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La Repubblica Rassegna Stampa
05.11.2003 D'Alema ed il sondaggio europeo
Una memoria corta, una coda (di paglia) lunga

Testata: La Repubblica
Data: 05 novembre 2003
Pagina: 1
Autore: Massimo D'Alema
Titolo: «Assurde accuse a Prodi per il sondaggio UE»
Non rientra nelle nostre consuetudini controbattere alle opinioni politiche
espresse a proposito di Israele da esponenti della politica o da intellettuali, a meno che non vi siano motivi particolari a richiederlo.
L'articolo di D'Alema presenta sicuramente questi motivi, e richiede una
seria e responsabile lettura critica.
Il leader dei DS inizia pagando il pegno del doveroso consenso alle accuse che da ogni parte sono piovute su quel sondaggio, ma poi passa ad una difesa di Prodi, che a suo dire sarebbe stato attaccato ("aggressione strumentale", è la definizione che egli usa) ed afferma, a ragione, che non si può accusare di essere antisemiti quel 59% di europei che ha incluso Israele nella lista dei paesi che costituiscono un pericolo per la pace nel mondo.
Ma poi D'Alema cade nella trappola che a nostro parere è classica per individuare un sottofondo di antisemitismo latente in chi la usa: ecco vedete, gli ebrei non accettano che si critichi il governo Sharon, se lo faccio mi accusano di essere antisemita ed in questo modo mi ricattano ed impediscono che io usi il mio diritto ad avere una libera opinione. Il punto debole di queste affermazioni, che scattano nella sinistra ogni volta che si entra in polemica sull'antisemitismo che, purtroppo, emerge spesso in questi settori, è che se fossero vere sarebbero antisemiti una buona parte degli israeliani, e molti ebrei della diaspora, che non amano Sharon e sono critici nei suoi confronti. E, ovviamente, né D'Alema né gli altri che usano questa argomentazione fasulla hanno mai citato chi secondo loro lancia una così assurda accusa di antisemitismo nei confronti di chi critica la politica del governo d'Israele.
Ma questo è solo l'antipasto, il piatto forte deve ancora venire - e viene
dopo poche righe.
"L'onorevole Fini ha sostenuto che l'errore del sondaggio consiste nel mettere sullo stesso piano gli aggrediti e gli aggressori. Ma chi sono gli aggrediti? E chi sono gli aggressori? Nella tragedia del Medio Oriente non è così facile operare questa distinzione....Israele è certamente un paese aggredito da un terrorismo barbaro e fanatico che nulla al mondo può giustificare. Ma è anche l'aggressore del popolo palestinese, di cui occupa la terra e reprime la rivolta uccidendo con la forza delle armi centinaia di civili inermi (per la precisione sono quasi tremila negli ultimi anni)".
Parole che lasciano senza fiato.
Possiamo giustificare tanta amnesia od ignoranza nei giovani, ma per un politico non più giovane, che è sulla breccia da decenni, non esiste
giustificazione alcuna e la sola spiegazione per noi verosimile è quella
della malafede.
D'Alema ha stravolto la storia, e lo ha fatto scientemente, dato che egli
non può ignorare fatti avvenuti nel periodo in cui ha ricoperto posizioni di
qualche peso in quel PCI che dopo il 1967 ha obbedito agli ordini di Mosca
sposando con paraocchi e fette di lardo la causa araba, e seminando a piene mani antisemitismo del peggior genere nel 1982.
