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La Stampa Rassegna Stampa
29.11.2003 Esempi di antisemitismo nelle scuole francesi
E in Italia ?

Testata: La Stampa
Data: 29 novembre 2003
Pagina: 26
Autore: Cesare Martinetti
Titolo: «Se la biro è ebrea»
Antisemitismo nelle scuole francesi. Ce ne dà un quadro drammatico Cesare Martinetti sulla Stampa in un ottimo servizio. Viene da chiederci: che succede nelle scuole italiane ? Anche da noi i libri di storia insegnano in gran parte a dare ad Israele tutte le colpe, anche da noi gli studenti vanno in giro con la keffia. Che succede nelle aule di casa nostra ?
PICCOLE cose. Esempio, per dire che la penna è scarica: «Mon stylo est feuj», la mia biro è «ebrea» (feuj uguale juif, nella lingua di banlieue). Oppure, quando passa la professoressa (ebrea): «Madame, ça gaze?» Signora, tira il gas? E’ un’espressione ordinaria nel gergo dei giovani, che si usa comunemente, col significato più o meno di «come va? come butta?», ma rivolta a una persona ebrea ha tutt’altro significato, l’allusione al gas che tira si tinge di un colore sinistro.
«Parole diventate banali», ci dice Barbara Lefebvre, insegnante di storia e geografia in un collège (scuola media) non lontano da Gagny, dove dieci giorni fa hanno incendiato un liceo ebraico. E dice «banali» forse pensando a quell’espressione - la «banalità del male» - che Hanna Arendt aveva coniato ascoltando la monotona confessione del burocrate delle deportazioni naziste Adolf Eichmann nel processo di Gerusalemme. «Ecco, nella mia scuola - testimonia Lefebvre - succede il contrario di quello che dovrebbe accadere secondo i principi universali e laici della scuola francese: le parole hanno valore a seconda della appartenenza religiosa di chi le pronuncia. All’inizio dell'anno scolastico i nuovi allievi mi chiedono: lei di che religione è? E io rispondo: non sono affari vostri. Ma non serve, lo sanno, qualcuno glielo ha già detto: attenti a cosa vi racconta, quella è ebrea».
Piccole cose? «Sì, screzi fra di loro. Per esempio, uno chiede all’altro: "Dammi la gomma!" E aggiunge: "Fais pas ton juif" (non fare l’ebreo). L’altro gli risponde brusco: "Juif toi-même" (ebreo sarai tu)». Barbara Lefebvre ci racconta aneddoti che avvengono ogni giorno nella sua classe: «Ce ne sono due il cui nome comincia con la "S" e che vanno in giro cantando: "Siamo le SS" e tutti ridono. Mi capita di parlare di periodi storici in cui gli ebrei non c’entrano per nulla e all’improvviso uno alza la mano: "Che cos’è una sinagoga?". Il luogo di culto degli ebrei. E lui: "C’est ça qu’il faut brûler" (è quello che bisogna bruciare). Oppure, un’altra volta, stavo parlando di Giustiniano e dell’impero bizantino e uno mi chiede: "Era ebreo?" Cosa c’entra? Niente, così per dire. Oppure capita di nominare Einstein e invariabilmente qualcuno dice: "Attenti, era ebreo!"» Ma che significa tutto questo? «Per loro, per i ragazzi, è un’ossessione, continua, tambureggiante. Io non so se i nostri politici hanno capito che cosa sta succedendo nella scuola francese».
Insieme ad altri insegnanti di queste scuole che il ministero chiama «sensibili» e cioè trapiantate in banlieue e «cité» dove buona parte della popolazione è d’origine maghrebina, Barbara Lefebvre ha messo insieme un libro che si intitola Les territoires perdus de la République», i territori perduti della repubblica. Le scuole, appunto, dove i valori su cui la Francia fonda la sua storia e il suo mito non ci sono più, anzi sono perduti. E’ il nuovo antisemitismo, o la «nouvelle judéophobie», secondo la definizione dello studioso del fenomeno Pierre-André Taguieff, finito recentemente in quanto «intellettuale ebreo» (pur non essendolo) nel mirino del nuovo equivoco guru islamista delle banlieue, quel Tariq Ramadan invitato d’onore - sia pure con qualche polemica - al Social Forum Europeo di Parigi due settimane fa.
