Antisemitismo: NO buono Antisionismo: forse incomincia a capire che anche lui NO buono
Testata: La Repubblica Data: 10 dicembre 2003 Pagina: 39 Autore: Nirenstein-Israel-Finkielkraut Titolo: «Sull'antisemitismo»
L'antisemitismo è un "male oscuro" che colpisce periodicamente segmenti più o meno importanti della società, o non è piuttosto una malattia endemica che di tanto in tanto emerge in forma traumatica, ma in realtà continua a persistere anche quando pare sconfitta? E per curare questa malattia esistono rimedi efficaci? Esistono vaccini per prevenirla? Sono domande che in varia forma e con diversa intensità stanno (finalmente) emergendo sui nostri media, costretti a dare spazio a questo argomento. Se non ci fossero gli autorevoli rapporti internazionali di monitoraggio, quelli europei condotti con scarsissima professionalità e molta faziosità, e quelli europei cestinati con motivazioni politiche, se non ci fosse tutto ciò le denunce di parte ebraica per quanto avviene oramai da tempo nella nostra vecchia e cara Europa rimarrebbero confinate sullo sfondo degli ipocriti e comodi ammiccamenti sulla ipersensibilità ebraica: "E poi, questi ebrei così pronti ad accusare di antisemitismo chiunque parli anche solo un pochettino male di Sharon, che rompiscatole!". Bene, a quanto pare c'è chi provvede a mettere al loro posto i pezzi di questo rompicapo. Che, giustamente, opportunamente, deve diventare un rompicapo per chi ha in mano le leve della politica, della cultura, dell'informazione - non solo (come qualcuno preferirebbe) per gli ebrei, le vittime designate, che non sanno più come difendersi. Molti sondaggi ci dicono che alla radice dell'antisemitismo di oggi vi è molta disinformazione, in particolare sulla storia del conflitto arabo-israeliano e palestinese-israeliano: una controprova di come la cattiva "gestione" del conflitto da parte dei media, dei politici e degli intellettuali abbia contribuito a generare e diffondere antisemitismo. Ma non spetta agli ebrei - o quanto meno non solo e non principalmente a loro - fornire queste informazioni; spetta a chi ha prodotto disinformazione voltare pagina e cominciare ad informare correttamente. Un primo modo per farlo potrebbe essere quello, perché no, di pubblicizzare i siti web che, come il nostro e diversi altri, informano onestamente e con serio impegno culturale. Basterebbe collegarsi con i link che segnaliamo per rendersi conto di quanta informazione seria sia a disposizione di chiunque la voglia utilizzare. Su Repubblica di mercoledi 10 dicembre, in una intervista firmata da Susanna Nirenstein (a pagina 40), Yehoshua espone una sua teoria, affascinante e probabilmente fondata, sui perché dell'antisemitismo nelle sue varie forme storicamente sperimentate. Non è una teoria scientifica, bensì piuttosto psicanalitica, ed è questo il motivo per cui la si può ritenere anche sociologicamente fondata. Ed è il motivo per cui raramente ci imbattiamo in un "antisemita pentito", ed ancor più raramente riusciamo a convincere un antisemita con argomentazioni razionali. Ma ci rifiutiamo di credere che l'unico strumento valido per tener testa ad un antisemita sia quello di prenderlo a calci. Ecco l'intervista. A.B. Yehoshua sta scrivendo un saggio sulle radici strutturali dell´antisemitismo. Nei secoli. Vuole trovare un nucleo unico nell´odio che per più di due millenni ha investito un mondo in costante evoluzione, nazioni, società, culture, religioni diverse. Un odio contro gli ebrei comunque fossero, erranti, regnanti, in fuga, stabili, isolati o raggruppati in consistenti comunità, religiosi, laici, assimilati, miserabili, ricchi, ignoranti, colti, comunisti, capitalisti, profughi e infine con un proprio stato, Israele. Il saggio riarrotola un filo rosso che