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La Repubblica Rassegna Stampa
16.12.2003 Un mondo arabo rinnovato
Lo vorrebbeTahar Ben Jelloun. Ma, come sempre, quel che scrive non convince. Anzi.

Testata: La Repubblica
Data: 16 dicembre 2003
Pagina: 1
Autore: Tahar Ben Jelloun
Titolo: «Dallo choc per il dittatore umiliato può nascere un nuovo mondo arabo»
In prima pagina viene pubblicato un lungo articolo di Tahar Ben Jelloun, il quale compie una ben stereotipata analisi del mondo arabo all'indomani della cattura di Saddam.

L'inizio del pezzo di Tahar Ben Jelloun è patetico, che Repubblica lo stampi in prima pagina ha dell'incredibile.

GLI arabi sono suscettibili perché la loro logica non ha niente a che vedere con quella della razionalità occidentale. Sono dei sentimentali, gente spesso guidata dagli affetti e dalle emozioni. Hanno il senso della famiglia, del clan e della tribù. Per loro, prima che al suo personale senso di responsabilità, un individuo deve obbedire al clan. Si dicono volentieri "fratelli" e altrettanto facilmente si fanno la guerra.
Gli piace abbracciarsi e fare discorsi poetici e metaforici. Si riconciliano rapidamente quanto si arrabbiano. L´importante è la nozione che hanno della loro identità, un´identità araba che trascende tutti i problemi. Anche se non sono amici, anche se spesso i loro Stati si trovano su fronti opposti sui problemi di fondo, i cittadini del mondo arabo si sentono coinvolti da tutto quello che succede negli altri paesi della sfera arabo-musulmana. Questa nozione di appartenenza è forte perché è sentimentale, basata su un´affettività a fior di pelle. Per questa ragione le immagini degradanti della cattura di Saddam hanno avuto un effetto terribile sulle popolazioni arabe. Considerando gli echi riportati dalla stampa, sembra che gli arabi siano stati scioccati e ancora una volta umiliati dalla potenza americana. Non che si siano identificati con il dittatore, ma il fatto che a essere stato trattato come un animale o un bandito fosse un arabo li ha toccati al punto di fargli denunciare i metodi disumani dell´esercito di occupazione americano.
Queste immagini hanno avuto un impatto ancora più forte nell´immaginario e nell´inconscio collettivo degli arabi: per quanto la disfatta di Saddam sia una disfatta personale, nondimeno resta la disfatta di tutti gli arabi. Sono milioni a detestare quell´uomo, a rifiutarlo e perfino ad averlo combattuto. Ma era proprio necessario mostrare quelle immagini così crudeli e terribili, per ricordare il dramma del mondo arabo che continua a vivere e morire secondo le leggi della maledizione? Al limite rimpiangono che non siano stati gli iracheni a catturare il dittatore. Gli arabi, che si sono spesso definiti in rapporto all´Occidente - lo ammirano e al tempo stesso ne sono invidiosi e ne diffidano -, hanno avuto bisogno di leader carismatici, di padri della nazione, di uomini ideali che indicassero loro la strada. Questo ha origini lontane, nel periodo del profeta Maometto, che era un capo clan, un guerriero e un capo spirituale.
le immagini di Saddam versione clochard, che viene sottoposto a visita medica, sono la parabola della fine di un crudele dittatore oppressore e assassino della propria gente. Se un check up medico viene visto come una prassi disumana del brutale esercito di occupazione americano si arriva veramente al paradosso.

