Testata: La Repubblica Data: 31 dicembre 2003 Pagina: 14 Autore: Bijan Zarmandili Titolo: «Iran, dietro le quinte la svolta su Israele»
Curioso l'editoriale di ieri (30-12-03) di Repubblica. Curioso già l'avere omesso notizie sullo scrivente. Che sarà anche un personaggio di primo piano. Peccato però che non lo conosca nessuno. Due righe su di lui non avrebbero guastato. Dedurre poi dal fatto che non sia stato arrestato un docente universitario per avere affermato che Israele è uno stato e come tale va riconosciuto, fatta salva la liceità di critica al suo governo, non ci pare un elemento sufficiente per affermare che i rapporti Iran-Israele sono migliorati. Che il docente non sia stato arrestato di notte dalla polizia segreta è buona cosa. Poca però rispetto ai cambiamenti auspicati. Che Repubblica stia spingendo il pedale per dare un'immagine dell'Iran il più possibile positiva ? Riportiamo l'articolo all'attenzione dei nostri lettori. (a cura della redazione di Informazione Corretta) L´immane tragedia che ha colpito l´Iran in questi giorni ha avuto un effetto shock anche sulla politica estera degli ayatollah. Il loro disperato grido di aiuto alla comunità internazionale, compresi gli Stati Uniti, ha suonato come un segnale di disponibilità, di rimozione di un orgoglio giudicato ormai insulso. Apparentemente non è caduto però il tabù-Israele. L´America sì, Israele no: il presidente Mohammad Khatami ha respinto le condoglianze e l´offerta di sostegno d´Israele alle popolazioni colpite dal sisma, ribadendo che per la Repubblica islamica iraniana non esiste lo Stato d´Israele. Eppure l´offerta di Tel Aviv e quel rifiuto esibito da Teheran potrebbero essere le ultime battute di un dramma regionale che è destinato prossimamente a concludersi. Dietro le quinte della politica degli ayatollah stanno maturando infatti alcune novità fin qui inconfessabili. Non più un´entità "intrusa" nella regione, non più il "piccolo satana" o il "nemico sionista da buttare a mare", come fin qui la Repubblica islamica iraniana ha considerato lo Stato d´Israele. Non più un centro di cospirazione contro i musulmani e contro la Repubblica islamica, ma semplicemente un paese, Israele, di cui Teheran non condivide la politica, nei confronti del quale ha un atteggiamento critico, come la maggior parte delle capitali europee. Si tratta dell´inizio di un´inesorabile metamorfosi della politica mediorientale dell´Iran, in corso di elaborazione al Centro di Studi strategici del ministero degli Esteri nella capitale iraniana e a farne filtrare i primi segnali all´esterno è uno dei consiglieri più prestigiosi e più ascoltati di tale Centro, il professore Mahmud Sari-ol-ghalam. Gli zelanti funzionari degli affari esteri a Teheran insistono sul carattere "informale" dei "suggerimenti" espressi dal professore e fanno notare che il prestigioso accademico non ricopre alcun "ruolo esecutivo". Ma le stesse fonti diplomatiche non negano che è caduto uno dei tabù più persistenti della politica estera iraniana, quello che per ben 25 anni ha condizionato ogni posizione nei confronti della crisi mediorientale. E i primi segnali della caduta del tabù Israele si sono avuti quando Sari-ol-ghalam ha consegnato molte delle sue idee in proposito a Hamshahri diplomatique, il bisettimanale inserto del giornale della capitale iraniana controllato dall´ala conservatrice del regime.
Il ragionamento del professore parte da una considerazione estremamente pragmatica. «Il 90 per cento delle nostre difficoltà, del nostro isolamento, derivano dal principio secondo cui l´Iran nega l´esistenza dello Stato d´Israele», dice Sari-ol-ghalam, sottolineando ciò che lo Stato ebraico e la lobby israeliana rappresentano nella strategia statunitense per il Medioriente. «Se qualche paese minacciasse seriamente la sicurezza d´Israele, sono sicuro che l´America non esiterebbe ad usare persino l´arma nucleare per difenderlo». Dunque, «se dobbiamo tenere innanzitutto conto dei nostri interessi nazionali, se vogliamo preparare delle prospettive economiche sicure per il nostro paese, se vogliamo la tecnologia occidentale per mettere in moto la nostra economia e se vogliamo seriamente negoziare con gli Stati Uniti, con la Russia e con gli europei le nostre esigenze, non ci resta altro che cambiare la nostra visione su una realtà chiamata Israele e comportarci nei suoi confronti come gli europei, criticandolo, ma senza metterne in discussione l´esistenza». Questo in sostanza è ciò che ha detto il prestigioso consigliere del Centro Studi Strategici di Teheran ai responsabili della politica estera iraniana, senza che le sue parole fossero giudicate blasfeme e lui un eretico. Nessun pasdaran si è presentato il giorno dopo alla sua porta per accompagnarlo nel carcere di Evin e la sua cattedra di Scienza politiche all´università Behashti a Teheran è sempre più affollata di studenti.
I "suggerimenti" di Sari-ol-ghalam acquistano un maggiore peso se vengono collegati al repentino pragmatismo mostrato dalle autorità iraniane in questa fase verso l´esterno, a cominciare dall´incontro a Ginevra tra Khatami e Hosni Mubarak. Il raìs egiziano è atteso a Teheran e nel frattempo in fretta e furia il sindaco della capitale iraniana ha cambiato il nome di una strada di Teheran che poteva dispiacere all´illustre ospite: la via Khaled Eslamboli (uno degli attentatori alla vita dell´ex presidente egiziano Anvar el-Sadat) si chiama ora al-Azhar, personalità islamica di grande prestigio in Egitto. Teheran si prepara a normalizzare le sue relazioni diplomatiche con l´Egitto, interrotte da vent´anni, ma in realtà a mutare è l´insieme delle posizioni della Repubblica islamica nei confronti dei problemi dell´intera regione. L´Iran ha anche chiesto di poter partecipare come osservatore alla Lega araba, un altro passo per uscire dall´isolamento. Gli osservatori interni ritengono che nella tradizionale faida tra le opposte fazioni del regime iraniano prevalga ora la posizione della "destra pragmatica", l´ala conservatrice legata all´ex presidente Hashemi Rafsangiani, l´unico in grado di far ingoiare le pillole amare ai "duri e puri" di Teheran. Il pragmatismo è prevalso nel momento della firma del protocollo aggiuntivo al Trattato di non proliferazione nucleare, ha anche convinto gli iraniani a non interferire troppo negli affari americani in Iraq e sempre il pragmatismo consiglia agli emissari iraniani di non perdere alcuna occasione per incontrare gli americani. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de La Repubblica. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.