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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
06.01.2004 Cosa intende fare Israele
Lo spiega molto chiaramente il vice premier Ehud Olmert

Testata: Corriere della Sera
Data: 06 gennaio 2004
Pagina: 12
Autore: Davide Frattini
Titolo: «Ma non aspetteremo a lungo i palestinesi»
E poi ci sono dei direttori che ti dicono sai, il mio potere è limitato,ci sono sono gli esteri, sono loro che comandano, e poi i sindacalisti,loro sono tutti contro Israele, cosa posso fare io, povero direttore preso tra mille fuochi....
Ecco cosa può fare un direttore. Lo ha dimostrato Stefano Folli, succeduto a quel De Bortoli che tutto faceva tranne che dirigere. I risultati si vedono. Come dimostra l'intervista di Davide Frattini ad Ehud Olmert che pubblichiamo. Niente di elogiativo, per carità, nessun peana nè squilli di tromba. Domande serie e equilibrate alle quali seguono risposte la cui validità è lasciata l giudizio dei lettori. Esattamente l'opposto di quanto accadeva prima nel quotidiano di via Solferino. Non è poco.

L’INTERVISTA / Il vicepremier Olmert spiega le ragioni che potrebbero portare alla separazione unilaterale

« Ma non aspetteremo a lungo i palestinesi »


DAL NOSTRO INVIATO
GERUSALEMME — E’ stato il primo a parlare di separazione unilaterale. Preoccupato soprattutto dalla sfida demografica con i palestinesi e dal rischio che gli ebrei diventino minoranza nello Stato che hanno fondato. Ehud Olmert, 58 anni, vice- premier israeliano e ministro per il Commercio e l’Industria, con la sua proposta ha anticipato di qualche settimana l’annuncio fatto dal primo ministro Ariel Sharon il 18 dicembre e ribadito ieri.
Al lavoro nel suo studio al ministero, avvolto nell’aroma di un sigaro cubano che aspira mentre riflette sulle risposte, spiega il progetto.

Le truppe israeliane che circondavano Jenin da oltre quattro mesi hanno tolto il blocco e si sono ritirate. Sono i primi segnali del « piano di separazione » ?
« L’esercito sta riorganizzando la sua presenza in Cisgiordania solo per migliorare la vita quotidiana dei palestinesi. I dettagli di come potrebbe avvenire la separazione non sono ancora definiti. Il governo israeliano vuole creare le condizioni perché sia possibile un negoziato. Questo è il nostro obiettivo, questo è quello che abbiamo promesso al presidente Bush. Per noi la
road map è ancora all’ordine del giorno » .

Quando riprenderanno le trattative con i palestinesi?
« Il premier Abu Ala non sembra sentirsi pronto e rimanda l’incontro con Sharon. Noi possiamo aspettare e aspettare ancora. Ma se i palestinesi non smantelleranno le organizzazioni terroristiche e il nuovo governo continuerà a essere dominato da Yasser Arafat, dovremo decidere se aspettare per sempre — e non mi sembra accettabile — o procedere con le mosse unilaterali » .

Come giudica il lavoro di Abu Ala rispetto al predecessore Abu Mazen?
« Abu Ala è più cauto.
Abu Mazen era convinto di poter agire senza Arafat e ha fallito. Abu Ala non vuol agire senza Arafat e può darsi che anche lui fallisca. Dev’essere il premier palestinese a risolvere il problema Arafat, non saremo noi a risolverlo per lui. La nostra posizione su Arafat è molto chiara: per noi non esiste, non è considerato un interlocutore » .

Non siete pronti ad aspettare per sempre. Fino a quando allora?
« Dipende da come si svilupperà il processo politico, ma sarà prima di quanto ci si aspetti. Non oltre il 2004, direi che il nostro limite è alcuni mesi prima della fine di quest’anno » .

