No degli Ayatollah agli aiuti da Israele Odio per gli ebrei ma anche disprezzo per le sofferenze degli iraniani
Testata: La Stampa Data: 28 dicembre 2003 Pagina: 6 Autore: Fiamma Nirenstein-Aldo Baquis Titolo: «Un odio incrollabile verso l' "entità sionista"»
Odio per gli ebrei ma anche disprezzo verso lo stesso popolo iraniano. Il rifiuto del governo iraniano verso gli aiuti che Israele era pronto ad inviare - non osano ancora pronunciare la parola "Israele" !- è un indice significativo della politica di Teheran. La Stampa di oggi (28.12.2003) pubblica una cronaca di Aldo Baquis ed una analisi di Fiamma Nirenstein. Li pubblichiamo entrambi. Condoglianze e offerte di assistenza da Israele Ma Teheran ripete il suo «no» a Gerusalemme
Aldo Baquis TEL AVIV Pur vedendo nel regime degli ayatollah una grave minaccia per lo Stato ebraico, Israele ha ieri inviato le condoglianze al popolo dell'Iran, nonostante le autorità di Teheran abbiano ribadito di non gradire soccorsi dall’«entità sionista»: «Se proprio volete aiutare qualcuno, aiutate i palestinesi che ne hanno tanto bisogno», ha detto un funzionario governativo a David Mutai, presidente dell’organizzazione dei 250 mila israeliani di origine iraniana. In mattinata, ignorando il rigoroso riposo sabbatico, il ministro degli Esteri di Gerusalemme Shalom ha emesso un comunicato nel quale afferma: «Il governo e il popolo di Israele sono stati profondamente colpiti da questa tragedia umana e pensano che, oltre le divergenze di opinione, la mobilitazione della comunità internazionale sia necessaria per aiutare le famiglie colpite». Più tardi il portavoce del governo, Avi Pazner, ha annunciato che una serie di aziende israeliane aveva offerto di prestare aiuto «ma l'Iran preferisce fare politica piuttosto che accettare la generosa offerta di privati cittadini». Per tutta la giornata Mutai, che dirige un’associazione non governativa, è stato impegnato in conversazioni con rappresentanti di Teheran per convincerli a ricevere gli aiuti che i suoi attivisti sono già impegnati a raccogliere. «La nostra comunità prova grande simpatia verso il popolo iraniano, con cui abbiamo convissuto in armonia per molti secoli», ha spiegato. Da mesi Israele avverte che i progetti nucleari iraniani, combinati agli aiuti garantiti da Teheran agli Hezbollah, rappresentano un crescente pericolo per la sua stessa esistenza, ma dieci giorni fa il ministro della Difesa Mofaz ha cercato di lanciare un messaggio distensivo all'«iraniano della strada». Esprimendosi in lingua farsi dai microfoni di radio Gerusalemme, Mofaz - che è nato in Iran - ha risposto alle domande di ascoltatori iraniani. Ma le autorità di Teheran hanno reagito duramente all’iniziativa del ministro.
Un odio incrollabile verso l’«entità sionista»
Ma la linea dura dell’Iran rischia di non pagare più nel Medio Oriente che cambia
Fiamma Nirenstein
GERUSALEMME HA qualcosa di paradossale il fatto che anche in mezzo al mare di sangue di innocenti causato dal terremoto il regime iraniano, che ha bisogno di aiuti da tutto il mondo per far fronte alla tragedia, esprima il suo odio verso Israele rifiutandone gli aiuti. Eppure, sarebbe stato ancora più strano che l’Iran avesse accettato gli aiuti del «Piccolo Satana», anche se tutti ricordano la prodigiosa performance delle squadre di soccorso con la stella di David in Turchia, e il salvataggio miracoloso di una bambina che era sotto le macerie da giorni. E sarebbe stato altrettanto strano, tuttavia, se il «Piccolo Satana» avesse accettato quel «no»: Menashe Amir, iraniano immigrato in Israele quarant’anni fa, quando ne aveva venti, direttore della trasmissione quotidiana di Kol Israel, la radio israeliana, che parla in diretta in «farsi» con centinaia di iraniani ogni giorno ed è diventato uno dei maggiori collettori del dissenso antiregime, ieri attraverso le onde radio ha rassicurato gli ascoltatori che la gente di Israele ama il popolo persiano, che lo aiuterà comunque, che l’organizzazione dei 250mila emigrati dall’Iran cercherà in ogni modo, che il governo lo voglia o no, di inviare medici, medicine, macchinari sanitari, cibo, coperte, denaro: «Toglieremo qualsiasi segno israeliano dagli aiuti, e cercheremo di agire attraverso la Croce Rossa Internazionale, sia da Ginevra sia dalla Germania. La gente da Teheran