parte da Abramo, la fuga in Egitto e l´esilio in Babilonia, gli anni in cui Seneca chiamava gli ebrei «una tribù criminale», passa attraverso l´antigiudaismo cristiano e l´odio antiebraico totalitario nazista e comunista, guarda infine quello attivo nelle democrazie fino alla possessione antisemita del mondo islamico radicale. Il saggio uscirà nei primi mesi del 2004 per Einaudi, e noi abbiamo avuto la possibilità di dare uno sguardo veloce alla bozza dei primi capitoli. Yehoshua, esiste una radice unica? «Credo di sì. E penso venga dall´interazione dell´identità ebraica con gli altri, un´identità in un certo modo cristallizzata dopo la distruzione del Primo tempio, quando, nel 580 a.c. ci fu la prima diaspora in Babilonia. E´ da allora che gli ebrei hanno mantenuto due componenti essenziali, la religione e la nazionalità, travasandone degli elementi dall´una all´altra e viceversa, in modo simbolico, e tenendole così in vita. In questo modo sono riusciti a mantenere la loro nazionalità, trasferendola in momenti di spiritualità, senza vivere insieme in un paese comune, senza parlare un linguaggio comune. Questo crea nell´identità ebraica una sorta di flessibilità che non si trova in nessun altro popolo. Una religione solo per gli ebrei, una nazionalità solo per gli ebrei: se lasci la religione perdi la nazionalità, se ti converti l´acquisti. Questa combinazione inedita crea una vaghezza singolare». Vaghezza, flessibilità? «Sì, è esattamente il motivo per cui da secoli ci chiediamo cosa è un ebreo, chi è un ebreo, fino a che punto un israeliano è un ebreo, o il non credente, l´ateo, l´assimilato: c´è una letteratura infinita su questi temi. Siamo sempre in cerca di una definizione che non troviamo: perché ci sono molti vuoti, brecce in questo concetto». Questa elasticità però ha permesso agli ebrei di sopravvivere fuori dalla cornice necessaria ad ogni popolo. «Certo. Ma così l´identità ebraica viene mantenuta soprattutto nell´immaginazione. Un ebreo che non è religioso, non parla ebraico, non vive in Israele si sente unito all´ebreo che vive in Uzbekistan solo sul piano dell´immaginario. Ed è esattamente questa mancanza di contorni ad attrarre le fantasie dei non ebrei che possono proiettare nei gap dell´identità ebraica i propri problemi, sentimenti, frustrazioni, paure, violenze. Questa è la fonte dell´antisemitismo. Con gli zingari non è molto diverso». Gli zingari sono sempre rimasti ai margini. «Sì, gli ebrei sono stati invece molto interni alle società dove hanno vissuto. E l´hanno fatto dovunque. Diventando spesso simili a quelli che li circondavano, e molto diversi dagli ebrei di altri posti, con cui non erano quasi in grado di comunicare. Nel mio saggio analizzerò ogni sorta di confusione intorno all´identità ebraica». Per parlare di antisemitismo lei analizza l´identità ebraica. Di fronte a uno stupro, si indaga il colpevole, non la vittima. «Lo faccio perché voglio capire. Non voglio accusare gli ebrei, la nostra identità è questa, è un dato di fatto. Voglio comprendere il nodo profondo di questa molla, dell´interazione "tra me e l´altro" che crea l´antisemitismo». Lei dice che si tratta di paura degli ebrei, non di invidia. «Qualcuno può invidiare Israele oggi, o gli ebrei uccisi nella Shoah? O gli ebrei dei ghetti medievali?». E perché averne paura allora? «Infatti, hai paura di qualcosa di sconosciuto e indefinito su cui proietti le tue ossessioni». Ora c´è un paese. Uno Stato. Qualcosa di molto concreto e definito. Cosa c´entra l´immaginazione? «Innanzitutto ci sono i rapporti che Israele ha con la diaspora. E poi la distruzione delle frontiere ha confuso nuovamente le acque. Ha ricreato l´indefinitezza di cui dicevo prima. Ma non voglio parlare di questo. Ne parlerà il mio saggio. A