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La Stampa Rassegna Stampa
22.12.2003 La svolta politica del governo israeliano
raccontata dal vice premier Olmert

Testata: La Stampa
Data: 22 dicembre 2003
Pagina: 11
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Olmert: tra poche settimane s'inizierà il ritiro unilaterale»
Sulla Stampa di oggi viene pubblicata un'intervista ad Ehud Olmert, già sindaco di Gerusalemme, ora vice-premier. Olmert spiega a grandi linee in che cosa consistono le misure unilaterali che Israele si appresta a intraprendere per arginare il terrorismo e facilitare il dialogo. Misure destinate a creare forti polemiche da sinistra a destra in Israele.
Ecco il testo.

GERUSALEMME - Ehud Olmert, vice primo ministro israeliano, ex sindaco di Gerusalemme, è sempre stato considerato un uomo pratico, molto dedito alla sicurezza di Israele: un cinquantine neocoservatore. Nessuno si sarebbe aspettato di trovarlo alla sinistra di tutto il governo compreso il suo capo, Ariel Sharon. Anche Sharon nei giorni scorsi ha annunciato, come qui fa Olmert, lo smantellamento immediato degli insediamenti illegali, una strenua ricerca di realizzare la road map, e, se si dovrà verificare che non c’è un partner palestinese per attuarla, il ritiro unilaterale. Ma Olmert è il primo a parlare di «decine di migliaia di coloni da rimuovere» e di redifinizione di una linea di difesa senza avarizie.
Signor ministro, da dove intende ritirarsi? Prima da Gaza?
«Non ho intenzione di svelare piani precisi, nè di parlare di numeri o di dare: ma è necessario ormai ridurre la convinvenza quotidiana, diminuire senza pietà il numero di palestinesi che amministriamo o che occupiamo per difenderci dal terrorismo. Il primo obiettivo deve essere quello di ripristinare la Road Map, ma ho poche speranze».
Questo vuol dire che la clausola che ordina di sgombrare gli insediamenti illegali la considera abrogata?
«Tutto il contrario: per me vale la promessa fatta a George Bush: ci siamo impegnati, e tanto basta...»
Per ora non l’avete fatto.
«In parte invece l’abbiamo fatto, ed è strano come i giornalisti vedano le nostre pecche, mentre ignorano che la vera violazione drammatica è quella dei palestinesi che avevano promesso di combattere il terrorismo e di cessare da qualsiasi uso della violenza. Questo non è accaduto. Noi comunque abbiamo due impegni del tutto indipendenti dagli eventi: uno riguarda gli isendiamenti illegali, il secondo le misure di aiuto alla popolazione».
Quando? Settimane? Mesi?
«Certamente non in mesi, molto prima. Sarà drammatico ma lo faremo ben presto».
Veniamo alla sua teoria: se la road map non funziona, se non si trova la strada verso il colloquio, che accade?
«Non può che esserci un ritiro unilaterale. Perchè il problema demografico incombe, perchè noi non vogliamo trovarci ad avere uno Stato in cui ci siano cinque milioni e mezzo di arabi dal Mediterraneo al Giordano».
Come, cinque milioni e mezzo?
«Sto considerando insieme, se non ci muoviamo dai Territori, i palestinesi del West Bank e di Gaza e i cittadini arabi israeliani, cui deve sempre essere garantito ogni diritto. Ma i due gruppi insieme ci sovrasterebbero ben presto. Quindi dobbiamo separarci, per la nostra natura indispensabile di Stato democratico: è stata l’aggressione continua del mondo arabo che ci ha trascinato alla guerra e all’occupazione».
E oggi considera un errore gli insediamenti?
«No, senza gli insediamenti gli arabi non ci avrebbero neppure mai rivolto uno sguardo, non avrebbero parlato con noi, avrebbero solo cercato la nostra distruzione».
Quanto deve essere profondo il vostro ritiro?
«Io credo che la rinuncia debba essere grande, decine di migliaia di persone se ne dovranno andare. E consideri che stiamo parlando di gente che vive nello stesso villaggio da tre generazioni: non sto parlando di politica adesso, ma di vite umane, di uno strazio terribile che dovremo affrontare, uno dei maggiori mai attraversati».
Questo creerà uno scontro terribile in Israele?
«Credo di sì, attraverseremo un periodo di dura crisi».
Signor Olmert, c’è chi dice che lei sta dando via Israele per niente, che la sua è una resa: di fatto, per il Likud la lotta al terrore era una precondizione per qualsiasi gesto politico. Cos’è cambiato adesso? Il terrorismo non c’è?
«Il terrorismo è e sarà ancora il più grande problema: una enorme schiera di giovani palestinesi ha subito i danni di un incitamento senza limiti. Penso che ritirarsi dentro linee di sicurezza in Cisgiordania a Gaza ridurrà il numero degli attentati. E se saremo attaccati, in ogni caso anche in futuro ci difenderemo come si deve».
Ehud Barak ha lodato la sua posizione: lei, come fece Barak, dividerebbe la Città Vecchia di Gerusalemme?
«Mai: non riesco a capire come si possa pensare che Arafat possa essere il garanate della libertà religiosa dei cristiani, non credo che sceglierebbero Arafat come difensore...Però Gerusalemme est è un altro problema».
Lei ha detto di Arafat che è realistico pensare di eliminarlo.
«No, dissi solo che c’erano molte opzioni possibili per liberarsi del suo peso sul futuro della pace, e una era anche quella. Oggi per me la cosa non è più attuale».
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