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Il Foglio Rassegna Stampa
27.12.2003 Parole chiare sulla Siria
A proposito delle centrali del terrorismo

Testata: Il Foglio
Data: 27 dicembre 2003
Pagina: 3
Autore: Maria Giovanna Maglie
Titolo: «Tregua finita in Israele, l'attaco di Natale viene da Damasco»
Maria Giovanna Maglie (mgm) ci aggiorna sul Foglio sulla Siria dopo l'attentato di Tel Aviv. Come sempre informata.
Roma. Gli attacchi terroristici di giovedì 25 dicembre dovevano essere due, uno, quello diGeha, riuscito, è stato organizzato dal Fronte popolare per la liberazione della Palestina, l’altro sventato
dagli israeliani che hanno colpito l’auto di
un comandante militare, uccidendolo insieme
a quattro persone, era stato preparato
dal Jihad, doveva essere importante, ovvero
devastante. Gli attacchi mettono fine
all’illusione generata da una tregua che durava
da un paio di mesi, e che invece va attribuita
semplicemente alla capacità israeliana
di intelligence e prevenzione, una media
di quaranta, cinquanta attentati sventati
per settimana. Gli attacchi accelerano i
tempi dei cosiddetti "unilateral steps", passi
di ritiro e riposizionamento decisi senza
consultazioni né negoziati, come il primo
ministro Ariel Sharon, ma anche i vice,
Ehud Olmert e Tommy Lapid, hanno preannunciato,
non già in spregio o abbandono
della via maestra, o almeno quella che europei,
russi, Onu e Colin Powell avevano
vengono ricevuti.
Gli attacchi di Natale e di Hanukah, infine,
rimettono in ballo un semidormiente
Fronte per la liberazione della Palestina,
fresco evidentemente di fondi e di indicazioni
che arrivano in West Bank e a Gaza
dai capi locali che stanno in galera a Gerico,
sorvegliati da truppe americane e inglesi,
ma soprattutto dal paese che è la cassaforte
e il rifugio storico del Fronte, la Siria.
L’ultima volta che la complicità di Damasco
è stata provata, il raid di risposta
israeliano è arrivato di fronte alle finestre
di Assad figlio, uno che ha ereditato la dittatura
paterna tra speranze di riformismo
e occidentalizzazione, invece rischia di essere
il baluardo del baathismo ultimo rimasto
dopo la sconfitta in Iraq, e fa il gran
finanziatore del terrorismo palestinese come
se dovesse sostituire Saddam Hussein,
probabilmente per sopravvivere ai vertici
militari e agli intrighi di palazzo. Damasco
è un postaccio, altro che riforme, e di certo
Assad, mentre fa di tutto per incontrare
Sharon, ma non riceve segnale alcuno di risposta,
anche perché non offre un’agenda
chiara di un eventuale incontro, continua a
rifornire il vecchio Fronte. Che fu di George
Habash fino al 2000, e cominciò a sequestrare
aerei negli anni Settanta, che
uscì dall’Olp all’epoca degli accordi di
Oslo, che ottenne di rientrare a Ramallah
dall’esilio di Damasco solo per riprendere
la lotta armata, che rifiuta qualunque negoziato
con Israele, che rifiuta l’esistenza
stessa di Israele. L’ultimo attentato importante
è di ottobre 2001, i terroristi uccisero
il ministro del Turismo israeliano, Rehavam
Zeevi. Il ritorno di giovedì serve probabilmente
a mostrare che se Hezbollah e
Jihad sono in difficoltà per i successi di
Israele nello sgominarne le attività terroristiche,
altre forze fresche possono prenderne
il posto; pone ancora una volta il
problema del ruolo eversivo del regime di
Damasco, che ha prontamente sostituito
Baghdad nell’arruolamento di terroristi
suicidi, nella ricompensa alle famiglie, nel
ruolo più ampio di gran capo panarabo. Fino
a quando?
considerato tale, la road map, ma in riconoscimento
e accettazione della stasi o del
fallimento di questa, e della necessità di far
qualcosa di effettivo e concreto per la sicurezza
di Israele, in assenza di qualsiasi
mossa positiva da parte dell’Autorità palestinese.
Nella quale Autorità Yasser Arafat,
e non Abu Ala, il premier, controlla l’apparato
di sicurezza, impedendo qualunque
riforma e qualunque prevenzione del terrorismo.
La pensa ormai così anche Hosni
Mubarak, furibondo dopo l’agguato al suo
ministro degli Esteri nella moschea di Al
Aqsa; è bastato che l’Egitto facesse la scelta
diplomatica di non incontrare Arafat
mentre andava a incontrare Ariel Sharon,
insomma di escludere da rinnovati colloqui
bilaterali il problema palestinese, perché il
rais desse il via alla vendetta a suon di scarpate
in testa, finita con salvataggio da parte
dei soldati israeliani e ricovero in ospedale
israeliano, insomma una vera umiliazione;
ora Yasser Arafat manda le sue consuete
espressioni di rammarico e condanna
con inviati al Cairo, ma le une e gli altri non
Tregua finita in Israele, l’attacco di Natale viene da Damasco
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