si dice furiosa con il regime per l’immensità del danno: mentre in Iran restavano sepolte 20mila persone, in California, per una scossa della stessa intensità, ne morivano due. Sono certo che da domani i messaggi dissentiranno vigorosamente dalla decisione di non accettare gli aiuti dell’"entità sionista", come dice il governo. I seguaci di Khomeini credono di ricavare dal rifiuto supporto politico: è vero tutto il contrario». Anche l’Organizzazione israeliana di aiuto ai bambini ha aperto un conto bancario per i soccorsi. L’Iran, dove vive ancora un numero alto di ebrei, circa 25mila persone, ha ragioni politiche molto forti per attaccare Israele comunque: questo gli permette di tenere il timone della leadership islamista antioccidentale in un periodo in cui invece deve tendere la mano alla ricerca di una situazione di stabilità con gli Usa, dopo che la cattura di Saddam Hussein e l’abbandono delle armi nucleari da parte di Gheddafi gli fanno temere l’avvento di una situazione in cui si scuota tutto l’"Asse del Male" di Bush,di cui l’Iran è la star. In secondo luogo, il fatto che il potere in Iran sia in mano ai religiosi crea un fortissimo odio ideologico contro la presenza ebraica, oltretutto secolare, sulla terra islamica. E quanto più l’Iran si dimostra antisraeliano, tanto più vince la gara, sempre aperta nel Medio Oriente, per la bandiera della lotta palestinese: tenerla alta, come Teheran fa mandando armi (la famosa nave Karin A, il cui carico era sufficiente ad armare un piccolo esercito, che gli israeliani scoprirono un anno fa in rotta verso Gaza era iraniana) e denaro ad Arafat, foraggiando il gruppo terrorista della Jihad Islamica, facendo arrivare aiuti di ogni genere a Hamas e agli Hezbollah in Libano. Oggi, tuttavia, dopo che da tempo l’Egitto ha una linea moderata e Saddam Hussein è stato eliminato dalla scena, l’Iran rischia non poco restando il leader della linea dura. Anche Bashar Assad di Siria, che fino ad ora costituiva una spalla affidabile, cerca nuove alleanze con la prossima visita in Turchia: «Per questo la leadership iraniana da tempo parla due lingue diverse, all’Europa con ostentata cordialità, agli Usa facendo nebulose promesse sulle armi nucleari; con Israele, però, ecco che rivela la sua lingua reale e non si perita di usarla: antioccidentale, aggressiva», dicono gli esperti di qui. Rafsanjani stesso qualche settimana fa elaborò l’idea dell’utilità di usare l’arma nucleare contro Israele, sostenendone il sicuro successo finale: se lo Stato ebraico colpisse l’Iran, disse, pur se con perdite esso sopravviverebbe comunque; noi invece per distruggere Israele abbiamo bisogno di una botta sola. Sul missile Shihab 3, gittata 1700 chilometri, che ha sfilato in parata davanti alle autorità di Teheran tre settimane fa, c’era scritto: «Questo è per distruggere Israele». Il ministro della Difesa, ammiraglio Ali Shamkhoni, ha recentemente dichiarato: «Israele sta dentro una casa dai muri di vetro che noi distruggeremo». Il programma di Amir ha spesso servito la causa di creare un dialogo fra cittadini israeliani e iraniani, di mantenere un’amicizia che resista fino a che, spera Amir e con lui tutti gli israeliani, il governo venga rovesciato dai suoi stessi cittadini scontenti, sofferenti per l’estrema miseria e la dura repressione di ogni libertà di espressione: «C’è molta opposizione, pronta ad agire se verrà sostenuta e aiutata come si deve». Attraverso la radio, si è svolto il 20 docembre un caloroso dialogo con domande e risposte fra il ministro della Difesa di Gerusalemme Shaul Mofaz e cittadini iraniani. Quando un ascoltatore da Teheran ha chiesto: «Se Israele verrà attaccato con la bomba atomica, che farà?». Mofaz ha risposto che gli sembrava coretta la politica americana e dell’Onu di cercare di fermare la corsa iraniana al nucleare, ma che comunque se l’Iran avesse ottenuto l’atomica e avesse minacciato di usarla contro lo Stato ebraico, Gerusalemme avrebbe saputo difendere i suoi cittadini senza rischiare la vita dei civili iraniani. Il giorno dopo da Teheran è arrivata la risposta del generale Reza Perdis, capo dell’areonautica: «Se l’entità sionista ci attaccasse avrebbe scavato la sua tomba». E Mohammad Khatami: Israele «verrebbe spazzata via».
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