Israele: Governo e opposizione posizioni simili nei confronti della pace
Testata: Il Foglio Data: 10 dicembre 2003 Pagina: 4 Autore: Emanuele Ottolenghi Titolo: «Road map made in Israel»
Emanuele Ottolenghi, in una accurata analisi della situazione politica israeliana e dell'opinione pubblica alla luce degli ultimi avvenimenti.
Gerusalemme. Il sondaggio mensile dell’Istituto Tami Steinmetz per la pace, dell’Università di Tel Aviv, pubblicato ieri, offrendo un quadro della situazione dell’opinione pubblica israeliana al termine di due settimane di eventi importanti. Secondo i dati il pubblico sostiene ancora il primo ministro Ariel Sharon, convinto che non abbia finora perso opportunità per riaprire i negoziati coi palestinesi, e che le sue dichiarazioni sulla necessità di "dolorose concessioni" riflettano una genuina intenzione a fare i passi necessari per la pace. Il pubblico continua a preferire i negoziati alle azioni unilaterali, ma ha poca fiducia nella controparte palestinese. Non dà molto peso all’iniziativa di Ginevra e sostiene il governo, pur chiarendo la propria disponibilità a lasciare gli insediamenti di Gaza (60 per cento a favore) e parte di quelli in Cisgiordania (58 per cento). Quattro eventi richiedono attenzione: l’iniziativa di Ginevra, i negoziati sulla hudna palestinese al Cairo, i successi israeliani nella lotta al terrorismo, le dichiarazioni sempre più frequenti di Sharon sulla necessità di un ritiro a breve in mancanza di un rinnovo del processo negoziale secondo i dettami della road map. Ginevra ha avuto due risvolti importanti: il primo è domestico, visto che l’iniziativa serve principalmente a rilanciare le ambizioni politiche interne di Yossi Beilin. Ginevra si presenta come piattaforma politica di una sinistra nuova che sfida non solo il governo israeliano, ma anche l’opposizione parlamentare che in quell’accordo, salvo alcune eccezioni, non si riconosce. Beilin apre un fronte a sinistra di Shimon Peres, cosa che forse spiega come Sharon e Peres ricomincino a parlare della possibilità di un nuovo governo di unità nazionale. Ginevra sembra aver spinto il governo a uscire allo scoperto per non farsi sottrarre l’iniziativa diplomatica. Non è passata una settimana dalla firma degli accordi, che il viceprimo ministro e ministro dell’Industria, Ehud Olmert, ha rilasciato un’intervista in cui ha espresso il suo sostegno all’idea di un ritiro unilaterale dalla maggior parte dei territori. Il messaggio è chiaro: il ritiro è vicino e il governo non aspetterà molto a prendere iniziative concrete. Anche Olmert, come Beilin, ha un occhio alla politica interna. Le sue credenziali di falco e la sua relativa popolarità lo rendono appetibile come successore di Sharon. La sua presa di posizione, che probabilmente ha avuto il tacito benestare del primo ministro, lo rende un candidato centrista per il Likud e spiazza i due contendenti, Benjamin Netanyahu e il ministro degli Esteri, Silvan Shalom. Ma l’intervista di Olmert ha un’altra importante valenza: il Likud sa che per rimanere al potere dovrà continuare a incarnare l’anima centrista dell’elettorato. La manovra di Olmert soddisfa questa esigenza. Il secondo evento importante sta nelle dichiarazioni e nel parallelo risveglio di passi diplomatici delle ultime settimane. Mentre si aspetta ancora l’incontro tra Sharon e Abu Ala, Shalom si prepara a vedere Mubarak, gli americani sostengono che tanto più la barriera difensiva israeliana si avvicina alla linea verde, meno problematica essa diventa per l’Amministrazione, Sharon informa che gli insediamenti illegali verranno presto evacuati e si prepara a spostare il governo al centro. Anche se non fosse Sharon ad attuarla, il fatto che sia stato lui a segnare questa svolta ideologica nella destra, preparando il pubblico psicologicamente al ritiro dai territori è di importanza storica.
Intanto la tregua palestinese non va La hudna palestinese nel frattempo non decolla, soprattutto perché il nodo da sciogliere è la partecipazione di Hamas al potere. Fatah non vuole cedere e teme la concorrenza islamica, ma non riesce a scegliere nemmeno l’alternativa, cioè la guerra civile. E Arafat, al contrario di Sharon, nulla ha fatto per preparare il suo pubblico alle dolorose rinunce necessarie per arrivare a un accordo. L’impasse è destinata a continuare e con essa i tentativi di attentati, che servono non solo a combattere Israele, ma hanno anche una funzione interna di pressione su Abu Ala a cedere alle richieste di Hamas. Rimane però un elemento importante a favorire per ora la continuazione di questi piccoli passi: l’efficacia con cui i servizi di sicurezza israeliani hanno operato contro il terrorismo negli ultimi giorni. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.