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La Stampa Rassegna Stampa
15.12.2003 Igor Man in prima pagina
Ma la Stampa lo smentisce con Molinari in seconda

Testata: La Stampa
Data: 15 dicembre 2003
Pagina: 1
Autore: Igor Man-Maurizio Molinari
Titolo: «E adesso Giustizia-Una Norimberga per Saddam»
Igor Man editorialista in prima pagina è una calamità ricorrente. Sembra che alla Stampa non abbiano dei commentatori veri per il Medio Oriente. Non osiamo pensare che il benevolo arabista Man(zella) sia così benevolo da infilarci la Palestina in ogni sua conclusione a caso. Ma ora che Saddam è caduto definitivamente non ci sono più ostacoli per parlarne male. Però un processo come Norimberga no, questo Man(zella) non se lo augura proprio. E perchè no ? Meglio un processo nel quale possa uscerne "duro ma giusto" come lui si è autoproclamato ? Misteri Man(zelliani). Meno male che in seconda pagina c'è il commento di Maurizio Molinari da New York. Il titolo "Una Norimberga per il Raiss" sembra fatto apposta per rispondere a Igor Man(zella).

Ecco il pezzo manzelliano:

Igor Man
FINITO. Kaputt. Khlass. Il Tiranno che gasava i kurdi (cinquemila soltanto a Halabbja, nel 1988; una Pompei asiatica) è stato raggiunto dalla vendetta kurda. Il raid delle special forces ha visto operare con gli americani un drappello di peshmerga (avanguardia della morte), i guerriglieri del leader kurdo Jalai Talabani. Come nelle «Mille e una notte» il tristo (walim) s’è docilmente arreso. Il dittatore sorpreso nel sonno ha i capelli lunghi, una barbona gli copre il volto facendolo somigliare a un ostaggio di Mesina. Lo hanno preso in una grotta-cunicolo di Tikrit, suo borgo natale. Anche il bandito Giuliano venne sorpreso in casa sua e a tradirlo fu uno di cui il Re di Montelepre si fidava in forza del giuramento del sangue (la pungitina). Pure Saddam è stato tradito, e del resto il lavoro di intelligence sul territorio è fatto anche di corruzione.
Sembra che Saddam avesse in tasca qualche aspirina e basta: niente veleno come si temeva; nessuna fialetta col cianuro fra i capelli ovvero nel cavo d’una protesi dentaria. Nel bestiale suo rifugio il Tiranno aveva per cuscino uno zainetto. Colmo - dicono - di migliaia di dollari in contanti. Si vuole che accecandolo con la torcia elettrica, la pistola spianata, il comandante del raid abbia detto: «Mister Saddam, I presume», rivisitando ironicamente la frase di Stanley all’infine ritrovato Livingstone: il massimo dell’understatement anglosassone. Sia come sia, le parole che ci ricorderanno la cattura di Saddam son quelle scandite ai giornalisti dal generale Ricardo Sanchez, il comandante delle forze americane: «Roll on the video, please» (manda il video). Le immagini di Saddam barbuto, lo sguardo erratico, i gesti concilianti, che mansueto lascia gli controllino i denti hanno definitivamente convinto la stampa: infine è giunto il Dna.
La cattura di Saddam dopo otto mesi di latitanza è certamente il trionfo che mancava alla vittoria (militare) angloamericana. Ora i vincitori sono attesi alla prova più forte: il processo al Tiranno. Saddam non era certo amato, lo odiavano in troppi, gli stessi palestinesi non è che stravedessero per lui, la sua cattura (dieci ore in tutto) era scontata per la gente irachena: gli arabi hanno un loro specifico realismo che, quando scatta, riesce persino a forare la dimensione onirica in cui vivono. Non ingannino gli energumeni che sparano «in segno di giubilo» (sono sollecitati dai cameramen) né i cortei che qualcuno sta già organizzando. Tutto si giuoca in tribunale. Il verdetto dovrà sigillare un processo onesto. Niente «spirito di Norimberga», quel sottile veleno (per altro comprensibile) che inquinava i vincitori non si dovrà neanche sospettare. Come dicono gli inglesi «facts are stubborn», sono testardi: non basterà tuttavia contestarli, bisognerà dimostrarli. Ce lo impone la nostra cultura, ce lo suggerisce un elementare buon senso. Non la cattura di Saddam l’infame ma un verdetto inattaccabile riusciranno (forse) a fare implodere la piccola guerra che svena i GI, svuotando la cosiddetta «resistenza terroristica». Se è vero che nel Vicino Levante tutto si tiene, è possibile che il (giusto) processo, in tempi brevi, a Saddam rinvigorisca l’impegno di Bush per la pace in Palestina. C’è solo da augurarsi che questa straordinaria occasione non vada sciupata.



