Testata: La Stampa Data: 31 ottobre 2003 Pagina: 17 Autore: Aldo Baquis Titolo: «Interrogatorio di sette ore per Sharon»
Sarà che Baquis non ha avuto bisogno di citare fonti palestinesi, sarà che il protagonista del pezzo è uno Sharon sotto accusa, sarà quel che sarà ma Baquis è riuscito persino a tirare fuori dai suoi tasti del senso dell'umorismo. E, a sorpresa, chi ne trae vantaggio alla fine della lettura è proprio Sharon. Da leggere, un articolo godibilissimo, per la serie "nelle democrazie succede questo ed altro".
Ariel Sharon è stato interrogato ieri a lungo nella propria residenza di Gerusalemme da cinque investigatori della polizia incaricati di far luce sulla natura dei suoi legami con uomini d'affari israeliani e stranieri, nell’ipotesi che questi abbiano cercato di corromperlo stringendo legami con i due figli del premier, Ghilad e Omri. Il primo è lui stesso un uomo d'affari, il secondo è un parlamentare di spicco del Likud. Negli anni passati anche i predecessori di Sharon - Benyamin Netanyahu (Likud) ed Ehud Barak (laburista) - sono stati costretti a passare sotto le forche caudine degli investigatori della polizia. Quelle inchieste non sono sfociate in incriminazioni. Per questa ragione i principali analisti politici in Israele si sono generalmente astenuti dal definire l'interrogatorio di ieri «come l'inizio della fine del governo Sharon». Il premier deve tuttavia confrontarsi in questi giorni non solo con le turbolenze nei Territori palestinesi, ma anche con una grave crisi sociale evidenziata dall’imminenza di uno sciopero generale e da un allarmante rapporto sulla povertà in Israele. Di settimana in settimana, i sondaggi rilevano un calo sempre maggiore nella popolarietà del premier, che è stato eletto con nettissima maggioranza meno di un anno fa. Sharon, secondo una fonte della polizia, si è divertito a fare da padrone di casa e a mettere a disagio gli inquirenti: ad esempio, fissandoli a lungo negli occhi. Il premier ha anche proposto loro un pranzo, ma gli ufficiali hanno preferito declinare l'offerta e concentrarsi sulle centinaia di domande che avevano preparato. Dopo sette ore hanno raccolto le carte, ma hanno lasciato intendere che sarà necessario sottoporre Sharon a un nuovo interrogatorio in un prossimo futuro. In questa sessione Sharon ha dovuto illustrare la natura dei suoi rapporti con l'uomo d'affari israeliano David Appel, un noto finanziatore del Likud. Agli inquirenti premeva comprendere se potesse esserci un nesso diretto fra l'interessamento attivo mostrato da Sharon (quando fungeva da ministro degli Esteri) verso un ambizioso progetto turistico di Appel in Grecia, e la decisione di Appel di ricorrere ai servigi di Ghilad Sharon in qualità di consigliere particolare per quella iniziativa. Alla firma del contratto Ghilad ricevette 100 mila dollari. Avrebbe dovuto incassare altri 300 mila dollari in una fase successiva e intascare complessivamente un milione e mezzo di dollari se la città turistica progettata da Appel in un'isola sperduta fosse stato realizzata. Il premier, a quanto pare, ha replicato di non essersi mai interessato degli affari privati del figlio. Le strade di Sharon e di Appel si sono incontrate ancora di recente quando il premier è intervenuto di persona affinché fossero speditamente concessi permessi edilizi in terreni della città di Lod (Tel Aviv), che in buona parte appartengono ad Appel. Il premier, a quanto pare, ha giustificato il proprio comportamento con considerazioni generali di carattere urbanistico. Per provare la ipotesi di una corruzione, gli investigatori dovrebbero mettere le mani su incartamenti (e forse anche su registrazioni) custodite da Ghilad Sharon nella propria abitazione nel Ranch dei Sicomori, nel Neghev. Ma la sua palazzina rientra sotto l'ombrello giuridico protettivo di «residenza del primo ministro» e quindi la polizia non può perquisirla. Solo un plateale intervento della Corte suprema potrebbe spalancare agli inquirenti i cancelli del ranch. Forse la polizia andrebbe anche alla carica se proprio in questi giorni l'investigatore n.1, Moshe Mizrahi, non si fosse trovato al centro di una feroce polemica. Accusato da mesi di aver collezionato registrazioni telefoniche di carattere privato di esponenti politici (fra cui Netanyahu), Mizrahi è stato ultimamente sonoramente biasimato dal capo della magistratura. Uno sviluppo drammatico e imprevisto, che ha obbligato alla difensiva i vertici della polizia. Pur avendo redatto le domande destinate al premier, Mizrahi è rimasto nel proprio ufficio. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de La Stampa. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.