Quando testi e fotografie sono al servizio del pregiudizio La solita vecchia tecnica di Repubblica
Testata: La Repubblica Data: 19 novembre 2003 Pagina: 41 Autore: autori vari Titolo: «I muri che dividono il mondo - Quando gli uomini vivono divisi»
Le poche, appassionate parole del pontefice che ha espresso il suo dolore per l'attentato contro le sinagoghe di Istanbul collegandolo impropriamente ad una condanna del cosiddetto "muro" tra Israele ed i territori (poco) controllati dall'Autorità Palestinese hanno avuto il potere di scatenare le fantasie di giornali e giornalisti. Non per segnalare questo salto concettuale con il quale il papa ha politicizzato un evento di stampo puramente antisemita, bensì per condire nelle salse più variegate quella condanna.
La Repubblica ha dedicato all'argomento ben tre pagine, nelle quali ha affastellato le cose più diverse, con il risultato di fornire una opinione distorta e negativa del "muro". Proviamo dunque ad analizzare rapidamente il modo in cui il quotidiano è riuscito a manipolare l'opinione dei suoi lettori.
Cominciamo con le fotografie, che campeggiano nelle tre pagine, occupandone gran parte. Un ragazzino con in mano una mountain bike salta di pietra in pietra per superare un informe ammasso di blocchi di cemento e di massi; didascalia: "Un ragazzo palestinese scavalca con la bibicletta il muro". Si viene indotti a ritenere che "quello" sia "il muro", e che dunque esso impedisca ad un ragazzo di andare in bicicletta; ma si viene anche indotti a ritenere che se "il muro" può essere così facilmente scavalcato esso non serva affatto a dare sicurezza agli israeliani. Già, ma "quello" non è "il muro".Un falso anche troppo facile da smascherare, ma sempre di un falso si tratta.
Altra fotografia. Foto di grande formato: un ragazzino passa attraverso una apertura in un cumulo di pietre, sopra il quale sta seduto con aria indifferente un militare israeliano. Didascalia: "A Gerusalemme, un soldato israeliano di guardia al muro mentre un bambino palestinese cerca di attraversarlo". Il ragazzino non "cerca" di attraversarlo, passa facilmente e del tutto indisturbato attraverso un varco molto ampio. E quello, ancora una volta, non è "il muro", bensì un cumulo di pietre.
Il bordo superiore di queste due pagine colloca, in una serie di fotografie con didascalie apparentemente neutre, il muro di Israele al termine di una catena storico-politica che illustra nell'ordine il muro che nel 1921 divideva Ulster ed Irlanda, il muro di Berlino, il muro che ancora oggi divide la Cipro greca da quella turca, il muro fra le due Coree, ed il muro che separa la città messicana Tijuana dalla California. Salvo quest'ultimo, dunque,muri "politici", conseguenza di guerre o voluti da regimi totalitari. Riflessione suggerita da questa sequenza: il muro voluto da Sharon è frutto di un regime totalitario che vuole imprigionare un popolo oppresso. Nulla può, al confronto, la sola fotografia di Sharon con la didascalia "Questo muro non è un muro politico. Il suo percorso non costituisce una linea di confine tra noi e i palestinesi".
Proseguiamo questa visione d'insieme delle tre pagine. Vi sono citazioni letterarie, riferite alla Grande Muraglia cinese ed al muro di Berlino, ci sono elenchi di libri e di film (qualche esempio: di Michel Foucault, il saggio "Sorvegliare e punire. Nascita della prigione"; fra i film, "Funerale a Berlino", "Totò e Peppino divisi a Berlino", "Good bye Lenin!").
E poi ci sono interviste e racconti. David Grossman fa un ragionamento lineare, filosofico e politologico, anche se Alberto Stabile lo provoca chiedendogli se il muro sia uno strumento di oppressione, od un pretesto per appropriarsi delle terre dei palestinesi. Due racconti paralleli di due scrittrici, una palestinese ed una israeliana, sotto il titolo che le vorrebbe accomunare: "Le nostre vite vissute come dentro un recinto"; ma il recinto per gli israeliani è quello dell'angoscia, dell'incertezza di ritrovare vivi alla sera i figli o le madri. Peter Schneider scrive del "prima" e del "dopo" di Berlino, Federico Rampini spiega il senso della barriera che separa gli Stati Uniti dal Messico nel punto più frequentato dai clandestini e dai trafficanti, ma quel che domina lo spazio e l'immagine globale di queste tre pagine è l'altro muro, quello di Sharon. Una sola cosa manca, in queste tre pagine, se escludiamo la apidaria citazione riferita: una voce che spieghi nel dettaglio perché questa barriera è stata concepita, perché venga costruita, quanto laceri l'animo degli israeliani e quanto poco incida, se non ci facciamo catturare dalla propaganda , sulla vita della popolazione palestinese. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de La Repubblica. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.