me interessa che l´antisemita capisca che sta proiettando sugli ebrei i suoi problemi, le sue confusioni perché l´indeterminatezza dell´identità ebraica glielo permette, "lo invita a farlo". Se vedrà il meccanismo, invece di prendersela con gli ebrei ,dovrà fare un esame di se stesso». E´ davvero un ottimista. «Penso solo che anche l´antisemita non riceva dei benefici dall´odio che prova. Pensi a Hitler, non ottenne niente di buono dal suo accanimento. Perse tutto. Quando Saramago dice che Ramallah è Auschwitz, non fa del bene a se stesso, piuttosto deve capire come può aver pronunciato una cosa simile quando i palestinesi sanno benissimo che Ramallah non è Auschwitz: certo, ci sono molti problemi in quella cittadina, ma se cammini per le strade vedi negozi, ristoranti?, cosa c´entra Auschwitz? Quando Theodorakis sostiene, come ha fatto ultimamente, che gli ebrei sono la causa del male nel mondo, deve chiedersi cosa gli sta succedendo, deve interrogarsi sulla sua confusione che proietta sugli ebrei. Il primo ministro malese Mahatir proclama che gli ebrei dominano il mondo: i primi a ridere sono i palestinesi che sanno quanto gli israeliani non riescano a dominare neppure un piccolo popolo. Ecco cosa significa proiettare le proprie fantasie». E quando dalle "fantasie" passi ai fatti, a minacciare gli ebrei o l´esistenza dello Stato di Israele? «Puoi essere contro la politica del governo israeliano, ma se dici queste bestialità, se dici che gli ebrei avvelenano i pozzi, fanno saltare le Twin Towers, se ci vedi come demoni, sei antisemita e allora pensi che i demoni non abbiano diritto ad esistere. Eppure, neanche dopo la Shoah qualcuno pensò che i tedeschi non dovessero vivere o avere il loro Stato. Questo è antisemitismo. E gli ebrei, lo ripeto, non attraggono queste bestialità per quel che fanno - sono come gli altri, a volte agiscono per il bene, altre no - ma per la struttura della loro identità, quella non chiarezza che lascia spazi alle proiezioni degli altri. E´ questa interazione patologica che nel mio saggio individuo e studio». Se il problema è la vaghezza, la soluzione sta sempre nel sionismo, la ricetta che più di ogni altra riduce la virtualità ebraica. Sì o no? «Sì, assolutamente. In uno Stato dai confini chiari». Sullo stesso tema, quello dell'antisemitismo, riportiamo dalla Repubblica anche gli altri due articoli. Il primo porta la firma di Alain Finkielkraut, dal titolo: "Il fantasma antisemita che attraversa l´Europa", pg.l: L´Europa è imbarazzata. Assiste disorientata al sorgere di un antisemitismo inatteso, che tocca popolazioni vittime potenziali dell´esclusione e del razzismo. Il nuovo antisemitismo fa esplodere l´unità forzata dell´antirazzismo. Quest´ultimo supponeva che uno stesso rifiuto dell´Altro potesse colpire, alternativamente o simultaneamente, gli ebrei, gli arabi, i neri. Adesso, da questo mondo idealizzato dell´Altro salta fuori una forma di violenza, di rigetto, di esclusione: esistono vittime del razzismo che possono diventare antisemite. Di fronte a questo fenomeno, l´Europa è spaventata ed è per questo che non è stato pubblicato il rapporto dell´Osservatorio sui fenomeni xenofobi e razzisti. L´imprimatur è stato rifiutato per una sorta di censura virtuosa o di diniego benpensante: ciò non deve essere e quindi faremo in modo che ciò non sia. Questo rifiuto ci invita a riflettere più profondamente sulla stessa identità europea. La nostra Europa non si è costituita contro altre identità, non si è sviluppata attraverso discussioni polemiche contro altre idee, altri continenti, altri modi di vedere e di pensare. L´Europa è nata nel 1945 dallo sforzo, per molti versi ammirevole, di scongiurare le proprie tentazioni, i propri dèmoni, i propri mostri. L´Europa è nata per