Il vecchio antisemitismo francese aveva prodotto modi di dire diventati stereotipi popolari tipo «passer en feuj» per dire frodare, imbrogliare o semplicemente «faire le feuj». Il nuovo antisemitismo delle scuole fa economia di aggettivi: juif o feuj vale da solo come un insulto e non c’è bisogno di aggiungere «sale» (sporco) come invece bisogna ancora fare con «arabe» o «nègre». Acronimi come «NLJ» e «BLJ» compaiono ovunque sui muri e per le strade. Sembrano enigmi, ma il messaggio passa: «nique les juifs» e «baise les juifs» che tradotto significa: fotti gli ebrei. E’ dal 1994 che gli insegnanti denunciano che nelle classi con forte componente maghrebina è impossibile parlare dell’Olocausto. Non molto tempo fa un’altra insegnante di storia, Mara Goyet, ha portato la sua classe a teatro dove davano la storia di una famiglia ebrea. All’improvviso nel buio i ragazzi si sono messi a gridare: «A la douche, à la douche», alla doccia, alla doccia.
Ci sono poi altre «piccole cose» che vengono stampate sui libri. Venerdì 14 novembre l’editore Delagrave ha ritirato dal commercio un testo destinato alle scuole professionali. A pagina 56 si proponeva un gioco di ruolo: due dovevano fingere di essere studenti palestinesi di un «campo», due di essere i loro «guardiani» israeliani. A pagina 55 si doveva commentare un brano in cui passava uno di quei vecchi luoghi comuni: «...avec les juifs il y a tousjours quelque chose à gratter...", con gli ebrei c’è sempre qualcosa da sgraffignare. Piccole cose, appunto, nessuno se n’era accorto, l’editore ha ringraziato gli insegnanti che l’hanno segnalato.
Ma proprio gli insegnanti sono un’altra faccia della storia. Barbara Lefebvre accusa senza mezzi termini i suoi colleghi di aver abdicato: «Ogni devianza viene sempre contestualizzata, l’ossessione antirazzista di un ceto composto in gran parte di ex sessantottini porta a non riconoscere atteggiamenti razzisti verso gli ebrei. Dicono: come possono i maghrebini, da sempre vittime di razzismo essere a loro volta razzisti? E’ una trappola logica, è una pigrizia che deriva dal militantismo sindacale-politico che li porta sempre e comunque a schierarsi contro Israele, professori con la keffiah che portano gli studenti alle manifestazioni, che organizzano viaggi in Palestina da dove i ragazzi tornano con la keffiah al collo. Ho proposto di andare anche in Israele: proposta bocciata all’unanimità. Mai che si faccia uno sforzo per capire come stanno le cose. Passa il messaggio più semplice: i palestinesi sono i poveri, gli israeliani sono i ricchi. Punto e stop».
A Grenoble, nel collège Henri-Vallon, la professoressa Nicole Bergeras ha dovuto affrontare la contestazione dei suoi allievi maghrebini quando ha proposto la lettura di Se questo è un uomo (Si c’est un homme) di Primo Levi: «Non vogliamo leggere queste storie di ebrei». Nonostante le leggi antidiscriminazione francesi siano ben chiare, non si arriva mai a sanzionare questi comportamenti: «Nelle scuole sensibili - dice Barbara Lefebvre - i presidi adottano la pratica del "non mettere olio sul fuoco". Insomma la politica dello struzzo. C’è anche chi ha difeso atteggiamente antisemiti: "Sono opinioni come le altre". Se provi a rispondere, subito ti accusano di essere di estrema destra».
Le famiglie ebree iscrivono sempre di più i loro figli nelle scuole private che verbalizzano i motivi del trasferimento dalla pubblica con una formula ormai quasi di rito: «...non sopportava più le aggressioni fisiche e verbali dei suoi compagni di classe...» Com’è successo qualche mese fa nella terza del collège Henri Bergson di Parigi dove due gemelle di 15 anni sono rimaste per 40 minuti in balia di una dozzina di ragazzi senza che nessuno intervenisse, bersagliate di mele e di pezzi di formaggio, obbligate a inginocchiarsi e a chiedere perdono di «essere ebree». Le due ragazze non hanno ceduto. Ma hanno cambiato scuola.
I rapporti, in queste scuole francesi, sono sempre più «etnicizzati», dice Barbara Lefebvre: musulmani, ebrei, cristiani; i neri che a loro volta, professori compresi, esprimono razzismo più nei confronti dei maghrebini che dei bianchi. «Qualche giorno fa in classe si parlava di culture e di dialogo e a un certo punto un ragazzo mi ha detto: "Voi siete di razza francese!" Vede a che punto siamo? Il mondo, l’umanità divisa per razze. La mia domanda è questa: qualcuno capisce che cosa sta succedendo?» Tante piccole cose «banali».




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