Politica israeliana, sì al ritiro da Territori lo dice in un sondaggio l'opinione pubblica
Testata: Il Foglio Data: 13 gennaio 2004 Pagina: 4 Autore: Emanuele Ottolenghi Titolo: «Gli israeliani appoggiano Sharon e l'idea di lasciare i Territori»
Sul Foglio di oggi, martedì 13 gennaio '04, Emanuele Ottolenghi compie una lucida analisi sulla politica interna israeliana. Senza fare troppe congetture, come invece ci hanno abituato gli "esperti" alla Igor Man. Riportiamo integralmente l'analisi. C’è gran fermento in Israele sul fronte palestinese. La destra radicale israeliana è scesa in piazza domenica sera, forte di 100 mila partecipanti, per manifestare contro il progetto del primo ministro israeliano, Ariel Sharon, di smantellare insediamenti israeliani nei territori e attuare un parziale ritiro unilaterale se nei prossimi mesi ogni tentativo di riavviare i negoziati coi palestinesi fallisse. Basta un colpo d’occhio per capire che, se da un lato Sharon avrà vita dura a promuovere il preannunciato ritiro, molto è cambiato in Israele. Solo dieci anni fa, quando Israele firmò gli accordi di Oslo, Sharon sarebbe stato lì tra i politici invitati a parlare, nella grande piazza di Tel Aviv ora dedicata a Itzhak Rabin, dove storicamente si svolgono le radunate oceaniche di destra e sinistra sui grandi temi politici del giorno. Domenica invece Sharon era l’oggetto della rabbia della destra. Già nel 1998, dopo la firma degli accordi della Wye River Plantation, la destra radicale si mobilitò per far cadere il governo di Binyamin Netanyahu, facendo un clamoroso autogol che portò la destra a perdere le successive elezioni e aprì la strada del potere a Ehud Barak. A giudicare dalle facce e dagli slogan, la destra non ha ancora preso le misure della realtà nuova della regione e dell’opinione pubblica. Certo, Sharon avrà i suoi grattacapi: quindici membri del governo erano sul podio, e un ancor più folto contingente di membri del Parlamento, alcuni dei quali della maggioranza, hanno aderito alla manifestazione. Ma se dovesse trovarsi a domare una rivolta e a perdere i partner di coalizione più di destra – il Partito nazionale religioso e l’Unione nazionale – Sharon può sempre contare sui laburisti e persino su Shas per una maggioranza a favore di negoziato e/o ritiro. E se invece i ribelli vincessero spodestandolo, la destra dovrebbe fare i conti o con uno Sharon rieletto (la popolarità delle sue politiche in tema di sicurezza è alta) o, peggio ancora dal loro punto di vista, con un ritorno della sinistra al potere. Questa è la realtà interessante nel panorama politico israeliano attuale.
Uno scontro adattato alla realtà Il dibattito politico-strategico di dieci anni fa era tra la posizione della sinistra sostenitrice della formula pace-per-i-Territori e la posizione della destra favorevole alla Grande Israele. Oggi lo scontro si è adattato alla realtà: da una parte esiste la divisione trasversale che percorre lo spettro politico da destra a sinistra tra chi crede ancora nei negoziati e chi preferisce un ritiro unilaterale; e dall’altra vi è lo scontro tra i fautori di Ginevra da una parte e le posizioni di Sharon. In pratica il dibattito ormai è su quanto Israele deve concedere ai palestinesi, a che prezzo e con che contropartita. La novità di vedere Ariel Sharon schierato al centro, attaccato da destra, e fautore dello smantellamento di almeno alcuni degli insediamenti da lui stesso creati non è transitoria, ma esprime un profondo mutamento di opinione tra il pubblico oltre che nella leadership: secondo il sondaggio mensile del Tami Steinmetz Centre di Tel Aviv (Peace Index) gli israeliani (72 per cento) temono il fattore demografico e la possibilità che svanisca l’opzione dei due Stati a lungo andare se Israele rimane nei Territori. La crescente insistenza dei palestinesi per uno stato binazionale, che anche gli arabi israeliani esprimono ormai apertamente, spinge il pubblico a sostenere sempre più l’uscita israeliana dai Territori.
La piazza rimane sola In caso di negoziati, l’80 per cento pronto a lasciare quasi tutti gli insediamenti della Cisgiordania e tutti quelli di Gaza, mentre il 50 per cento lascerebbe Gaza anche senza negoziati (quindi unilateralmente). In quanto alla Cisgiordania, pubblico sostiene un ritiro anche senza negoziati, ma è disposto a concedere di meno. La differenza nell’estensione di territorio che Israele lascerebbe si spiega solo in termini di garanzie di sicurezza, inesistenti senza accordo. Inoltre, il pubblico vuole poter mantenere carte negoziali per il futuro, quindi è comprensibile che il ritiro unilaterale concederebbe meno ai palestinesi. Questo è esattamente quanto offre Sharon. Il pubblico è con lui. I centomila schierati in piazza invece, per quanto chiassosi e organizzati, sono soli. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.