D'Alema ha voluto dimenticare che nel 1947 Israele è nato per volontà delle
Nazioni Unite, ed uno stato palestinese non è nato per volontà del mondo arabo; ha voluto dimenticare che nel 1948 e nel 1967 Israele è stato
aggredito da tutti gli stati arabi con la dichiarata intenzione di farlo sparire dalla faccia della terra; ha dimenticato che le conquiste di
territori arabi (non palestinesi: giordani, egiziani e siriani) è stata la
conseguenza della guerra del 1967 scatenata dagli arabi; ha dimenticato che
Israele ha restituito all'Egitto tutti i territori conquistati, in cambio
di un trattato di pace; ha dimenticato che Israele non ha fatto altrettanto con la Giordania (che avrebbe riavuto la Cisgiordania) perché la Giordania
non ha voluto firmare un trattato di pace; ha dimenticato che la striscia di
Gaza non è stata restituita all'Egitto perché l'Egitto non l'ha voluta;
ha dimenticato che Israele ha lasciato il Libano senza contropartite, ed il
Libano è occupato militarmente dalla Siria nel complice silenzio del mondo
intero; ha dimenticato che Siria e Giordania hanno massacrato palestinesi a
migliaia per disfarsene; ha dimenticato che gli ignobili campi profughi sono
stati costruiti e mantenuti per decenni dagli arabi, non da Israele.
E D'Alema ignora o finge di ignorare che la carta costitutiva dell'OLP e
quella di Hamas pretendono l'annientamento di Israele. Ignora o finge di
ignorare che Israele (usiamo deliberatamente il nome dello stato e non di un
governo, perché questa è stata la linea politica seguita da tutti i governi,
senza distinzione) ha sempre seguito la via dei negoziati, ed usa la forza
militare solo da quando Arafat ed i suoi fedeli di Fatah hanno scatenato
questa che D'Alema chiama "rivolta" per darle una verniciatura morale ed una
legittimazione politica.
E poi, per concludere, l'uso strumentale delle statistiche, che D'Alema
(giustamente) condanna senza mezzi termini, salvo poi farne uso lui stesso. I
"quasi tremila morti" palestinesi includono (sono cifre di fonte
palestinese) i terroristi suicidi, i terroristi morti per "incidenti sul lavoro", i palestinesi "giustiziati" nelle piazze senza processo per aver
collaborato con Israele; i palestinesi armati morti in combattimento. Se
analizziamo questi totali secondo categorie (donne, bambini, civili
disarmati, ecc.) arriviamo a risultati molto meno clamorosi, che non
farebbero però gioco né ad Arafat né a D'Alema.
A D'Alema diciamo: critichi Sharon quanto vuole, lo copra di insulti, ma eviti di cambiare la storia per cercarvi un pretesto alla sua faziosità.

Ecco il testo integrale:

Caro direttore, mi sono chiesto come avrei risposto al quesito - così mal posto - del sondaggio europeo che tanto fa discutere e indigna. L'unica risposta giusta sarebbe stata non rispondere. Personalmente non accetto l'idea che uno Stato, un singolo Paese, possa essere considerato di per sé una minaccia per la pace. La considero un'idea figlia di quella concezione degli stati-canaglia che è all'origine del manicheismo neo-conservatore americano e della stessa dottrina di guerra preventiva. In questo senso, un quesito ambiguo può persino alimentare l'idea che la sola esistenza di un determinato Stato costituisca una minaccia per tutti gli altri. Capisco come tutto ciò possa aver toccato un nervo scoperto in un mondo, quello ebraico, che vede misconosciuto da alcuni, e non da oggi, il diritto stesso dello Stato d'Israele ad esistere e che non può avere dimenticato le tragedie generate dall'antisemitismo fino dentro il cuore dell'Europa. Ma per queste stesse ragioni ritengo che si dovrebbe essere più attenti e rigorosi nell'uso, talora improprio, di quella espressione - antisemitismo - giustamente avvertita come terribile. Un sondaggio, per quanto malamente condotto, può esser tacciato di antisemitismo? Oppure, come grottescamente si è fatto con l'aggressione strumentale a Romano Prodi, si può accusare della stessa colpa chi quel sondaggio ha commissionato? Insisto, possiamo considerare antisemita il 60 per cento dei cittadini europei? E che dire dell'altro 53 per cento che, contemporaneamente, ha denunciato il pericolo incombente