Segue l'articolo di Molinari:
«L'ex dittatore dell’Iraq affronterà la giustizia che ha negato a milioni di uomini». E’ l'annuncio del processo a Saddam Hussein che segna il commento di George W. Bush all'avvenuta cattura. Completo blu e cravatta celeste, il presidente si rivolge agli americani dalla «Cabinet Room» della Casa Bianca per celebrare un successo militare e politico che lo fa apparire oggi imbattibile all'appuntamento con gli elettori nel 2004.
Al corrente dell'operazione «Alba Rossa» sin da sabato sera e informato dell’identificazione di Saddam alle 5 del mattino di ieri da un telefonata del consigliere per la sicurezza Condoleezza Rice, Bush all’ora della prima colazione discute la cattura con il capo della Cia George Tenet e il ministro della Difesa, Donald Rumsfeld. Poi chiama gli alleati che schierano il maggior numero di truppe in Iraq - il britannico Tony Blair, Silvio Berlusconi, il polacco Alexander Kwasniewki - per fare il punto sul nuovo scenario che si è venuto a creare: c’è la guerriglia in difficoltà da aggredire, il passaggio dei poteri agli iracheni da completare e il processo al Raiss da organizzare. Quando parla in tv «agli iracheni e agli americani», lo fa con tono solenne. Sono le 12.30, ora in cui avrebbe dovuto essere in Chiesa, se una tempesta di neve non lo avesse bloccato alla Casa Bianca.
Nel messaggio agli iracheni Bush cerca il sostegno popolare che finora la coalizione alleata non ha avuto e auspica la resa della guerriglia: «Non dovete avere più paura di Saddam, un’era buia e dolorosa è terminata, il giorno della speranza è giunto, tutti gli iracheni assieme devono rigettare la violenze e costruire il nuovo Paese». Bush vede nella cattura dell’ex Raiss, al termine di nove mesi di caccia all'uomo, il momento di svolta per la stabilizzazione del dopoguerra: «La cattura di quest'uomo era cruciale per la nascita di un nuovo Iraq, segna la fine della strada per lui e per chi ha ucciso in suo nome. Per i superstiti del partito Baath responsabili delle attuali violenze non ci sarà il ritorno ai privilegi del passato, per la grande maggioranza degli iracheni significa che le camere della tortura sono archiviate per sempre».
Saddam sotto processo significa la Norimberga dell’Iraq: il punto di non ritorno nel passaggio dalla dittatura alla democrazia. Il merito è delle truppe Usa: «Il successo della missione è un premio per uomini e donne che servono in Iraq, è stato possibile grazie a un superbo lavoro di ‘’intelligence’’ capace di trovare le tracce del dittatore dentro un grande Paese e alla capacità e alla precisione di combattenti coraggiosi».
L'invito agli iracheni a prendere in mano il loro destino abbandonando le armi svela la convinzione che un Iraq pacificato è il risultato più importante in chiave politica interna in vista delle elezioni del 2004. Con la popolarità già risalita dopo il blitz a Baghdad nel Giorno del Ringraziamento, la cattura di Saddam all'inizio delle festività di fine anno consente al presidente di guardare con fiducia al voto. Non a caso i media conservatori sono tornati a parlare di un «Super-Bush», mentre i democratici devono riscrivere la loro campagna, finora basata sui fallimenti dell'Amministrazione in Iraq. Consapevole del prestigio popolare guadagnato con l’aver vinto il duello con Saddam - iniziato con il discorso pronunciato di fronte all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite del settembre 2002 - Bush si rivolge agli americani con il linguaggio del comandante in capo di una guerra lunga e difficile, invitandoli alla prudenza: «La cattura di Saddam non significa la fine della violenza in Iraq, continueremo ancora a confrontarci con terroristi che preferiscono assassinare gli innocenti che accettare la nascità della libertà nel cuore del Medio Oriente; costoro sono una minaccia diretta al popolo americano e saranno sconfitti». Come avvenne dopo l’11 settembre, dopo il rovesciamento dei taleban in Afghanistan e dopo la presa di Baghdad, il presidente descrive gli scenari del conflitto: «La guerra al terrorismo è un nuovo tipo di guerra, combattuta cattura dopo cattura, cellula dopo cellula, vittoria dopo vittoria, la sicurezza è garantita dalla perseveranza e dalla nostra ferma convinzione nel successo della libertà; non cederemo finché non avremo vinto».
L'appello alla «perseveranza» e alla «risolutezza» - due termini che ricorrono spesso nella terminologia evangelica - nasce dall’idea di una società americana determinata e compassionevole che Bush oppone alle critiche dei democratici. Fra le righe c’è anche un invito alla prudenza rivolto agli alleati: «I militari nostri e della coalizione affrontano molti pericoli nella caccia agli uomini del passato regime, il loro lavoro continua, così come i rischi». Come dire: niente fretta a ritirare le truppe, non abbassiamo la guardia rispetto alle minacce.Catturato Saddam ciò che manca a Bush è rispondere agli interrogativi sulle ancora introvabili armi di distruzione di massa: indiscrezioni del «Washington Post» lasciano intendere che un nuovo rapporto con «prove chiare» è in arrivo. Forse adesso sarà lo stesso ex Raiss a contribuire alla redazione.

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