Testata: Il Foglio Data: 05 dicembre 2003 Pagina: 1 Autore: un giornalista Titolo: «Bush tiepido sull'accordo di Ginevra, ma chiede un gesto di dialogo a Sharon»
La Road Map è una cosa seria. Ginevra no. Un articolo del Foglio molto aggiornato sui rapporti USA-Medio Oriente. Roma. Si può anche decidere di dire e scrivere che George W. Bush, al termine di un colloquio con il re Abdallah di Giordania, abbia appoggiato l’accordo virtuale e assai strombazzato fra privati cittadini israeliani e privati cittadini palestinesi, ma il presidente americano ha detto: "Credo che sia produttivo a condizione che aderisca ai principi che ho appena enunciato, cioè che dobbiamo combattere senza quartiere il terrore, che ci deve essere sicurezza e che deve emergere un progetto di Stato palestinese democratico e libero". E poi "noi apprezziamo le persone che discutono di pace, vogliamo essere però sicuri che capiscano che la pace ha dei principi chiari". Infine "ho anche parlato della necessità che gli israeliani ricordino che, se sostengono la creazione di uno Stato palestinese, cosa che mi assicurano, allora le condizioni sul campo devono consentire che questo Stato possa emergere, perciò continuiamo a parlare con loro di insediamenti e di avamposti illegali, così come della barriera". Questo ragionamento va accompagnato alle dichiarazioni del segretario di Stato, Colin Powell, che è uomo legato romanticamente al multilateralismo, ma che alla fine fa quel che alla Casa Bianca si decide, il quale ha detto che incontrerà oggi i capi del gruppo di Ginevra, che gli Stati Uniti sono ancora e sempre impegnati nel progetto della road map, e ci mancherebbe visto che Powell ha contribuito a scriverlo quel progetto, e che nessun progresso può essere fatto su nessun piano di pace finché i palestinesi non metteranno fine al terrorismo. Alla costruzione di una opinione corretta si può aggiungere che Paul Wolfowitz, vice segretario alla Difesa, e appartenente alla corrente più intransigente nello schierarsi con Israele, non ha ricevuto e non pare che riceverà, nonostante le indiscrezioni di segno diverso, il duo ginevrino; che sono poi Yossi Beilin e Yasser Abed Rabbo, già negoziatori a Oslo, poi dell’accordo fallito a Camp David tre anni fa, auspice l’allora presidente americano, Bill Clinton, a capo delle delegazioni il premier laburista Ehud Barak e Yasser Arafat. I fratelli siamesi da dividere Più prudenti di così gli Stati Uniti non potrebbero mostrarsi, più chiari di così nel sottolineare che cosa nel Patto di Ginevra non c’è, non c’è la sicurezza, non c’è la fine del terrorismo, non c’è l’esigenza basilare di una democratizzazione della società palestinese. Però non accolgono la richiesta esplicita del governo israeliano che questo incontro non s’avesse da fare, che "le nazioni amiche del mondo rispettino le scelte democratiche del popolo d’Israele e non interferiscano nella politica interna". Non lo fanno per mandare un segnale all’amico Ariel Sharon, che qualcosa si deve muovere nel processo di pace, cada qualche outpost in più, arrivino le mosse unilaterali. Fanno bene? No, secondo il quotidiano Washington Times, vicino al Pentagono, perché il problema non sta in un leader democraticamente eletto, il quale sta peraltro cercando di impegnare in negoziati seri Abu Ala; il problema è l’eredità di Oslo, sono morti più israeliani da quella data, e da quella firma, che in ogni decennio della storia del paese, e ne ha fatte di concessioni Israele. Si è ritirato da buona parte di West Bank e Gaza, ne ha consegnato l’autorità ad Arafat; ha chiesto a Washington e alla comunità internazionale di assistere e aiutare il rais; ha collaborato alla costituzione di una forza di polizia palestinese. Arafat ha incassato, e nulla fatto in cambio, fino a Camp David, quando ha buttato via l’offerta di Barak che divideva Gerusalemme, garantiva il ritiro da Gaza e da quasi tutta la West Bank, offriva la pace. Da allora ha scatenato terrorismo e bloccato col suo enorme potere qualunque tentativo di riforma e di progresso del negoziato. Oggi l’accordo di Ginevra mima Oslo e rende la pace più difficile, perciò, secondo il WT, qualunque debolezza aumenta il danno. Che si fa male a incoraggiare i Beilin e i Rabbo lo scrive in un editoriale pesante anche l’antisharoniano per eccellenza Haaretz, che pure con Ginevra ha civettato, ma oggi elenca cause ed effetti e conclude che così facendo i fratelli siamesi da separare finiranno dissanguati sul tavolo operatorio. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.