domenica 24 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Repubblica Rassegna Stampa
23.12.2003 Quando per strabismo si fa di una mosca un elefante
I coloni israeliani rappresentano solo il 10% del totale degli abitanti di tutti gli insediamenti d'Israele

Testata: La Repubblica
Data: 23 dicembre 2003
Pagina: 15
Autore: Renzo Guolo
Titolo: «I coloni d'Israele, minoranza decisiva»
Renzo Guolo ha scritto un dotto articolo nel quale spiega in che cosa i coloni con una matrice religiosa si distinguono dagli altri, spinti a vivere in condizioni disagevoli e non di rado pericolose da motivazioni economiche. E nel descrivere queste peculiarità con molte notazioni storico-politico-teologiche, Guolo sottolinea che questo nucleo di coloni (li chiamiamo come ha fatto lui, per richiamare costantemente la terminologia che è di uso comune, ma ciò non di meno fuorviante) costituisce in realtà il 10% del totale degli abitanti di tutti gli insediamenti d'Israele in quei territori che dovranno andare a costituire lo stato palestinese, 20.000 su 200.000.
L'errore di prospettiva consiste nella sopravvalutazione del loro peso e della loro capacità di influire sulle scelte politiche di questo o di qualunque altro governo israeliano. "Convinzioni religiose e politiche che rendono difficile una soluzione negoziata", sottolinea Guolo fin dall'inizio.
Secondo l'autore, dunque, 20.000 persone a causa delle loro convinzioni religiose rendono difficile una soluzione negoziata, ma nulla si dice in questo articolo, almeno per accostare una visione meno semplicistica ed unilaterale a quel giudizio, su quanto questa ricerca della pace consensuale sia resa impossibile (e non solo difficile) da decine di migliaia di terroristi superarmati e spietati.
Certo, in Israele vive una piccolissima minoranza di persone con una visione
integrale e diversa dai canoni interpretativi classici della religione ebraica; certo, a causa di difficili equilibri di governo spesso le coalizioni di più partiti hanno dovuto prestare ascolto ai piccoli, capaci di ricattare i grandi (ne sappiamo qualcosa anche noi in Italia!); certo, qualche volta si sono verificate situazioni incresciose a causa di questo modo di vivere la religiosità. Ma quando il governo Begin, che era certamente più a destra di quello attuale, decise di firmare la pace con l'Egitto e di restituire tutto il Sinai (incluse le infrastrutture ed i pozzi di petrolio), e gli abitanti di una cittadina, Yamit, si rifiutarono di lasciare le loro case, Begin mandò l'esercito per evacuarli con la forza.
Qualcuno dei lettori pensa che Arafat, Abu Ala o Abdel Rabbo siano disposti
a stroncare il terrorismo con l' esercito?
Guolo tira fuori il consueto coniglio dal suo cilindro: Amir, l'assassino di Rabin, era uno di questi, e dunque tutti costoro sono nemici mortali di chiunque fra i politici israeliani osi pensare alla pace. Ma in realtà l'assassinio politico, dai tempi della Grande Guerra ad oggi, è una prerogativa dei regimi arabi, e sostituisce spesso la procedura più fastidiosa e lenta del ricambio di governo attraverso le elezioni. L'aggressione al ministro degli Esteri egiziano ed il suo quasi-linciaggio al grido di "traditore!" è avvenuta nella stessa moschea in cui i visitatori possono ancora vedere i segni delle pallottole che mezzo secolo fa uccisero il re di Giordania Abdallah, colpevole di volere la pace con Israele.
E, giusto per tornare sul piano teologico così caro a Guolo, le sette fondamentaliste cristiane che operano negli Stati Uniti ed in alcuni stati europei sono molto più radicali e dure nel rivendicare per gli ebrei il possesso dell'intera antica terra d'Israele.
Ma evidentemente è molto più comodo, e crea meno complicazioni, parlare solo
degli ebrei, e degli ebrei israeliani, di una minoranza che lotta per non essere del tutto emarginata dalla vita politica nazionale, piuttosto che
allargare lo sguardo anche su altre realtà molto più inquietanti.
Riproduciamo integralmente il testo.