Ma come reagirebbe Israele, se nelle prossime settimane dovesse esserci un attacco suicida con molte vittime? Il via al « piano di separazione » verrebbe anticipato?
« Sorprenderà, ma sono convinto che un attentato non possa fare la differenza e forzare le scelte in una direzione o nell’altra. Facciamo l’ipotesi opposta: niente attacchi. Vuol dire che ci sono le basi per un accordo? Non è detto. Perché per negoziare i palestinesi devono essere pronti a compromessi su questioni fondamentali come il diritto al ritorno. E comunque anche se il terrorismo venisse sconfitto ma non si arrivasse a un accordo, il problema più importante resta il numero di palestinesi che vive tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Ecco il vero dilemma che Israele dovrà affrontare nei prossimi anni. Questo Stato non venne fondato perché un giorno gli ebrei diventassero minoranza nel loro Paese, come prima era sempre avvenuto nella nostra storia. L’alternativa è separarsi dai palestinesi che non vogliono far parte di Israele e che noi non vogliamo facciano parte di Israele. Dobbiamo ritirarci dalle aree più popolate e riorganizzarci lungo una nuova linea di sicurezza che non sarà identica al tracciato della Linea Verde del 1967, ma non sarà neppure quella di oggi » .

Quali saranno le relazioni con i palestinesi dopo il divorzio unilaterale?
« Se arriveremo a decisioni unilaterali, vorrà dire che non c’è stato un accordo. I palestinesi vivranno in un territorio vicino al nostro, dominato e amministrato da loro.
Non potranno venirci a chiedere aiuti, posti di lavoro, contributi economici. Dovranno fare da soli. Saremo sempre pronti ad aprire un negoziato per arrivare a un accordo, ma potremo trattare senza la pressione della continua presenza israeliana in territori che sono contesi. La nuova linea di separazione non sarà un confine politico permanente. Dal punto di vista internazionale questo porrà fine a quella che ora viene chiamata l’occupazione israeliana e ridurrà quelle tensioni e attriti che tra i palestinesi possono alimentare il terrorismo » .

Israele è sotto accusa per la costruzione della barriera di sicurezza. Sareste pronti a cambiare il tracciato se la Casa Bianca aumentasse le pressioni?
« Non mi risulta che Washington voglia chiederci di modificare il percorso.
Gli Stati Uniti si rendono conto che i palestinesi non stanno facendo nulla per fermare il terrorismo. Il tracciato della barriera potrebbe mutare solo se arrivassimo a una separazione unilaterale » .

Pensa che Israele dovrebbe riaprire i negoziati con la Siria?
« Un paio di dichiarazioni politiche fatte per ridurre la pressione internazionale non segnano un vero cambiamento nelle posizioni della Siria. Damasco è ancora il quartier generale di organizzazioni terroristiche come l’Hezbollah, la Jihad islamica, il Fronte popolare per la liberazione della Palestina.
C’è ancora una lunga strada che Bashar Assad deve percorrere prima di essere percepito come una figura che porta avanti cambiamenti degni di una attenzione seria da parte di Israele » .
L’Italia ha appena concluso il semestre di presidenza dell’Unione Europea: che giudizio ne dà?
« Le relazioni tra Italia e Israele sono uno degli sviluppi più positivi degli ultimi anni. Il primo ministro Silvio Berlusconi e il vicepremier Gianfranco Fini hanno dimostrato di sostenere davvero il nostro Paese e hanno gettato le basi per legami molto solidi » .

I rapporti con l’Europa non sembrano altrettanto buoni.

« Ci hanno causato grandi frustrazioni, ma tutti e due dobbiamo fare il possibile per migliorarli. Io ho voluto dare un segnale, dopo una lunga disputa e rispondendo in parte alle richieste di Bruxelles, quando ho deciso di indicare sulle etichette la provenienza dei nostri prodotti, compresi gli insediamenti nei Territori. L’Europa non è un nemico. Anche quando la nostra affinità con gli Stati Uniti è al massimo, non abbiamo mai pensato di scegliere solo l’America a spese dell’Europa. Ma è ora che l’Europa abbia un atteggiamento imparziale verso il conflitto in Medio Oriente » .



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