difendersi da se stessa e sa farlo molto bene: è la regina dell´autocritica, si mobilita con vigore e convinzione non appena i suoi dèmoni sembrano riapparire. Lo ha fatto per esempio con Haider, quando è stato associato al potere in Austria, e lo sa fare ogni volta che spunta fuori il naso dell´estrema destra. Ma di fronte a un nemico resta muta, completamente sperduta. Questo antisemitismo è presente in Francia da parecchi anni ed è stato soffocato in tutte le maniere possibili. Ancora oggi, malgrado l´accumularsi delle prove, malgrado la continua violenza, i media festeggiano tutte le personalità morali che sdrammatizzano la cosa e quando si tratta di ebrei sono corteggiatissimi: non c´è niente di meglio di un ebreo che smentisce l´esistenza dell´antisemitismo. In realtà, l´Europa ha rifiutato di confrontarsi con un problema troppo delicato, che la obbliga a rimettere in discussione quel che le sembra essenziale per la sua identità. L´idea europea riposa su quel che ha di più generoso: il rifiuto dell´esclusione. Per l´Europa è quindi insopportabile avere a che fare con la violenza di chi appare come oggetto o vittima potenziale dell´esclusione. Questo spiega l´accecamento di fronte a questo fenomeno. In Francia, la giudeofobia va di pari passo con l´odio della Francia stessa. Giudeofobia e francofobia progrediscono congiuntamente nelle stesse persone. Sono due fenomeni che non si vogliono prendere in considerazione. Lo si fa con le migliori intenzioni, ma si sa che spesso le buone intenzioni lastricano la strada per l´inferno. Una delle più grandi difficoltà di oggi è l´antirazzismo, perché è diventato un´ideologia, un principio generale d´intellegibilità del reale. Lo vediamo all´opera nel conflitto mediorientale. Non si tratta, agli occhi di una parte crescente dell´opinione pubblica europea, di un conflitto fra due nazioni. Si tratta di uno scontro fra una potenza definita come razzista e degli oppressi che si rivoltano contro la persecuzione, l´esclusione di cui sono oggetto. E´ un´altra delle difficoltà odierne: l´antisemitismo si è fuso nella lingua dell´antirazzismo. Quel che fa paura negli avvenimenti di cui è teatro l´Europa è l´incontro fra un antisemitismo islamista, sempre più chiaro e marcato, e un antirazzismo progressista, che designa gli ebrei o Israele come il nuovo Sudafrica o la nuova Germania nazista. Si poteva pensare che il patto di Ginevra calmasse le tensioni, invece le Ong rispondono con una campagna contro il muro, una barriera di sicurezza definita come un muro dell´apartheid. Si può criticare il tracciato del muro senza presentarlo come un atto razzista e tenendo conto della necessità assoluta degli israeliani di rispondere alla minaccia terrorista. Malgrado Ginevra, l´immagine di Israele razzista è sempre forte ed è un incoraggiamento alla violenza. Ma la realtà è diversa. Ho appreso per caso un piccolo avvenimento sociale e mediatico in Israele, molto interessante. C´è stato un reality show, esempio di berlusconismo israeliano di basso livello, che mirava a selezionare un animatore di trasmissione per la radio o la tv. Gli adolescenti hanno scelto un animatore arabo. Per me non è una sorpresa, per l´antirazzismo contemporaneo è inconcepibile, com´era inconcepibile che il ristorante dove c´è stato l´ultimo grande attentato terrorista ad Haifa fosse gestito da un arabo e un ebreo. Israele è anche questo, una realtà che non si vuol vedere. L´atteggiamento dei giovani musulmani che vivono in Europa è la continuazione dell´Intifada con altri mezzi. Ma io ricuso un´idea corrente, secondo cui questo antisemitismo sparirà quando sarà risolto il conflitto israelo-palestinese, il suo emblema. L´antisemitismo nel mondo musulmano rientra in quel che Bernard Lewis chiama un "blame