Una giornalista coraggiosa C'è l'equivalente a Repubblica, Manifesto, Liberazione e chi più ne ha ne metta?
Testata: Il Foglio Data: 02 dicembre 2003 Pagina: 1 Autore: Julie Burchill Titolo: «Compagni addio - Good, bad and ugly»
Julie Burchill, la giornalista del quotidiano inglese "The Guardian" (sinistra antiamericana e antisraeliana, un misto di Manifesto-Unità) annuncia di abbandonare il suo giornale per la posizione pregiudiziale contro Israele che lei identifica con l'antisemitismo. Pubblichiamo il commento del Foglio e il suo articolo dal Guardian.
Milano. Ciao ciao Guardian, ti lascio, vado dagli odiati concorrenti del Times, dove finalmente sarò libera di scrivere lettere d’amore a tipacci come Rupert Murdoch e George W. Bush. Scherza, Julie Burchill, editorialista di sinistra e politicamente scorretta del Guardian, scherza ma fino a un certo punto. Intanto è vero che lascia il quotidiano più letto nei salotti della sinistra britannica. Addio, ha scritto sabato accusando la sinistra inglese di antisemitismo. E’ vero anche il passaggio al Times di Murdoch e, in fondo, una quasi lettera d’amore a Bush, Julie Burchill l’ha già scritta due settimane fa quando George W. è sbarcato a Londra. In quell’occasione il Guardian chiese a intellettuali, scrittori, attori e giornalisti di dire qualcosa al presidente americano. La maggior parte degli interlocutori diede di fascista a Bush, mentre Burchill che da sinistra è una fiera sostenitrice della guerra all’oscurantismo fondamentalista, gli ha semplicemente scritto: ciao George, continua così che stai andando benissimo. Lei si autodefinisce una marxista-thatcheriana, ed è una delle più odiate columnist d’Inghilterra per le sue polemiche iconoclaste. E’ cattiva, molto cattiva, e non le manda mai a dire. E’ stata sposata due volte, e a entrambi i mariti ha lasciato i figli in affidamento. Oggi vive con un ragazzo molto più giovane, e non ha mai nascosto di aver avuto una relazione omosessuale senza per questo considerarsi lesbica: "Essere stata con un donna non vuol dire essere lesbica, così come essere andati una volta a Bruges non significa essere belgi". Lascia il Guardian perché l’offerta del Times è più favorevole ma aggiunge che nell’ultimo anno c’è stata una cosa che l’ha fatta sentire meno fedele al suo giornale: "Io, che non sono ebrea, mi accorgo di un impressionante pregiudizio contro lo Stato d’Israele. Il quale, con tutte le colpe che può avere, resta l’unico paese in quella povera regione dove tu, io, o qualsiasi femminista, ateo, omosessuale o sindacalista può vivere una vita sostenibile". L’attacco di Burchill è diretto contro la sinistra liberal: "Trovo questa cosa difficile da accettare perché non sopporto chi dice che l’antisionismo è una cosa completamente differente dall’antisemitismo, e che il primo va bene e l’altro va male". Gli ebrei, continua Julie Burchill, sono sempre stati accusati di qualsiasi nefandezza, "di qualsiasi cosa dovremmo disapprovare: possono essere rivoluzionari fanatici, responsabili della forza dell’impero sovietico, persone avide, gente che schiavizza il mondo a beneficio della grande finanza internazionale" eccetera eccetera: "Se si prende in considerazione la teoria che gli ebrei sono responsabili di tutte le cose sgradevoli della storia del mondo, e anche il recente sondaggio europeo ha scoperto che il 60 per cento degli europei crede che Israele sia la più grande minaccia della pace nel mondo di oggi (hmm, devo essermi persa tutti quei rabbini che dicono ai loro fedeli di uscire, attaccarsi le bombe ai propri corpi e farsi saltare in aria nella moschea più vicina) il passo è breve per arrivare a credere che l’idea dei nazisti di liberarsi di sei milioni di canaglie era ovviamente una cosa maledettamente giusta".
