lunedi` 25 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Stampa Rassegna Stampa
29.12.2003 Saddam : il Signore dei pidocchi
perchè è stato un bene umiliarlo

Testata: La Stampa
Data: 29 dicembre 2003
Pagina: 22
Autore: Mario Vargas Llosa
Titolo: «Saddam: il Signore dei pidocchi»
Pubblichiamo l'articolo apparso sulla Stampa di oggi di Mario Vargas Llosa, doppiamente interessante per provenienza dello scrittore, solitamente antiamericano e antiisraeliano.
Un unico appunto: avrebbe potuto spendere qualche parola per ringraziare chi ha catturato il signore dei pidocchi, liberando il popolo iracheno.

I tiranni ed i satrapi di solito non pagano per i loro crimini; è uso che muoiano nei propri letti, deificati dall'ossequiosità e il servilismo dei loro adulatori e servi e che il terrore instaurato in vita continui ad avvelenare l'aria dei loro paesi ancora a lungo, come una esalazione tossica dei loro cadaveri, prima che la società che hanno avvilito e corrotto cominci a spezzare l'incantesimo e inizi il vero processo di liberazione.
Così sono morti Stalin, Mao, Franco e decine di dittatorucoli asiatici, latinoamericani, africani e centroeuropei, e così morirà senz'altro Fidel Castro, che verrà certamente accompagnato da un corteo funebre di uomini e donne in lacrime, lungo come quello che scortò al cimitero il «Generalissimo» Trujillo. Sono rari sono i casi di un Mussolini o di un Ceaucescu, giustiziati dall'ira del popolo quando ancora erano al potere, o di un Hitler che, piuttosto che cadere in mano agli alleati, ha preferito uccidersi e darsi fuoco con la sua famiglia, in una cerimonia barbara curiosamente simile all'olocausto che nel suo razzismo furibondo ha assassinato sei milioni di ebrei. La norma tra i tiranni di mezza tacca del terzo mondo, è stato ritirarsi dal potere con le tasche piene di milioni, come Mobutu, Perón, Batista, Pérez Jiménez, l'imperatore Bocassa o Baby Doc, nei loro palazzetti europei, nelle loro residenze della Costa Azzurra o nelle isole, a trascorrere una tranquilla vecchiaia, ricordando tra nubi di alcol ed eccessi carnali e viscerali le loro passate malefatte.
Per questo il modo in cui è caduto Saddam Hussein nel villaggio di Al Duri, non lontano dalla città di Tikrit dove era nato nel 1937, ha un valore simbolico straordinario. Denunciato da un membro del suo stesso clan, ritrovato in un grotta soffocante, piena di scarafaggi e di topi, dove era più sepolto che nascosto, sporco, vestito come un pezzente e sicuramente maloeodorante, con la barba e i capelli lunghi, e - soprattutto - morto di paura. Appena si è aperto il coperchio del buco che era il suo rifugio e i fasci di luce delle torce dei soldati della quarta Divisione di fanteria l'hanno illuminato, è stato udito urlare a squarciagola, in inglese e in arabo, «Non sparate! Non sparate! Sono Saddam Hussein e voglio negoziare!». Il freddo assassino di centinaia di migliaia - e forse di milioni - di iracheni, il sanguinario torturatore di kurdi, sciiti, iraniani, kuwaitiani, e sospettati di dissidenza di qualsiasi setta o partito, la canaglia che senza il minimo scrupolo ha lanciato missili Scuds, durante la guerra del golfo, contro la popolazione inerme di Tel Aviv e Halabjah, e a causa di chi sono perite più di cinquemila persone e sono rimaste mutilate, invalide a vita e segnate con terribili cicatrici altre diecimila, ora temeva per la sua vita e chiedeva a coloro che lo avevano catturato di venire risparmiato e che si rispettassero i sui diritti di prigioniero in una società civile. Così è stato fatto, e quindi, poche ore dopo, il mondo intero ha potuto vedere sugli schermi televisivi un medico dell'Esercito degli Stati Uniti che spidocchiava il despota - che si vantava di essere un Nabucodonosor redivivo -, e che esplorava la sua dentatura visto che a quanto pare, il disgraziato si era lamentato per un mal di denti con i suoi detentori.