Maxime Rodinson, che ha scritto una magistrale biografia di Maometto, parla di "Profeta armato", vale a dire un uomo che ha dovuto battersi per convincere le tribù della veracità della parola di Dio e che si è presentato come il capo di una nazione, la nascente nazione musulmana. Questa immagine di dirigente armato la ritroviamo nella storia recente del mondo arabo.
Il presidente egiziano Nasser era un ufficiale dell´esercito. È arrivato al potere nel 1952 con un colpo di Stato diretto da "ufficiali liberi"; ha governato con la forza e ha sfruttato il suo carisma fino a presentarsi come il simbolo dei leader arabi. Nel 1958 ha anche cercato di costituire un´entità unificata con la Giordania e la Siria. Il giorno in cui, dopo la disfatta della guerra del 6 giugno 1967 contro Israele, ha deciso di dare le dimissioni, il popolo egiziano si è riversato in massa nelle strade per farlo tornare sulla sua decisione. Gli uomini urlavano, alcuni piangevano. La relazione tra il popolo e il suo dirigente - anche se si tratta di un dittatore - è una relazione affettiva forte. Quello stesso popolo scenderà nelle strade del Cairo il giorno della morte del suo leader, e scene violente di pianti e grida accompagneranno il corteo funebre. Nasser ha influenzato molto diverse generazioni di cittadini e anche di dirigenti arabi. Gheddafi è un suo discepolo, con meno carisma e qualche errore grave in più. Hafez El Assad, che ha regnato dispoticamente sulla Siria, era un uomo distante e temuto. Ha nutrito il culto della personalità esercitando una dittatura ferma e discreta sul suo popolo. Il figlio che gli è succeduto sembra seguire le orme del padre. Niente democrazia, niente libertà pubblica. Il popolo è inquadrato. Questo modo di fare politica è efficace ma, come si dice in arabo, «la paura non è il rispetto». Saddam, che è stato il fratello nemico di El Assad (i due dirigenti provenivano dal partito Baath, laico e socialista) ha ricalcato il suo sistema su quello del vicino, ma con minore intelligenza e con una sete di potere smisurata. Ha voluto essere per il suo popolo un «assoluto», cioè una sorta di destino che opera il bene anche se deve sacrificare milioni di persone. Non era amato, ma nessuno poteva dimostrarlo. Ha finito per credere alla sua stessa demagogia. Tutti quelli che hanno tentato di opporglisi sono stati liquidati fisicamente. Era un assoluto come Stalin, come Dio, come una fatalità del cielo.
Oggi la sua disfatta è una terapia per l´avvenire del mondo arabo. Quelle immagini, molto violente e molto contestabili, serviranno a nutrire l´immaginario dei popoli arabi. Forse si distaccheranno da quel bisogno nevrotico di avere un leader machiavellico e dittatoriale. Forse si sveglieranno e reclameranno un sistema politico non personificato e soprattutto che avvii una cultura della democrazia. Si tratta di nascere alla Storia, di recuperare il ritardo culturale e politico, riconoscere l´individuo, chiudere con quel padre, il «padre della nazione» che infantilizza i suoi figli (il popolo), liberarsi dell´influenza dell´arcaismo religioso, perché, se l´Islam è un´identità, non può però essere un motore della dinamica del progresso e della razionalità. L´Islam deve restare nei cuori e nelle coscienze, e l´esercito deve restare nelle caserme. Per raggiungere questa emancipazione ci vogliono tempo e volontà.
La mitologia del rais della nazione musulmana ha giocato il suo ruolo nell'affermazione al potere del panarabismo baathista, un'ideologia che ha avuto il suo culmine con Nasser e che tuttora guida despoti come Assad di Siria. In una dittatura le uniche persone contente sono quelle che si dividono il potere, alle altre non è dato il permesso di parlare.

Ora più che mai, l´Occidente deve aiutare il mondo arabo a uscire da questa spirale della maledizione in cui a un dittatore segue un dittatore, in cui i bisogni dei popoli vengono ignorati, in cui le ricchezze del paese sono divise tra pochi. Bisogna giusto ricordare che Saddam è stato aiutato e incoraggiato dagli americani e poi dagli europei. Erano prodotti tossici e aerei tedeschi e francesi, quelli con cui Saddam ha gasato i curdi il 16 marzo 1988. Lo hanno lasciato fare perché c´erano in gioco altri interessi. Non ci si può aspettare niente da istanze come la Lega araba o dalle riunioni dei capi di Stato. Il cambiamento non può che venire dall´interno di quelle società che continuano a essere umiliate da dirigenti che governano attraverso il sangue e la paura. In più, nel caso di Saddam si scopre che è un vigliacco, un uomo la cui indegnità è stata ampiamente dimostrata. Che questo elettrochoc politico serva da sveglia al mondo arabo.
Tahar Ben Jelloun si conferma per quello che è sempre stato: antiamericano e antisraeliano. Prima invoca l'Occidente affinchè rimuova i dittatori arabi, cosa che gli americani hanno fatto liberando l'Iraq, e poi li accusa di esserne i principali sostenitori.
E' mancato un bell'attacco a Israele. E' vero che non c'era materia da contendere. Alla prossima occasione. Che non mancherà.

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