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La Stampa Rassegna Stampa
17.11.2003 O carabinieri o camorristi
Igor Man insulta i caduti italiani a Nassiriya

Testata: La Stampa
Data: 17 novembre 2003
Pagina: 1
Autore: Igor Man
Titolo: «La meglio gioventù»
Ma alla Stampa qualcuno legge gli articoli di Igor Man prima di pubblicarli?
Nell'editoriale di questa mattina in prima pagina il trentennale cantore Agit Prop dei feddayin, essendosi sporcata la parola tanto amata e non potendo più riscrivere la parola feddayin da quando le milizie di Saddam vengono descritte come formate da fedayin, non trova migliore argomento che insultare i caduti di Nassiriya.
"La strage dei nostri soldati (volontari anche perché disoccupati in Patria, ovvero per non arruolarsi nella camorra)…"
Abbiamo riletto più volte queste parole di Igor Man non credendo ai nostri occhi: o carabinieri o camorristi.
Si possono scrivere tutte le idiozie di questo mondo, ma farlo nel momento in cui quei poveri resti non sono ancora nemmeno stati sepolti ci fa capire di quali abiezioni sia capace il trombettiere di Arafat. Il quale alla fine dell’articolo, invece della solita sura che in questi giorni di Imam terroristi è meglio soprassedere, ritira fuori la solita musica.
Se il terrorismo islamico colpisce in tutto il mondo la spiegazione è una sola: bisogna risolvere la tragedia della Palestina".
Ognuno è libero di credere alle favole che più gli piacciono ma ritenere che gli obbiettivi ebraici di Al-Qaeda dipendono dai legittimi desideri dei palestinesi ad avere uno Stato significa solo fare propaganda che è il mestiere da trent’anni di Igor Man.

Ecco l'articolo.

LA meglio gioventù torna a casa: fra quattro assi di legno. Sulle bare, attaccato con lo scotch, un foglietto di carta: le generalità del «militare caduto», prima il cognome, poi il nome di battesimo: giusta la prassi di fureria. Funerale (di Stato) sull’Altare della Patria. Quella sorta di spumone di marmo che da interminabili anni fa arricciare il naso agli esteti epperò «piace». Da quando è stato «aperto al pubblico», i quiriti ci portano i pupi a festeggiare la domenica ch’è tutta per loro ora che il Sindaco ha proibito le automobili dal Vittoriano al Colosseo. Quella di ieri è stata una domenica particolare: invece di biro anemiche e di ombrellini che quando piove non s’aprono, i vu cumprà vendono bandierine e i (giovani) genitori ne comprano proprio tante per la felicità dei pupi fortunatamente immuni dal tarlo della pena.
Bandierine di carta con l’asticciola di legno: il Tricolore - la bandiera variegata della Pace chiaramente riciclata poiché scolorita ma va bene lo stesso. Anche i leggiadri panzoni vestiti da improbabili gladiatori hanno la bandierina e ai turisti che si fotografano con loro spiegano in un inglese straordinariamente comunicativo: «Iraq, do you know. America and Iraq in war, italian soldiers in Iraq only for help people, poor people, but bad people killed our boys, a lot of innocent italian soldiers». I giapponesi fanno di sì con la testa, i tedeschi lo stesso. Chissà se avran capito ma quel che conta è che il lettore capisca. La gente, la brava gente (quella coi pupi, i gladiatori eccetera) distingue: gli italiani non erano (non sono) laggiù per far la guerra ma per aiutare (to help) la brava gente irachena, travolta dalla guerra (continua) tra Usa e Saddam. Ma se questa distinzione sentimentalmente è giusta, concretamente non regge. Ancorché impegnato a ridar ossigeno e dignità, ordine e un minimo di sicurezza agli iracheni, lo scarno contingente italiano è agli ordini del corpo di spedizione inglese che, vuoi o non vuoi, ha mosso guerra all’Iraq insieme con il «Grande Satana», gli Usa. Certamente Nassiriya non era nelle grazie di Saddam e quegli abitanti, sciiti, erano terrorizzati dal Tiranno, sunnita, ma nell’ambaradan d’una guerra trasformatasi in guerriglia chissà quanti «resistenti» rimasti privi della greppia del regime nuotano come pesci nell’acqua.
La strage dei nostri soldati (volontari anche perché disoccupati in patria ovvero per non arruolarsi nella camorra) è speculare alla diremo presunzione della Superpotenza: andiamo (in Iraq) - vinciamo - democratizziamo. Rifatto dalla democrazia, non più schiavo del terrore, l’Iraq pervaso dalla democrazia contagerà grazie alla forza d’inerzia della Storia i paesi dell’«arco della crisi»: ricchi esageratamente, di petrolio, scandalosamente poveri di libertà. Ecco il disegno tracciato sulla lavagna della Storia da Bush. Bello, il disegno, ma debole la matita.
Da Washington arrivano segnali non chiari e comunque contraddittori. Ricominciare con le fortezze volanti ovvero passare il cerino all’Onu. La guerra totale non risolve (Vietnam docet), l’Onu per ritrovar se stessa ha bisogno d’una rifondazione sponsorizzata da Washington. Per quanto riguarda noi italianuzzi, andarcene lasciando che «gli altri» se la sbrighino sarebbe sterile. Dovremmo, piuttosto, sollecitare gli americani ad ascoltare le nostre diagnosi per così vivisezionare la galassia terroristica: una cosa sono i fanatici che puntano allo scontro fra civiltà, altra i nazionalisti sinceri trascurati dagli Usa o, peggio, accusati di terrorismo. Infine: anziché puntare sull’utopico «contagio», bisognerà preparare il terreno dove, un giorno, possa attecchire il lento seme della democrazia. L’islam radicale è in marcia, gli attentati alle sinagoghe turche ne sono la devastante prova ma c’è un solo modo per debellarlo: asciugando lo stagno in cui il controcrociato nuota. Come? In primis risolvendo secondo un minimo di giustizia la tragedia della Palestina. Che l’Europa si svegli, subito, se non vogliamo perdere «la meglio gioventù», se non vogliamo che siano i morti a seppellire i morti.
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