Le "dolorose concessioni" territoriali prospettate da Sharon incontrano l´opposizione dei coloni religiosi, circa 20mila militanti, decisi a opporsi con ogni mezzo al ritiro dagli insediamenti. Non solo da quelli storici come l´indifendibile Netzarim ma anche dai cosiddetti "avamposti", poco più che dei campi di roulotte. Diversamente dalla maggior parte dei 200mila coloni, affluiti nei Territori grazie ai vantaggi fiscali e residenziali garantiti dai governi Likud, i coloni religiosi sono animati da particolari convinzioni. Convinzioni religiose e politiche che rendono difficile una soluzione negoziata, al ritiro.
Figli dell´incontro tra sionismo ed ebraismo ortodosso, i coloni religiosi si nutrono della "teologia della terra". Una teologia politica, assai poco secolarizzata, che si fonda su una particolare credenza religiosa. Quella secondo cui solo il possesso dell´intera Terra di Israele - l´Eretz Israel che comprende anche "Giudea e Samaria", gli antichi nomi biblici dei Territori palestinesi nell´ex Cisgiordania - permetterà la riunione dell´intero popolo d´Israele sotto il segno della Torah d´Israele. Condizione fondamentale per l´avvento della Redenzione, che pone fine all´esilio dell´uomo da Dio e ristabilisce l´armonia originaria dell´universo, il tikkun, interrotta dalla catastrofe cosmica che ha originato il Male. Contrariamente alla tradizione ebraica, che affida alla volontà divina tempi e modi della Redenzione, i seguaci della "teologia della Terra", fautori d´un attivismo messianico, ritengono che gli uomini debbano esercitare un ruolo nell´accelerare il processo salvifico. Per questo colonizzano la Terra. Il possesso di Eretz Israel è concepito come catalizzatore d´un evento destinato a segnare le sorti del mondo. Chiunque, palestinese o israeliano, s´opponga all´integrità di Eretz Israel in nome della formula "pace contro territori" ostacola non tanto un processo politico ma un evento di natura divina. Per questo l´ostilità nei confronti di chi cede o reclama anche una sola porzione della Terra è assoluta. Ygal Amir giustificò l´assassinio di Rabin, affermando che insieme a lui tirava il grilletto tutto il popolo d´Israele. Per il giovane fondamentalista nazionalreligioso, Rabin era un traditore del popolo ebraico: non solo, con le sue concessioni, metteva in pericolo il popolo d´Israele; ma allontanava la Redenzione. Il rapporto di parte della società israeliana con i coloni religiosi è stato, almeno sino all´assassinio di Rabin, ambivalente. Essi hanno interpretato pulsioni profonde della società israeliana. Negli insediamenti di "Giudea e Samaria" emergeva l´attivismo pionierista del sionismo di matrice laburista, del quale i coloni hanno difeso la bandiera, e l´etica del lavoro, dopo la crisi della "civiltà del kibbuz". Coniugando insieme all´azione "nel mondo" l´ortodossia religiosa e restituendo agli ebrei, con la colonizzazione, i loro luoghi santi, essi hanno suscitato l´ammirazione degli osservanti. I coloni religiosi si sono appropriati del complesso mito-simbolico delle due principali culture d´Israele, quella sionista e quella religiosa, di cui si proclamano autentici interpreti ed eredi.
Ma i coloni religiosi esercitano anche un peso influente nel sistema politico. Contano sull´appoggio parlamentare di partiti come il Mafdal, il Partito nazionalreligioso e dei "falchi" del Likud, ora guidati da Netanyahu. Il movimento dei coloni religiosi, che a lungo si riconoscerà nel Gush Emunim, Blocco della Fede, diventa protagonista con la svolta del ?77. È durante l´era Likud che inizia la colonizzazione e il movimento radica il suo potere; dando vita a un´organizzazione che sarà riconosciuta come "organizzazione d´insediamento". Con tale riconoscimento, in passato concesso solo ai kibbuzim o ai moshavim, il movimento diviene parte integrante delle istituzioni e può contare sull´aiuto statale. Trasformandosi così da associazione privata in un attore pubblico, i cui membri sono al contempo militanti messianici e ceto politico-burocratico che amministra ingenti risorse collettive. Inoltre, grazie all´appoggio parlamentare, le loro colonie riusciranno a ottenere lo status privilegiato d´"insediamenti pionieristici", che li mette al riparo dal subire contraccolpi da eventuali tagli alla spesa pubblica.
I coloni religiosi hanno anche una loro rappresentanza istituzionale: lo Yesha, il Consiglio degli insediamenti, un soggetto politico che nessun governo ignora e che rivendica la parola definitiva su ogni argomento riguardante gl´insediamenti. Ma i coloni svolgono anche funzioni militari. Al contrario degli ultraortodossi essi prestano il servizio armato. Ai loro occhi Tsahal, le forze armate, è un´istituzione "santa", che ha la missione di conquistare Eretz Israel. Rafael Eitan, allora capo di stato maggiore della Difesa, poi leader della destra nazionalreligiosa, ha inquadrato i coloni nel sistema di difesa territoriale dell´area. Gli insediamenti sono divenuti così avamposti militari. I coloni sono armati per autodifesa ma gl´insediamenti più importanti dispongono anche d´armamento pesante. Il compito operativo assegnato loro dal sistema di difesa regionale è quello di "contenere il nemico". Il colono-soldato somma all´identità del militante messianico quella di "primo occhio di Tsahal". Oggi a questa funzione militare s´è aggiunta anche quella economica; le colonie appena oltre la Linea Verde sono divenute la Silicon Valley israeliana.
Il nodo dei coloni presenta una dimensione politica, militare, economica istituzionale, difficile da sciogliere: anche per Sharon, a lungo sostenitore della Grande Israele. Attoniti ma irriducibili, gli attivisti della Redenzione collocano oggi anche il vecchio Leone Ariel tra le fila dei loro acerrimi nemici.
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de La Repubblica. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.




rubrica.lettere@repubblica.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT