Il quotidiano della CEI inventa la questione bedunia non si sa più a che cosa ricorrere per denigrare Israele
Testata: Avvenire Data: 08 gennaio 2004 Pagina: 22 Autore: Alessandro Michelucci Titolo: «Israele, due Stati non basteranno?»
Stupisce molto che Avvenire, di solito giornale serio ed equilibrato nei confronti del Medio Oriente, pubblichi il ridicolo articolo di Alessandro Michelucci. E' pieno di falsità ed inesattezze storiche e con dati senza fonti, che al lettore risulterà pura denigrazione dello Stato d'Israele. I Beduini sono una popolazione nomade che vaga da generazioni nel deserto; proprio per il loro nomadismo è assurdo sostenere che con essi lo Stato d'Israele possa aver avuto contenziosi di tipo territoriale. In una situazione di guerra, come quella che caratterizza Israele, il governo si adoperò affinchè i beduini avessero dimora stabile.Sovente da loro rifiutata, preferendo la condizione di nomadi. Un simbolo dell'integrazione dei beduini nella società israeliana è invece il fatto che essi servano nell'esercito, così come avviene con i drusi. Dell'esistenza dei Falascià si è venuto a conoscienza a metà degli anni trenta, per questo sono una componente del tutto particolare tra gli ebrei del mondo, proprio perchè non hanno avuto alcun contatto con altri ebrei fino a quella data. I Falascià, ebrei d'Etiopia, scoprirono che la loro antica patria era Israele. Per questo il governo israeliano si adoperò per riportarli a casa; un'emigrazione che continua tuttora. I Falascià (ma sarebbe più corretto scrivere Falash Mura) sono cittadini a pieno titolo dello Stato d'Israele. Pubblichiamo l'incredibile, falso, ridicolo articolo. I lettori giudichino fino a che punto ci si può spingere pur di attaccare Israele. La questione mediorientale viene generalmente ridotta al lungo contenzioso fra israeliani e palestinesi, unici attori di un problema che secondo molti osservatori dovrebbe trovare soluzione nella formula "due popoli, due stati". Naturalmente la convivenza fra queste due entità rimane la chiave di volta del problema, ma nel martoriato paese mediorientale ci sono anche altre comunità che aspirano a un pieno riconoscimento dei propri diritti. Oggi vivono in Israele circa 6 milioni e mezzo di persone, con una maggioranza ebraica che rappresenta l’81%. La minoranza più numerosa è quella araba, che però non rappresenta una realtà sociale omogenea, ma è divisa in tre gruppi ben distinti (beduini, drusi e sanniti). Oltre ai Falasha, esistono anche piccole com, unità armene, baha0i, circasse e zingare.
Gli arabi del deserto I beduini sono i pastori nomadi che vivono da secoli nel deserto del Negev, la regione meridionale confinante con l’Egitto. Arabi e in maggioranza musulmani sanniti come gli altri palestinesi, si distinguono da questi per il mantenimento della struttura tribale. In seguito alla fondazione dello stato israeliano i 70.ooo beduini che vivevano in Palestina furono oggetto di confische territoriali che continuarono fino al 1966. i nomadi vennero deportati nell’estremo nord del Negev. Nel 1950 l’Egitto si rivolse all’ONU per protestare contro l’espulsione di 4000 beduini, lamentando che questi erano stati cacciati dalle loro case e costretti a varcare il confine. La legge emanata nel 1953 per regolare i diritti territoriali stabilì che la terra che «non era in possesso del proprietario» nell’aprile 1952 poteva esserea accatastata come proprietà demaniale. In questo modo lo stato divenne lo strumento attraverso il quale la terra veniva sottratta agli arabi e data agli israeliani. Le confische ripresero negli anni Settanta, quando Israele decise di concentrare in sette villaggi i beduini rimasti. All’inizio del 2002 l’ILA (Israel Lands Administration) ha utilizzato materiali tossici per distruggere 12 km quadrati di colture che erano state piantate dai beduini. Secondo l’ILA, le colture occupavano illegalmente un territorio demaniale. L’operazione ha colpito anche alcuni villaggi, scatenando la reazione degli abitanti. Oggi i nomadi del Negev vivono in una condizione che li rende particolarmente vulnerabili. Ai problemi territoriali se ne aggiungono altri. I beduini che vivono nei Territori Occupati, per esempio, hanno scarsità di acqua perché una grande quantità viene utilizzata dai coloni per annaffiare le piante.
