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Il Foglio Rassegna Stampa
31.10.2003 Gli attacchi al nuovo Iraq e alla Croce Rossa:
nell'analisi di T.Friedman, un liberal di sinistra

Testata: Il Foglio
Data: 31 ottobre 2003
Pagina: 3
Autore: Christian Rocca
Titolo: «Macché resistenza, colpiscono la Croce rossa perché sono i nuovi khmer rossi»
Se i critici di casa nostra, sempre pronti a richiamarsi all' altra America, come se ne esistesse una fatta a loro misura,leggeranno come la pensa Thomas Friedman, forse impareranno che si può essere progressisti senza essere antiamericani. E avere un'opinione sulla politica americana persino simile a quella di Bush.
Ecco il pezzo di Christian Rocca, esemplare per la sua chiarezza.

Ancora una volta è stato uno di sinistra, il principe degli editorialisti liberal del pacifista New York Times, cioè Thomas Friedman, a spiegare perfettamente che cosa stia succedendo in Iraq, anzi più che in Iraq, nei circoli intellettuali e giornalistici del mondo occidentale: "Molti liberal di sinistra si oppongono a questa guerra perché non riescono a credere che qualcuno così radicalmente conservatore come George W. Bush possa aver organizzato una guerra così radicalmente di sinistra e liberale". E’ la tesi di Tony Blair e di molti intellettuali della sinistra americana oltre che dei neoconservatori, quegli entusiasti della democrazia descritti quando va bene come una specie di Spectre golpista ma quasi sempre come una cricca di fascistoni "non a caso ebrei".

Un esempio italiano
In Italia, per esempio, è appena uscito un saggio di un francese, Eric Laurent, per Mondadori, la casa editrice di mera proprietà del presidente del Consiglio best friend di Bush, la cui rilettura del "potere occulto di George W. Bush", questo è il titolo, sembra ispirarsi al metodo diciamo fantasioso di una ricostruzione storica affidata ad Antonio Tabucchi. La ricetta è semplice ed efficace: qualche episodio vero, altri verosimili, infine alcune balle gigantesche, il tutto cucinato per servire una pietanza in realtà precotta: c’è un cowboy un po’ scemo circondato da affaristi e da ebrei che vogliono governare il mondo per fare i loro sporchi affari. Ovvio che ci caschino tutti. In un paragrafo del libro, per esempio, il giornalista francese racconta come il più importante storico americano dell’Islam, il professore emerito a Princeton Bernard Lewis, definito "noto orientalista vicino ai neocon", abbia detto a un convegno dell’American Enterprise che "gli arabi sono incapaci di democrazia". Parole "spaventose" commenta il francese. Vero, ma soltanto se fossero vere. Bernard Lewis a quel convegno ovviamente ha detto il contrario, e basta consultare il sito dell’Aei alla data 3 ottobre 2002 per sbugiardare il francese. La tesi dell’incapacità democratica degli arabi è stata riportata da Lewis per spiegare non la sua posizione, ma quella un po’ razzista di chi era contrario all’intervento in Medio Oriente. Lewis infatti scrive da anni il contrario, crede che gli arabi e l’Islam siano capacissimi di democrazia, intanto perché non è razzista, poi perché una forma di rappresentanza e di alternanza l’hanno conosciuta anche loro e, terzo, perché l’autoritarismo e la dittatura sono importazioni occidentali, nazifasciste negli anni Trenta e comuniste nel secondo Dopoguerra. C’è una sua bella intervista a Fiamma Nirenstein, "Islam", uscita da Rizzoli, in cui il pensiero di Bernard Lewis risulta più che chiaro: "Vorrei vedere l’Islam godere della democrazia". Se abbiamo esportato la dittatura, sostiene Lewis, perché non dovremmo essere capaci di esportare la democrazia e la libertà? Certo non ci si riesce in quattro e quattr’otto, ma l’esempio turco oltre a evidenziare la difficoltà dimostra anche che impiantare la democrazia nel mondo isinsurmico è possibile. Tanto più che, come ha scritto il premio Nobel e guru della sinistra mondiale, cioè Amartya Sen, la democrazia non è un’invenzione occidentale. Basta intendersi sul suo significato. Se per democrazia si intende partecipazione, legalità e contrattualità allora non è una prerogativa nostrana.

