Scarpate sul ministro egiziano le conseguenze della propaganda palestinese
Testata: La Stampa Data: 23 dicembre 2003 Pagina: 11 Autore: Fiamma Nirenstein Titolo: «Il ministro egiziano aggredito dentro Al Aqsa»
Molti quotidiani scrivono oggi dell'aggressione palestinese al ministro egiziano Ahmed Maher, avvenuta sulla spianata del Tempio, a Gerusalemme. Tra questi fa eccezione Europa, solitamente molto attento alla questione mediorientale, che probabilmente si impone una "rigida autocensura", visto che i palestinesi questa volta non fanno una bellissima figura. Corretto come sempre Graziano Motta su Avvenire. Riportiamo qui l'articolo di Fiamma Nirenstein che ci sembra dia un quadro completo di tutta la vicenda. Il Medio Oriente riesce sempre ad lanciare messaggi più fatali e metafisici della realtà quotidiana: nessun autore di copioni da film avrebbe potuto disegnare senza essere tacciato di eccesso di fantasia politica la scena accaduta ieri alla Moschea di Al Aqsa, su quella che i Musulmani chiamano la Spianata delle Moschee, e gli ebrei il Monte del Tempio, il cuore di tutto il conflitto israelo palestinese, il luogo che dà il nome alla Intifada Al Aqsa: il ministro degli Esteri egiziano aggredito a scarpate da fanatici islamici. Ahmad Maher viene in visita dopo quasi tre anni (il tempo dell’Intifada) da Sharon, incontra il primo ministro e il ministro degli esteri Silvan Shalom dopo molti colloqui con i palestinesi al Cairo per organizzare un cessate il fuoco; la cosa non era riuscita, ma l’Egitto, che in questi giorni cerca un posto al sole nella trasformazione del Medio Oriente, che ha avuto un segnale forte nella rinuncia di Gheddafi alle armi di distruzione di massa dopo la cattura di Saddam Hussein, si decide comunque alla delicata visita, un rischio politico nel mondo arabo. Di nuovo il paese mediorentale che per primo ha fatto la pace con Israele nel 1978, quella pace per cui Sadat ha pagato con la vita per mano degli estremisti della Fratellanza Islamica, compie passi che sono di pacificazione e anche di posizionamento in prima fila nel nuovo clima post Saddam. Anche adesso l’Egitto cerca di riaffermare la sua leadership, e così come è stato a turno lo sponsor della guerra totale a Israele al tempo di Nasser, e poi dell’Olp al tempo della sua nascita negli anni 60 (Arafat ha studiato ed è cresciuto politicamente al Cairo dopo aver partecipato alla Fratellanza Islamica), l’Egitto diventa per la parte più rilevante della sua politica (anche se con lati oscuri) il paese moderato per eccellenza, con buoni rapporti con gli Usa, un mediatore di pace. Ed ecco che il suo rappresentante in visita in Israele in un momento tanto delicato, viene attaccato dagli estremisti e proprio, simbolicamente, sulla vetta dell’oggetto del contendere, il Monte del tempio, la Moschea di Al Aqsa. Stavolta, anche questo molto simbolicamente, a colpire sono gli estermisti palestinesi (da cui Arafat ha subito preso le distanze condannando): come a dire che questo conflitto è la dura pietra su cui fa scintille la durezza di una deteminazione che non conosce tregua, che il no detto al Cairo da parte delle organizzazione terroriste palestinesi per una tregua una settimana fa,nel momento in cui il pacificatore tocca col suo piede la casa del conflitto, lo mette in una condizione di vulnerabilità. Pare che l’aggressore si sia lanciato addosso al ministro degli esteri egiziano al grido di Allah Hu Ahbar, Allah è grande, che il grido con cui muoiono sempre i terroristi suicidi; le guardie israeliane erano state allontanate per non violare il luogo santo all’Islam, e solo le guardie del corpo personali di Maher erano con lui. Urla e strepiti hanno pervaso la grande bellissima Moschea che non finisce di essere l’impossibile pomo della discordia simbolico del grande conflitto, e non solo di quello locale: nel suo nome si formano brigate internazionali di terroristi in varie parti del mondo; e benchè essa sia di nome e di fatto sotto la gestione dell’WAQF, l’organizzazione che conserva tutti i beni islamici, e nessuno fuorche i mussulmani abbia il permesso di entrarvi, il fatto che sia in territorio israeliano è sentito come un’offesa, cui si è riferito anche da Bin Laden stesso. Il fatto che il rappresentante dell’Egitto sia stato ferito a Gerusalemme è un colpo per i palestinesi, dato che è uno di loro, comunque la si metta, che ha colpito l’amico egiziano, uno che viene dalla casa madre stessa dell’orgoglio arabo nazionale, che ha nutrito Arafat per tanti anni e continua a nutrirlo. Chi ha colpito Maher è un tipico rappresentante della insofferenza religiosa che si è impossessata delle rivendicazioni territoriali dei palestinesi, del fanatismo che scansa le trattative e la possibilità di avanzamenti politici. E’ un terrorista, uno che partecipa di un’eccitazione abnorme e senza limiti, di una rabbia e di un’ethos particolari,creatosi nell’atmosfera di questa Intifada senza pietà, e che non perdona neppure gli arabi moderati e li considera apostati condannandoli così a morte. Ma anche per Sharon non è certo una buona cosa che Maher sia stato colpito mentre era qui in visita di pace, che comunque Israele non abbia saputo difenderlo, che il conflitto si sia dimostrato così impossibile, intrattatbile, che la rabbia palestinese si sia dimostrata incontenibile: il messaggio che ne esce è che la pace in questo stadio è lontanissima, impossibile, che la situazione creatasi a Gerusalemme è durissima, e che l’Egitto prima di venire arovare Sharon deve pensarci bene. In una parola, che siamo ancora nel mezzo di una guerra che non sente più le parole, che non tiene in alcun conto le diplomazie. Gli estremisti islamici fanno i titoli anche oggi in Medio Oriente e sono cattive notizie per tutti. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de La Stampa. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.