Quando uno dei quattro membri del consiglio di governo iracheno, Mowaflak Al Rubaje (precedentemente rinchiuso nelle prigioni del Baaz e sopravvissuto a selvagge torture), chiamato dai capi della Quarta Divisione di fanteria a identificare Saddam Hussein per verificare che il prigioniero non fosse uno dei sosia dei quali si serviva per depistare possibili tirannicidi, vide in faccia Saddam Hussein e gli disse: «Avevi con te due fucili AK-47 e una pistola quando ti hanno trovato. Perché non ti sei sparato, vigliacco?», questi riuscì a malapena a balbettare un ingiuria («Fils de pute!») in francese, come amava fare quando era al potere e qualcosa lo irritava (la sua collera, a quanto pare, era sempre un fuoco d'artificio d'improperi francesizzanti).
È un bene che i 25 milioni di iracheni che non sono morti a causa delle crudeltà e follie di Saddam Hussein - solo gli otto anni di guerra scatenata contro l'Iran sono costati all'Irak circa quattrocentomila morti e la sua delirante corsa agli armamenti ha gettato nella miseria la popolazione di un paese che è un mare di petrolio e che potrebbe avere uno dei tenori di vita più alti del pianeta - abbiano visto l'idolo che tanto temevano e che un buon numero di loro adorava, trasformato in un rifiuto spregevole, che abbandona gli ultimi resti della sua dignità, e si afferra disperatamente a quella vita di cui aveva privato senza il minimo scrupolo tanti compatrioti, arrivando nel suo sadismo ad ordinare perfino la fucilazione di bambini appena nati davanti agli occhi dei genitori, in occasione dei castighi preventivi orchestrati dalla Mukhabarat o polizia politica con l'unico obbiettivo di mantenere vivo il terrore collettivo nei confonti del regime.
Il difficile non è abbattere un tiranno, anche se ciò può costare a volte a un popolo molta sofferenza e molti anni. Molto più difficile è eclissare quell'aura di autorità e rispettabilità che inevitabilmente genera il potere quando viene esercitato per molti anni e con implacabile durezza da un uomo che la paura e la propaganda ripetuta con insistenza giorno e notte finiscono per trasformare, agli occhi dei cittadini, in un superuomo, in una divinità onnipotente. I grandi tiranni, come Saddam Hussein - o Stalin e Hitler che ha sempre avuto come modelli - arrivano ad infiltrarsi nelle menti dei loro sudditi, e anche delle le loro stesse vittime, fino a privarle della propria sovranità e libero arbitrio, robottizzandole. Quando il tiranno scompare, la cittadinanza rimane stordita, confusa, fa fatica ad agire e a decidere razionalmente della propria condotta civile, dato che ha perso l'abitudine a farlo, abituata com'era al fatto che chi deteneva il potere assoluto decidesse per lei in tutte le questioni essenziali e persino in quelle triviali. Questo è il maggior ostacolo per che una democrazia - che è una questione più di abitudine e di cultura che di funzionamento di certe istituzioni - possa prosperare in una società la cui vita civile è stata a lungo annientata dalla dittatura. Per questo motivo non è un fatto strano che dopo la caduta dell'Unione Sovietica, la Russia, che ha subito quasi ottant'anni di totalitarismo, sia in un simile stato di libertinaggio e assomigli ogni giorno più a una caricatura della democrazia in mano a una banda di ex funzionari del KGB.
Nessun dittatore è rispettabile e sono tutti dei criminali e dei libertini, senza eccezioni. Anche se alcuni salvano la forma più di altri, o rubano di più o di meno, e la lista delle persone da loro assassinate, torturate o fatte sparire è più lunga o più breve. Perché tutti corrompono i loro popoli, creando delle agghiaccianti scale di valori che snaturano la morale più elementare e paralizzano la creatività e la libera iniziativa delle persone, annullando in queste la generosità, il senso critico, l'autonomia di criterio, e promuovono gli istinti peggiori, l'autocensura, l'adulazione, la delazione e quella paura cronica che è origine di tutte le claudicazioni e connivenze.
Saddam Hussein è una delle espressioni più abbiette di questa specie repellente. In tutta la sua vita non c'è un solo fatto, gesto, attitudine, che possa dirsi disinteressato, nobile, ispirato da un fine generoso. Le sue uniche referenze sono state, da quando si hanno notizie sulla sua vita, quelle di sicario e pistolero precocemente incallito, ossessionato dal potere, che si è fatto strada attraverso tradimenti e crimini innumerevoli, prima tra le diverse fazioni del partito Baat - in origine nazionalista, laico e panarabista - e poi nel suo proprio paese fino ad ottenere un potere assoluto esercitato con una ferocia che fa girare la testa. Alla fine, accecato da un'arroganza che gli faceva credere di essere immortale, ha commesso l'errore politico più grave della sua carriera, l'invasione del Kuwait, l'inizio della fine della sua macabra odissea.
Nato in una famiglia modesta, ma con molti legami tribali nella regione di Tikrit, si sa molto poco della sua giovinezza, anche se vari dei suoi biografi assicurano che fin da adolescente partecipò a rapine ed a attività delittuose per le quali fu schedato dalla polizia in alcuni registri che, più tardi, una volta al potere, si è preoccupato di far sparire. La sua prima azione politica conosciuta è la sua partecipazione al tentativo fallito di assassinare, nel 1959, il primo ministro Abdul Karim Qassim. Saddam Hussein rimase ferito nell'assalto al palazzo e andò a nascondersi nei pressi di Tikrit, in una fattoria non lontana dal villaggio di Al Duri, dove è stato catturato sabato 13 dicembre 2003. Da lì attraversò il fiume Tigri a nuoto e si rifugiò in Siria, dove conobbe Miguel Aflak, un cristiano damasceno fondatore del Baat, che gli inculcò il paradossale culto simultaneo di Stalin e Hitler. Nei suoi anni di esilio, in Siria e in Egitto, ha frequentato le aule di una Facoltà di Legge, ma senza conseguire la laurea. È sempre stato un uomo incolto e quando raggiunse il potere scatenò fin dall'inizio una vera e propria caccia agli intellettuali, per i quali ha sempre sentito la tipica diffidenza e l'odio dell'analfabeta funzionale che era. In seguito a ciò, tutto il Medio Oriente si sarebbe riempito di artisti, scrittori, professori e scienziati iracheni in esilio.
La scalata di Saddam Houssein all'interno del partito Baat è stata per lungo tempo invisibile, ma estremamente efficace. Questo perché si è dedicato alle attività disciplinari e allo spionaggio interno, in altre parole si è occupato di tessere reti di informatori e di delatori, di aggressioni, torture e assassini perpetrati contro avversari o contro fazioni rivali degli stessi Baazisti. Quando nel 1968 avviene il colpo di stato che ha portato al potere il Baat in Irak, Saddam Hussein occupa, all'apparenza, un'oscura vicepresidenza, ma come capo della polizia politica e della sicurezza il suo potere è illimitato. Negli undici anni che passano fino ad assumere direttamente il potere nel 1979 assassina una ventina di dirigenti Baatisti che concorrevano con lui per la direzione del partito. Appena un anno dopo, lancia l'offensiva militare contro l'Iran, nella quale farà uso di gas tossici contro popolazioni civili, e che porterà alla morte di circa un milione di persone fra i due contendenti. Agli iracheni che cercano di disertare il servizio militare vengono mozzate le orecchie. Lo stesso anno in cui si firma la pace scoppia una ribellione kurda, che Saddam reprime con una carneficina generalizzata, utilizzando anche armi chimiche, e privando delle proprie radici intere popolazioni del Kurdistan iracheno per rimpiazzarle con arabi sunniti. Nel 1990 invade il Kuwait, dove le sue truppe rimarranno cinque mesi fino a che la coalizione dei paesi con a capo gli Stati Uniti metterà fine all'occupazione. Da allora fino alla sua defenestrazione, Saddam non farà altro che sopravvivere, ma tuttavia, senza ridurre - o al contrario esasperando ogni giorno di più - la brutalità repressiva, in funzione di una mania di persecuzione che lo ha portato a commettere numerosi assassinii collettivi di centinaia e migliaia di persone per scoraggiare cospirazioni che nella maggior parte dei casi esistevano solo nella sua immaginazione.
Che Saddam Hussein venga giudicato nel suo proprio paese e da giudici iracheni, sotto una vigilanza internazionale che garantisca la chiarezza del procedimento, o dal Tribunale Internazionale dell'Haya che sta giudicando Milosevic, non ha molta importanza in realtà. La cosa importante è che il popolo iracheno, e tutti i popoli che ancora subiscono delle dittature vedano, nelle sedute di questo giudizio, quanto poco sono e valgono quelle immondizie umane dalle quali si sono lasciate o si lasciano ancora maltrattare, derubare, assassinare, violentare e umiliare, e quanto è stato assurdo e immorale permettergli di prendere il potere e di esercitarlo in quel modo esorbitante e totale. E quanto sarebbe stato facile, all'inizio, tagliargli la strada e defenestrarli, risparmiando così tanto dolore, tanta miseria e tanto sangue. Speriamo che l'immagine televisiva del Signore dei Pidocchi aleggi per lungo tempo nelle coscienze degli ingenui che ancora credono che gli uomini forti e provvidenziali siano la soluzione.
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de La Stampa. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.




lettere@lastampa.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT