Il terrorismo non ha prezzo Ecco cosa veramente fanno le pacifinte Ong palestinesi
Testata: Il Foglio Data: 09 gennaio 2004 Pagina: 1 Autore: Un giornalista Titolo: «I gruppi umanitari palestinesi non vogliono dissociarsi dal terrorismo»
Sul Foglio di venerdì, 9 gennaio '04, un'interssante editoriale parla del rifiuto delle principali Ong palestinesi di abiurare il terrorismo come condizione per ricevere aiuti economici. Un termometro di quanto i fondi destinati all'Anp siano senza controllo e come queste organizzazioni non abbiano fatto altro che fomentare la violenza. Ci voleva tanto a capire che organizzazioni come la mezzaluna rossa, sorpresa più volte a trasportare cinture esplosive nelle proprie ambulanze, erano inevitabilmente compromesse? Il sostegno preconcettuale alla causa palestinese paradossalmente non ha fatto che danneggiarla, allontanadola dalla trattativa e dal compromesso, unica via per una soluzione del conflitto. Ecco il pezzo. Roma. No, quella firma non la metteranno mai, piuttosto rinunciano ai fondi, e chiunque si sentisse abbastanza tranquillo nella coscienza da decidere che non c’è niente di male ad aderire alla coercizione, se la vedrà con loro. Che ci sarà nella richiesta fatta da Stati Uniti e alcune nazioni dell’Unione europea per scatenare rifiuti e sdegnate affermazioni di principio fra le Ong, le organizzazioni non governative palestinesi? C’è una richiesta semplice, che vale per tutte le Ong e che tutte le Ong di altre nazioni hanno già sottoscritto, cioè l’impegno a non utilizzare il denaro che ricevono per finanziare e sostenere il terrorismo. Tutto qui, come spiega Portia Palmer, portavoce di UsAid, l’agenzia americana per lo sviluppo internazionale, "non è una richiesta fatta solo ai palestinesi, non è un pregiudizio, è quasi routine in epoca di terrore". Ma il network che raggruppa le organizzazioni palestinesi, ben novantadue, più altre che sono invece interne all’Autorità palestinese, e che si chiama Pngo, ha detto di no, e ha già annunciato manifestazioni di protesta a Gaza e West Bank. Si capisce meglio il problema ricordando che fra i gruppi c’è Hamas, ufficialmente diviso in branca politica e branca umanitaria, quest’ultima nell’elenco dei finanziamenti, in realtà finanziatore e organizzatore di centosei stragi compiute contro Israele negli ultimi tre anni. Si capisce anche che tra le cosiddette organizzazioni umanitarie di Arafat c’è una disinvolta gestione comune, una copertura spontanea o sotto ricatto. La "certificazione riguardante il finanziamento del terrorismo", come si chiama il documento, dice che le Ong si impegnano a "non fornire sostegno materiale né risorse a qualunque individuo o ente che sostenga, pianifichi, sponsorizzi, o sia stato coinvolto in attività terroristiche". Il testo si basa sull’Executive order 13224, che elenca i gruppi che gli Stati Uniti giudicano legati per certo al terrorismo, con i quali chiede a chi usufruisce dei finanziamenti di non collaborare. Sono esclusi dalla certificazione le medicine e gli oggetti di culto. Nell’elenco c’è Hamas, Jihad islamica palestinese, le Brigate dei martiri di al Aqsa, il Fronte popolare per la liberazione della Palestina, il Fronte democratico per la liberazione della Palestinese, insomma le sigle e le firme del terrorismo degli ultimi anni, e non solo rivolto contro Israele. Ma quelli che scelgono di non rinunciare al terrorismo dovrebbero invece avere nomi puliti, come Red Crescent, la Mezzaluna rossa palestinese, l’Unione generale delle Società di beneficenza, l’Istituto nazionale per le Ong palestinesi, il Centro per i diritti umani, la Commissione tecnica per le questioni femminili. Motivano il rifiuto con una presunta violazione della loro legalità, che qualunque condizione richiesta significherebbe. Dice Issam Yunis, direttore del Centor Mizan, che "questo documento dovrebbe essere boicottato da tutti, comprese le autorità locali, i partiti politici e le università. Tutte queste istituzioni dovrebbero rifiutare completamente il documento, e dovremmo pubblicare una lista degli enti che accetteranno di firmarlo". L’ultima frase è una minaccia chiara, guai a chi decidesse di aderire alla richiesta, rischia grosso, com’è costume nella società e nella politica palestinese. I soldi americani Qualche cifra: la Red Crescent palestinese riceve trecentomila dollari all’anno dagli Stati Uniti, e ha già detto di no; dal 1993, anno degli Accordi di Oslo, gli Stati Uniti hanno distribuito un miliardo e trecento milioni di dollari per programmi palestinesi in West Bank e Striscia di Gaza, in assistenza umanitaria ed economica; il Congresso ha stanziato nel 2003 soltanto centoventicinque milioni di dollari. La teoria della minaccia per chi non sta alla regola del no viene spiegata al Washington Times, serenamente, da James Zogby, presidente dell’Istituto arabo americano, il quale dice di non prendere il rifiuto come una dichiarazione di sostegno al terrorismo, piuttosto come l’unico modo di evitare una "tremenda pressione politica", perché, e qui l’Occidente non capirebbe, ritenere che le organizzazioni palestinesi possano giudicare chi è un terrorista e chi non lo è significa creare le premesse per la guerra civile in Gaza e West Bank. Perciò sono tutte pronte a cercare fondi alternativi, dalle nazioni europee che non aderiscono alla richiesta di certificazione, e da altre, come il Giappone, che non ha ancora preso una decisione. Per ora. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.