Uccidono per un mondo peggiore
A ogni strage fascista compiuta a Baghdad, si dice che gli iracheni non vogliono
gli americani, che vogliono governarsi da soli, senza l’odiato invasore. Non è così. Intanto c’è un Consiglio governativo iracheno, l’organo più rappresentativo dell’intera storia irachena. Il Consiglio governativo, espressione di tutte le etnie e di tutte le articolazioni della società, non chiede agli americani di andarsene, chiede che proteggano il paese dai fascisti di Saddam. Senza sicurezza, non ci potrà essere il passaggio di sovranità. Le stragi non sono di segno indipendentista o resistenziale, sono di matrice fascista. Gli arabi di bin Laden e i camerati di Saddam non sono partigiani, sono repubblichini se non khmer rossi, come scrive Thomas Friedman. C’è chi uccide per onore, c’è chi uccide per la patria, ma i terroristi di questa guerra uccidono per un mondo peggiore. Per riconsegnare l’Iraq al despota, e gli iracheni alla tortura e alla barbarie. I terroristi non uccidono gli americani affinché gli iracheni possano autogovernarsi, uccidono gli americani
perché vogliono tornare a torturare gli iracheni. Non colpiscono soltanto obiettivi militari americani. Hanno colpito l’Onu, l’organizzazione che più si è opposta all’invasione, l’unica che avrebbe potuto mitigare la presenza di Washington. Hanno ucciso gli ayatollah meno violenti. Hanno attentato alla vita di Paul Wolfowitz, che non è il capo della Spectre, ma l’americano che più di ogni altro vorrebbe riconsegnare le chiavi di un paese libero e democratico ai suoi legittimi proprietari, ai quali fu tolto 40 anni fa. Hanno ucciso un ministro iracheno, uccidono gli iracheni che lavorano per il proprio paese. Hanno sparato sulla Croce rossa, cosa che neanche Adolf Hitler si sognò mai di fare. Eppure sembra che la colpa di queste stragi sia degli americani. I fascisti saddamiti massacrano i crocerossini che si prendono cura degli iracheni, eppure sui giornali passano per partigiani della libertà.
Bush lo ha detto più volte, a fronte di chi oggi vuole far credere che si fosse limitato a decretare "compiuta" la missione: "La transizione dalla dittatura alla democrazia richiederà tempo, ma merita ogni sforzo. La nostra coalizione resterà fino a quando il lavoro sarà terminato".

Ecco, come terminare il lavoro?
In questi giorni, prima due neocon come Tom Donnelly e Gary Schmitt, poi Bernard
Lewis e l’ex direttore della Cia, James Woolsey, hanno dato alcuni suggerimenti
interessanti. I due neoconservatori, dalle colonne del Washington Post e del
Weekly Standard, hanno invitato Bush a usare le tattiche militari contro le insurmico rezioni armate ben conosciute dai marines. Nessuna cautela su questo, né bisogna avere paura di evocare una parola, insurrezione, che ricorda il Vietnam, sostengono i due. Lewis e Woolsey, dal Wall Street Journal, hanno invece spiegato che esiste una soluzione giuridica per trasferire velocemente la sovranità agli iracheni. Si tratta della Costituzione irachena del 1925, l’unica Carta adottata legalmente e che ha governato il paese fino ai colpi di Stato organizzati dal dittatore egiziano Gamal Nasser. Non è una Costituzione
ideale, ma può tranquillamente essere usata come legge di transizione fino a che
la nuova Carta non sarà approvata. Questa idea è contenuta anche nel documento
che le opposizioni irachene in esilio approvarono a Londra alla fine del 2002. E’ una Costituzione monarchica, il trono è hascemita, ma la sovranità è del popolo, c’è un Parlamento eletto e contiene una sezione dedicata ai diritti civili, religiosi, di coscienza. Bastano un paio di modifiche e può servire ad avviare l’Iraq verso la democrazia. I terroristi sembrano aver capito molto meglio della sinistra mondiale quale sia la posta in gioco. I fascisti di Saddam sanno perfettamente che questa non è una guerra per il petrolio né imperialista né della lobby ebraica. Come ha scritto il liberal Friedman, "questa è la guerra più radicale e liberale e rivoluzionaria che gli Stati Uniti abbiano mai dichiarato: la guerra per installare la democrazia nel cuore del mondo arabo-musulmano".
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