Barbara Amiel sul Telegraph Secondo Julie Burchill, la vicenda israeliana ed ebraica non è una questione politica, viceversa "destra e sinistra, cioè il Ku Klux Klan e l’Olp, non potrebbero essere così unite unicamente dal loro odio". Burchill se la prende con un suo collega, Richard Ingrams, che sull’Observer, la versione domenicale del Guardian, ha scritto che rifiuta di leggere le lettere sul Medio Oriente scritte da ebrei e che crede che i giornalisti ebrei debbano dichiarare la propria origine razziale quando scrivono di queste cose". Un po’ come ha fatto il 21 novembre scorso La Repubblica, specificando sotto la firma di Mario Levi che "l’autore è di origine ebraica". Nessuno, ha scritto ancora Burchill, vuole sapere se questo o quell’autore che scrive su altri conflitti internazionali sia "musulmano, cristiano sikh o indù". Barbara Amiel, editorialista del Daily Telegraph, ieri ha scritto che "alcuni antisionisti sono soltanto antisionisti", ma "Israele è la madrepatria esistente del popolo ebraico e non può essere giudicato isolando questo fatto. E’ possibile credere che la sua creazione sia stato un errore senza per questo essere antisemiti. Ma sostenere alcune politiche ben sapendo che porteranno alla sua distruzione vira in territorio antisemita". Sembra, ha scritto ancora Amiel, che si sia avverata la speranza di quell’aristocratico europeo che durante la Seconda guerra mondiale disse: "Non vedo l’ora che finisca questa guerra, così un gentiluomo potrà tornare a essere antisemita". Ecco il testo dell'articolo della giornalista pubblicato su The Guardian del 29 novembre 2003. Julie Burchill Saturday November 29, 2003 The Guardian
As you might have heard, I'm leaving the Guardian next year for the Times, having finally been convinced that my evil populist philistinism has no place in a publication read by so many all-round, top-drawer plaster saints. (Well, that and the massive wad they've waved at me.) Once there, I will compose as many love letters to the likes of Mr Murdoch and Pres Bush as my black little heart desires, leaving those who have always objected to my presence on such a fine liberal newspaper as this to read only writers they agree with, with no chance of spoiled digestion as the muesli goes down the wrong way if I so much as murmur about bringing back hanging. (Public.)
Not only do I admire the Guardian, I also find it fun to read, which in a way is more of a compliment. But if there is one issue that has made me feel less loyal to my newspaper over the past year, it has been what I, as a non-Jew, perceive to be a quite striking bias against the state of Israel. Which, for all its faults, is the only country in that barren region that you or I, or any feminist, atheist, homosexual or trade unionist, could bear to live under.
I find this hard to accept because, crucially, I don't swallow the modern liberal line that anti-Zionism is entirely different from anti-semitism; the first good, the other bad. Judeophobia - as the brilliant collection of essays A New Antisemitism? Debating Judeophobia In 21st-Century Britain (axt.org.uk), published this year, points out - is a shape-shifting virus, as opposed to the straightforward stereotypical prejudice applied to other groups (Irish stupid, Japanese cruel, Germans humourless, etc). Jews historically have been blamed for everything we might disapprove of: they can be rabid revolutionaries, responsible for the might of the late Soviet empire, and the greediest of fat cats, enslaving the planet to the demands of international high finance. They are insular, cliquey and clannish, yet they worm their way into the highest positions of power in their adopted countries, changing their names and marrying Gentile women. They collectively possess a huge, slippery wealth that knows no boundaries - yet Israel is said to be an impoverished, lame-duck state, bleeding the west dry.
If you take into account the theory that Jews are responsible for everything nasty in the history of the world, and also the recent EU survey that found 60% of Europeans believe Israel is the biggest threat to peace in the world today (hmm, I must have missed all those rabbis telling their flocks to go out with bombs strapped to their bodies and blow up the nearest mosque), it's a short jump to reckoning that it was obviously a bloody good thing that the Nazis got rid of six million of the buggers. Perhaps this is why sales of Mein Kampf are so buoyant, from the Middle Eastern bazaars unto the Edgware Road, and why The Protocols of The Elders of Zion could be found for sale at the recent Anti-racism Congress in Durban.
The fact that many Gentiles and Arabs are rabidly Judeophobic, while many others are as horrified by Judeophobia as by any other type of racism, makes me believe that anti-semitism/Zionism is not a political position (otherwise the right and the left, the PLO and the KKK, would not be able to unite so uniquely in their hatred), but about how an individual feels about himself. I can't help noticing that, over the years, a disproportionate number of attractive, kind, clever people are drawn to Jews; those who express hostility to them, however, from Hitler to Hamza, are often as not repulsive freaks.
Think of famous anti-Zionist windbags - Redgrave, Highsmith, Galloway - and what dreary, dysfunctional, po-faced vanity confronts us. When we consider famous Jew-lovers, on the other hand - Marilyn, Ava, Liz, Felicity Kendal, me - what a sumptuous banquet of radiant humanity we look upon! How fitting that it was Richard Ingrams - Victor Meldrew without the animal magnetism - who this summer proclaimed in the Observer that he refuses to read letters from Jews about the Middle East, and that Jewish journalists should declare their racial origins when writing on this subject. Replying in another newspaper, Johann Hari suggested sarcastically that their bylines might be marked with a yellow star, and asked why Ingrams didn't want to know whether those writing on international conflicts were Muslim, Christian, Sikh or Hindu. The answer is obvious to me: poor Ingrams is a miserable, bitter, hypocritical cuckold, whose much younger girlfriend has written at length in the public arena of the boredom, misery and alcoholism to which living with him has led her, and whose trademark has long been a loathing for anyone who appears to get a kick out of life: the young, the prole, independent women. The Jews are in good company.
Judeophobia: where the political is personal, and the personal pretends to be political, and those swarthy/pallid/swotty/philistine/aggressive/ cowardly/comically bourgeois/filthy rich/delete-as-mood-takes-you bastards always get the girl. I'll return to this dirty little secret masquerading as a moral stance next week and, rest assured, it'll get much nastier. As the darling Jews them-selves would say (annoyingly, but then, nobody's perfect), enjoy! Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.