dall'Iran o dalla Corea del Nord? Probabilmente, almeno in parte, si tratta delle stesse persone dal momento che la rilevazione consentiva una risposta multipla. Sono contrario per principio all'uso chiassoso e propagandistico dei sondaggi. In primis perché non li considero delle sentenze e tanto meno dei test elettorali. Non servono a stabilire i torti e le ragioni, né a legittimare o delegittimare chi governa. Questo modo di usare le statistiche ha contribuito a imbarbarire la vita politica e civile e a impoverire il confronto delle idee. I sondaggi servono, al massimo - e se fatti bene - a cogliere meglio i sentimenti e le opinioni dei cittadini. Di ciò la politica deve tenere conto, senza tuttavia rendersene schiava, ché altrimenti rinuncerebbe in tutto o in parte alle sue prerogative, ai suoi valori e scopi, limitandosi a rispecchiare l'opinione contingente della maggioranza, con tutte le sue possibili degenerazioni. Ma se è sbagliato sostituire l'etica dei sondaggi all'etica della convinzione di weberiana memoria, è egualmente errato criminalizzare un sondaggio o non cercare di capire quale ne sia il significato e il messaggio. Su questo vorrei si ragionasse senza pregiudizi. Se avessero chiesto ai cittadini europei, in modo certamente più sobrio e prosaico, "la politica di Sharon aiuta oggi la pace in Medio Oriente?", credo che la stragrande maggioranza degli intervistati - e io con loro - avrebbe risposto "no", e lo avrebbe fatto senza timore di venire catalogati come antisemiti. Ecco, forse di questa opinione i governi europei - compreso quello italiano - dovrebbero tenere conto. L' onorevole Fini ha sostenuto ieri che l'errore del sondaggio consiste nel mettere sullo stesso piano gli aggrediti e gli aggressori. Ma chi sono gli aggrediti? E chi sono gli aggressori? Nella tragedia del Medio Oriente non è così facile operare questa distinzione. Il rischio, infatti, è di scadere in una visione rozza, manichea, e soprattutto improduttiva sul piano politico. Israele è certamente un paese aggredito da un terrorismo barbaro e fanatico che nulla al mondo può giustificare. Ma è anche l' aggressore del popolo palestinese, di cui occupa la terra e reprime la rivolta uccidendo con la forza delle armi centinaia di civili inermi (per la precisione sono quasi tremila negli ultimi anni). La tragedia della Terra Santa sta proprio in questo destino incrociato di due popoli, di due paesi, di due classi dirigenti che possono essere aiutati a trovare la via della pace solo se si riconosce loro una comune responsabilità nella spirale terribile della guerra e dell' odio. Se si muove invece dal pregiudizio secondo cui c'è un aggredito che ha diritto di difendersi e un aggressore che deve ritrarsi non si farà mai un solo passo verso la pace. Questa è la realtà. Tutta la logica della road map si fonda proprio sul parallelismo degli obblighi e degli impegni delle due parti e la posizione di chi dice, "prima fermate i terroristi, poi fermeremo le colonie", così come quella speculare di chi sostiene "prima ritiratevi, poi fermeremo gli attacchi", sono, l'una e l'altra, un impedimento alla pace. Per la pace hanno invece lavorato quegli israeliani e quei palestinesi i quali con grande coraggio hanno affrontato gli stessi nodi che la road map rinvia, cercando di definire i contenuti di un accordo sulle questioni più difficili, e indicando un cammino di pace concretamente possibile. Mi spiace dover dire che il governo Berlusconi, schierandosi acriticamente a fianco di Sharon e della sua politica, ha ridotto di molto la possibilità per l' Italia di svolgere un ruolo positivo nella ricerca della pace. Il Medio Oriente avrebbe bisogno di un'Europa capace di essere egualmente vicina al popolo israeliano e al popolo palestinese, ed egualmente capace di spingere con fermezza i leaders di entrambe le parti a muovere sulla strada del dialogo e dell' ascolto reciproco. Speriamo che l'Europa - che oggi trova il modo di azzuffarsi persino attorno a un sondaggio infelice - si ponga invece, presto o tardi, all' altezza di questo compito e della sua funzione.
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