Fanno un mestiere nato dal terrore sono gli israeliani della Zaka
Testata: Il Foglio Data: 29 ottobre 2003 Pagina: 1 Autore: un giornalista Titolo: «Zaka a Roma»
Riportiamo l'articolo sull'associazione israeliana, Zaka, pubblicato sul Foglio mercoledì 29 ottobre 2003. Roma. Il loro motto è "ogni secondo conta", soprattutto in caso di tragedia. Il loro compito è ritrovare e soccorrere, salvare vite e rispettare i morti. I 900 volontari dell’organizzazione israeliana Zaka (acronimo ebraico per "Zihui Korbanot Asson", "identificazione delle vittime di disastri") sono i nuovi eroi della società israeliana. I primi ad accorrere su ogni luogo colpito da attentato terroristico. I primi a soccorrere, i primi a occuparsi di raccogliere pietosamente ogni brandello umano, affinché, come richiede la tradizione ebraica, il corpo venga dignitosamente ricomposto e trovi sepoltura. Scrive il Talmud: "Chi salva una vita è come se abbia salvato il mondo intero". Per gli uomini di Zaka, tutti ebrei ultraortodossi, si tratta di un imperativo categorico, della più alta delle leggi, quella di Dio, che quindi va con ogni mezzo rispettata. I loro mezzi sono la fede, la tempestività, l’addestramento e la massima collaborazione con le altre strutture di primo intervento atte ad affrontare i peggiori disastri: personale medico, polizia, squadre della scientifica, autorità rabbinica, ministero della Giustizia e istituto patologico. Lavorando incessantemente accanto agli altri, e arrivando spesso prima degli altri, i volontari di Zaka – che nei filmati si riconoscono dal tradizionale copricapo ebraico ma anche dalle lunghe barbe che per rispetto della Torah non tagliano mai per non "scalfire il viso" – rispondono ormai a più di 3.000 emergenze ogni anno. Un gruppo di loro sarà a Roma questa settimana e presenterà per la prima volta in Italia l’attività della propria organizzazione. Oggi, in mattinata, saranno ricevuti in Campidoglio dal sindaco Walter Veltroni, alla presenza del rabbino capo della comunità ebraica di Roma Riccardo Di Segni, dell’ambasciatore di Israele Ehud Gol, del presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane Amos Luzzatto e del presidente della comunità ebraica di Roma Leone Paserman. La sera i volontari incontreranno gli ebrei di Roma nel Tempio maggiore. Fondata nel 1995 con lo scopo di portare a sepoltura le spoglie delle vittime delle catastrofi, Zaka ha ottenuto pieno riconoscimento giuridico e rispetto da parte di tutta la società, e oggi conta tre unità: quella che porta rispetto ai corpi dei deceduti raccogliendone e ricomponendone ogni parte ritrovabile, quella che si occupa della ricerca e del salvataggio (soprattutto di bambini) in caso di disastro; quella infine che (motorizzata con veloci scooter) soccorre immediatamente qualsiasi vita in pericolo o colpita.
Sulla via della riconciliazione La storia ha anche un altro risvolto. Il contributo dato da Zaka è esempio infatti della nuova tendenza di avvicinamento alla vita civile israeliana degli ebrei ultraortodossi, che un tempo si definivano in gran parte "antisionisti". Israele ha imparato a conoscere sempre meglio questi uomini pii, che un tempo vivevano segregati in comunità separate, vedendoli accorrere sui luoghi dei grandi attentati che hanno segnato gli ultimi tre anni. Come simbolo del rispetto della popolazione per il lavoro svolto dai volontari ultraortodossi (in ebraico "haridiim") l’ultimo "Yom ha-Hazmaut", il giorno dell’indipendenza, Yehuda Meshi-Zahav, fondatore di Zaka e lui stesso un noto esponente del mondo "haredì", ha acceso una delle fiaccole che vengono assegnate ogni anno a personaggi divenuti per ragioni diverse simboli nazionali. Il fatto che Meshi- Zahav sia un rappresentante dell’ideologia ultraortodossa e anti-sionista, non ha fatto che accentuare l’importanza del gesto, sia quello dello Stato di conferirgli l’onore di accendere la fiaccola, sia quello di Meshi-Zahav di accettare l’idea di accenderla, pronunciando in quella occasione frasi nazionaliste. Il gesto di Meshi-Zahav come la recente elezione (nel giugno 2003) a Gerusalemme del sindaco ultraortodosso Uri Lupolianski non rappresentano ancora forse una piena riconciliazione tra Stato sionista e società ultraortodossa: quest’ultima continua ideologicamente a non accettare la legittimità di uno Stato ebraico fondato da uomini e non dall’intervento divino. Si tratta tuttavia di esempi di un nuovo approccio sperimentato dalla società israeliana e alimentato proprio dalla sua componente più giovane, nata dopo il 1948, che vive ormai pienamente nella realtà dello Stato d’Israele. Un tentativo di avvicinamento tra i diversi rami della società che potrebbe presto comportare anche soluzioni per la partecipazione dei giovani ultraortodossi alla vita dell’esercito, dalla quale fino a oggi sono rimasti volontariamente esclusi. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.