Il volto nero di Jahvé Beta Israel, la casa d’Israele: questo è il termine con il quale si autodefiniscono gli ebrei originari dell’Etiopia, meglio noti come Falasha (stranieri). Si tratta di 25.000 persone, almeno due terzi delle uali risiedono in Israele. La loro origine è avvolta nel mistero, ma secondo David Ibn Zimra, rabbino egiziano vissuto nel quindicesimo secolo, discenderebbero dalla tribù perduta di Dan che viene menzionata nella Bibbia. Isolati per molti secoli dalle altre comunità giudaiche, i Falasha hanno sviluppato alcune differenze dottrinarie nei confronti dell’ebraismo propriamente detto. Influenzati dal cristianesimo, hanno adottato la pratica monastica; parlano l’amhara (la lingua di Hailé Selassié), non conoscono la lingua ebraica e quindi ignorano il Talmud. La legge emanata da Israele per garantire il diritto di cittadinanza a tutti gli ebrei dispersi nel mondo (1950) non comprendeva i Falasha. Il primo leader israeliano a manifestare interesse per la questione fu il conservatore Menachem Begin, eletto nel 1977. Menghistu, il dittatore che aveva spodestato Hailé Selassié, permise ad alcuni Falasha di emigrare in Israele in cambio dell’aiuto militare fornito da Tel Aviv nella guerra contro l’Ogaden. Il patto doveva restare segreto, ma Moshé Dayan lo rivelò pubblicamente e l’operazione venne interrotta. Nel 1984, spinti dalla carestia, molti falasha lasciarono l’Etiopia per riparare nel vicino Sudan, ma molti morirono durante il viaggio. Negli anni Novanta, anche in seguito alle pressioni internazionali, l’atteggiamento di Tel Aviv è cambiato. Il primo gruppo di falasha è arrivato in Israele nel giugno del 1999. l’esodo è continuato negli anni successivi. Nel 2002 il governo ha approvato un piano che prevede l’accoglienza di 20.000 falasha.
Le comunità più piccole In Israele vivono anche un migliaio di zingari, che si autodefiniscono Dom. la maggior parte è concentrata nella parte vecchia di Gerusalemme. Come gli zingari di altri paesi, hanno accettato l’idioma e la religione dei luoghi dove si sono stanziati: sono musulmani e parlano l’arabo insieme al domari, la loro lingua. Da qualche anno, grazie alla Domari society fondata da Ahmoun Sleem, questa minoranza dispone di iniziative culturali e didattiche che prima erano del tutto inesistenti. Altrettanto piccola è la comunità dei cristiani armeni, 1500 persone che vivono nel quartiere di San Giacomo, nella parte vecchia della città santa. Più numerosi sono i circassi, turcomanni di origine caucasica concentrati in due villaggi della Galilea, Kufr Kana e Rihaniya. Come i drusi, contro i quali combatterono al fianco dei francesi nel 1925, hanno accettato di prestare servizio militare nell’esercito israeliano. La comunità più piccola è quella che segue la religione baha’i, fondata alla fine del diciannovesimo secolo dal persiano Mirza Husain Ali Nuri. Questo culto sincretista è diffuso soprattutto in Iran, dove è stato oggetto di persecuzioni feroci, ma ha la sua sede centrale a Haifa. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione di Avvenire. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.