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Panorama Rassegna Stampa
17.11.2003 Affermazioni false e deliranti
Quella di Sergio Romano. Con la risposta dal Foglio.

Testata: Panorama
Data: 17 novembre 2003
Pagina: 19
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Chi critica Israele è antisemita?»
Ma per capire la sostanza delle affermazioni di Sergio Romano, quella del Foglio è una rispsota parziale. Tutto il pezzo di Romano è intriso di falsità.
Basta leggerlo.

Ecco la lettera di un lettore indirizzata alla rubrica di Sergio Romano.

Mi riferisco al sondaggio dell’Unione Europea su quale sia il paese che più minaccia la pace nel mondo. Se fossi stato tra gli intervistati, avrei detto anch’io che Israele sta cercando di vincere la sua guerra con metodi che storicamente non hanno mai dato buoni risultati. Israele non sta cercando la pace, sta cercando la sua pace. Secondo molti politici e molti opinionisti io sarei un antisemita. Ho amici di religione ebraica che non sono d’accordo con la politica dello stato d’Israele e mi assicurano che nel loro paese sono in molti a pensarla così. Sono tutti antisemiti?
Ci piaccia o no il risultato del sondaggio è quello. Non pensa che di fronte a questo sia pur discutibile sondaggio bisognerebbe meditare anziché inveire scompostamente?

Roberto Ghibaudo
Risponde Sergio Romano:
Gli organizzatori del sondaggio avrebbero dovuto formulare diversamente le loro domande. Ma il risultato riflette le opinioni correnti nella maggioranza delle società nazionali europee. Sarei stato sorpreso se le cifre fossero state diverse. Temo che lei abbia ragione. Ariel Sharon non vuole la nascita di uno stato palestinese veramente sovrano. Vuole, nella migliore delle ipotesi, un territorio autonomo, costellato di colonie ebraiche, pattugliato e sorvegliato da distaccamenti dell’esercito israeliano. La Palestina avrà, per quel che valgono, il suo governo e il suo parlamento. Ma non avrà né il controllo della propria terra né quello del proprio spazio aereo. Certo Yasser Arafat, quando si rifiutò di firmare gli accordi di Camp David, commise un grave errore. Ma lo fece, probabilmente, perché era costretto a guardarsi le spalle dalle organizzazioni radicali islamiche. E sarà bene ricordare, per la cronaca, che l’importanza del fondamentalismo religioso nel campo palestinese è in parte il risultato della sciagurata invasione israeliana del Libano nel 1982. Occorrerebbe quindi rovesciare il problema. Anziché interrogarci sul risultato del sondaggio, dovremmo piuttosto chiederci perché tanti uomini politici si siano così frettolosamente dissociati dai suoi risultati con compunte, e spesso ipocrite, dichiarazioni filoisraeliane.
Credo che lo abbiano fatto per due ragioni. In primo luogo qualsiasi critica della politica israeliana viene considerata a Gerusalemme e in alcuni ambienti ebraici una manifestazione d’antisemitismo. Qualche uomo politico, di tanto in tanto, osa ricordare che Israele è uno stato come gli altri e non può pretendere, per la sua politica, una perenne immunità. Ma nessuno vuole correre il rischio di portarsi dietro una etichetta infamante.
In secondo luogo l’arma preferita della resistenza palestinese è il terrorismo, vale a dire un metodo di lotta che noi tutti, soprattutto dopo l’11 settembre, sentiamo l’obbligo di condannare. Ma i terroristi palestinesi sono alquanto diversi da quelli di Osama Bin Laden. Mentre questi ultimi si battono nell’ombra per obiettivi fumosi, politicamente indecifrabili, i secondi sono pur sempre rappresentativi di una aspirazione nazionale e hanno alle loro spalle organizzazioni visibili che gli israeliani cercano di decapitare con «esecuzioni mirate». Per alcuni decenni gli europei sono stati educati a considerare legittima la resistenza, anche terroristica, contro una potenza occupante. È davvero sorprendente che lo abbiano fatto anche in questo caso?
Ecco ora l'editoriale del Foglio, dal titolo: "Caro ambasciatore. Resistenza non è un termine della fisica, ma della storia: usarlo con cura"
Sergio Romano, che è cocciuto come tutte le persone intelligenti, è tornato a usare il termine "resistenza" per definire le azioni odiose di terrorismo che hanno colpito e colpiscono indiscriminatamente Onu, Croce rossa, truppe angloamericane, polacche, italiane in Iraq. Non lo fa con l’automatismo triviale
impiegato da tanti cronisti, gli stessi che scambiano le spranghe per aste di bandiera negli scontri tra anarco-insurrezionalisti e polizia. Non lo fa per
confusione linguistica, essendo persona informata e precisa nell’uso delle parole. Lo fa perché è convinto che dietro i camion pieni di esplosivo e i terroristi suicidi che li guidano non c’è soltanto la mano del regime distrutto di Saddam, dei suoi soldi sporchi rapinati al popolo e delle sue armi. E’ convinto, Romano, che la liberazione dell’Iraq sia in sostanza un’occupazione militare non legittimata dal diritto internazionale, e che questo venga percepito da parte della popolazione irachena, con la conseguenza di un relativo consenso all’azione armata contro gli occupanti, che diventa perciò una "resistenza". A noi sembra infondato il suo giudizio. Non si conosce una piattaforma di questa resistenza, non si conoscono suoi portavoce,
non si conosce altro che il messaggio dall’ombra, l’appello al martirio e poi
l’impiego spietato della distruzione di civili e militari, a mezzo della più spietata e mortifera logica di autodistruzione dei combattenti ispirati dal fanatismo terrorista e clanico. A noi sembra, soprattutto, che dichiarare "resistenti" i terroristi è un’offesa al senso storico del termine così come lo conosciamo nell’uso invalso dagli anni in cui Resistenza era un combattimento per la libertà a fianco degli alleati angloamericani. E lo diciamo pacatamente al nostro interlocutore.
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rossella@mondadori.it, lettere@ilfoglio.it

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