazzo era stato visto confuso nel villaggio di Jainsafut nel nord del West bank, e là aveva chiesto dove fosse un punto molto lontano, il check point di Kalandia sulla strada Ramallah- Gerusalemme. E un cugino Yasser, aggiunge: «Chi l’ha mandato è senza cuore e non teme Allah. Suo fratello e suo cugino era stati appena uccisi. Come si può avere tre morti in una famiglia in una settimana?». Sentimenti la cui umanità dona speranza: ma il documento con cui la famiglia chiede l’inchiesta dice che «l’operazione non aveva possibilità di successo e che il risultato era ovvio». Che significa? Che se invece avesse ucciso un buon numero d’israeliani allora sarebbe stato accettabile in una famiglia il terzo morto teen ager in due settimane? Il padre sottolinea di essere fiero della sua fede politica e di non essere diverso dagli altri palestinesi nel sostenere l’insurrezione e opporsi all’aggressione (israeliana). Insomma, se qui si intravede un malessere rispetto al fatto che tutti i limiti umani e familiari sono stati infranti, tuttavia neanche un padre evidentemente molto sofferente osa rompere culturalmente il clima di esaltazione terrorista che rende ormai lo shahid l’eroe popolare più rispettato e imitato, l’ideologia per cui alla tv l’ultima settimana di dicembre un gruppo di bambini dichiaravano in coro che Israele non ha diritto di esistere e che il martirio è il loro ideale, per cui già gli infanti vengono muniti di armi finte e vestiti da terrorista nella prima infanzia, per cui ogni bambino nell’West Bank pensa alla morte più che alla vita.
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