game", nell´incapacità di questo mondo a interrogarsi sulle proprie carenze, sui propri insuccessi, nell´inettitudine alla critica e all´autocritica. E´ questa la malattia dell´Islam. Tutto quel che non funziona nel mondo islamico è colpa di Israele, tutto quel che va male nelle periferie urbane europee è colpa dell´Occidente e di Israele. C´è l´irresistibile tentazione di imputare gli insuccessi presenti e futuri a cause esterne. E la causa maggiore è oggi Israele. L´antisemitismo resterà, qualunque sia la politica israeliana. (testo raccolto da Giampiero Martinotti) Il secondo è di Giorgio Israel con "Se l'ideologia antisionista è così diffusa in Occidente", pubblicato alle pagine 40-41: La giudeofobia ha assunto nei secoli forme diverse: da quella religiosa (gli ebrei "assassini di Gesù") a quella moderna, che ha accusato la "razza ebraica" di perseguire un disegno di dominio mondiale, attraverso il controllo dei centri nevralgici del capitalismo e della democrazia, o del socialismo. Questa versione razziale della giudeofobia ? i cui classici sono I Protocolli dei Savi di Sion (un falso redatto dalla polizia zarista) e Mein Kampf di Hitler ? è culminata nella politica di sterminio nazista, ma ha anche ispirato le persecuzioni antiebraiche nell´Urss. Un nuovo capitolo è iniziato con la fondazione dello Stato di Israele, che ha raccolto con gli ebrei già residenti in Palestina, coloro che sfuggivano dalle persecuzioni nazifasciste, e da quelle nei paesi comunisti e nei paesi arabi. È nata allora una nuova corrente, l´"antisionismo", che, dalla critica dell´ideologia fondante di Israele, è passato a mettere in discussione il suo diritto di esistere. Oggi, l´ideologia antisionista è largamente diffusa nei paesi islamici e, in Occidente, in larghi settori dell´estrema destra, dei movimenti antiglobalisti e della sinistra neocomunista. Il nodo centrale è l´argomentazione di cui si nutre l´antisionismo. Nei paesi islamici, esso convoglia indistintamente tutte le tematiche storiche della giudeofobia: quelle del complotto globale, in collusione con il capital-imperialismo, quelle razziali di stampo hitleriano, e persino quelle dell´antisemitismo religioso. I Protocolli sono un best-seller nel mondo islamico, stampato e ristampato innumerevoli volte, e recentemente esposto con grande rilievo nella rinata Biblioteca di Alessandria. L´antica leggenda secondo cui gli ebrei impasterebbero le azzime con il sangue di bambini cristiani sgozzati è un topos diffusissimo nella stampa e nella televisione di questi paesi. I libri di testo delle scuole palestinesi ? finanziati dall´Unione Europea ? sono infarciti di odio antiebraico. Da una ventina d´anni, una lucida campagna mira a conquistare vasti settori della sinistra occidentale facendo leva sulla tradizione anti-imperialista. Intellettuali musulmani come Edward Saïd hanno propalato ad arte l´idea secondo cui il sionismo sarebbe nientemeno che «il centro stesso della cultura intellettuale e politica dell´Occidente». Questa campagna ha dato i suoi frutti e ha conquistato a posizioni inquinate da tematiche del più classico antisemitismo, rilevanti strati dell´estrema sinistra: è un drammatico sviluppo con cui oggi tutti, ma soprattutto la sinistra democratica, devono fare i conti. Tanto più grave per il carattere trasversale della nuova giudeofobia, che viene ambiguamente cavalcato da personaggi come Ernst Nolte, secondo cui l´accusa agli ebrei di detenere un eccessivo potere (che è poi la tematica dei Protocolli) non sarebbe antisemita, e l´avversione agli ebrei della sinistra sarebbe soltanto un «ritorno alle origini», quando essa vedeva negli ebrei «l´incarnazione dello spirito commerciale e capitalistico». 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