Anche il Foglio non è perfetto un articolo da criticare (e uno no)
Testata: Il Foglio Data: 24 ottobre 2003 Pagina: 1 Autore: la redazione Titolo: «Israele e Bush. Nemer Hammad»
Un buon pezzo di informazione nello stile del Foglio: Roma. Agli Esteri di Israele e al Mossad sanno benissimo che se c’è un tema che Washington da anni "non" vuole si tocchi, sono i coinvolgimenti sauditi in programmi nucleari, presenti e passati. Prima di Desert Storm, gli americani fecero salti mortali per mettere a tacere storie e documenti che affluivano copiosi sui tavoli di alcuni giornalisti specializzati. Gli israeliani allora ressero il gioco. Oggi Ariel Sharon è impegnato in una delicata battaglia e sente di avere l’Europa contro e l’America in via di intiepidimento, con l’Iran che rispetterà i protocolli dell’Aiea in materia di nucleare solo a parole, e per di più di fronte alla terza minaccia in una settimana proferita dopo anni di silenzio dal capo di Stato maggiore siriano nei confronti di Israele. Così il premier israeliano ha dato via libera a una fuga di notizie che imbarazza Washington, e fa infuriare sauditi e pachistani. Erano due giorni che una fonte israeliana aveva passato a David Sands, del falco Washington Times, l’indiscrezione di un accordo segreto tra sauditi e pachistani, petrolio in cambio di tecnologie e forse addirittura testate nucleari. Ma nessuno aveva dato un gran seguito tranne il Times, al quale i rappresentanti dei due paesi accreditati a Londra avevano subito espresso tutto il proprio sdegno. Al terzo giorno da Gerusalemme si è ancora alzato il livello. La fonte si è fatta sfuggire che dell’accordo avrebbe parlato il maggior generale Aaron Zheevi, dei servizi militari israeliani, durante un briefing a porte chiuse alla commissione Difesa della Knesset. Fonte ufficiale anche se coperta dal segreto. Cia e Nsa, Pentagono e Dipartimento di Stato hanno capito che Israele non starà zitto come nel 1991. La richiesta saudita, secondo l’indiscrezione, sarebbe stata formulata dal principe Abdullah al presidente pachistano Pervez Musharraf, lo scorso fine settimana. Giustificata dal concomitante programma nucleare iraniano, altererebbe profondamente l’equilibrio delle forze nell’intero teatro, oltre a costituire violazione degli impegni sottoscritti da Riad e Islamabad nel Trattato di non proliferazione. Il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Adam Ereli, tanto per far capire a Gerusalemme l’antifona si è affrettato a dire che a Washington non risulta proprio nulla, si tratterebbe di niente di più che "a rather bald assertion", pura chiacchiera.
Missili cinesi e tecnici iracheni Di fatti certi, secondo gli israeliani, ce ne sarebbero. Almeno quelli riguardanti il passato. L’ultima visita riservata di un ministro della Difesa saudita all’impianto segreto nucleare pachistano di Kahuta risalirebbe al 1999. L’Arabia Saudita oggi non dispone di armi di distruzione di massa. Ma nel 1975 avviò il primo centro riservato di ricerca nucleare nel complesso militare di al Sueiyel. Dopo l’azione degli F16 israeliani sul reattore iracheno di Osirak, Riad offrì riservatamente di finanziare la ripresa dei programmi di Baghdad, e secondo il Mossad tra il 1985 e il 1990 la collaborazione tra i due paesi fu operativa, con finanziamenti sauditi per l’equivalente in quegli anni di 5 miliardi di dollari attuali, mentre in senso inverso tecnici e tecnologia provenivano dall’Iraq. Nel 1988, Riad si munì di missili cinesi a lunga gittata CSS-2. Tutto si interruppe con l’invasione da parte di Saddam del Kuwait e la successiva guerra del Golfo. Con gli americani – che sapevano tutto, dicono al Mossad – impegnati a quel punto in un deciso cover up per non imbarazzare il paese amico, che ospitava le truppe del generale Schwarzkopf. La riprova si ebbe nel 1994, quando Muhammed Khilevi, numero due saudita alla missione presso le Nazioni Unite, chiese asilo politico offrendo in cambio informazioni e documenti compromettenti proprio sul programma nucleare saudita degli anni Ottanta, ma Cia e MI6 lo misero alla porta con disdegno. Dalla fine degli anni Novanta interesse e finanziamenti sauditi si sarebbero riorientati verso l’altro nucleare musulmano, quello di Islamabad. Il principe Sultan, ministro della Difesa saudita, ha replicato con ira più volte, in questi anni, a giornalisti occidentali che gli chiedevano conto "atomico" delle sue visite pachistane. Fatto sta che i vecchi missili CSS-2 non sono più una minaccia. Ma il Mossad è convinto che il tour saudita di un dirigente degli impianti cinesi, che oggi realizzano i più moderni CSS-6 da 600 km di raggio, e CSS-5 da 1.800, l’anno scorso non fosse per una reale caccia al falcone. Molto meno accettabile l'intervista con Nemer Hammad. Al quale viene data credibilità e al quale non vengono date le risposte che sarebbe stato opportuno dare. Hammad è da sempre - e purtroppo a spese nostre- il rappresentante di Arafat, e da anni svolge la sua azione in piena linea con il rais. Al di là della propaganda la sua attività non ha mai avuto un carattere diplomatico, anche se lui rivendica questo status ( e forse anche a ragione, grazie alla condiscendenza con la quale si è sempre risposto si a tutte le sue richieste). Dal Foglio ci aspettavamo meno accondiscendenza. Ecco il pezzo. Hammad: "Il vostro muro di Berlino fatevelo sui confini del '67"
Roma. Il rappresentante dell’Autorità nazionale palestinese in Italia, Nemer Hammad, si aspetta un largo e trasversale appoggio alla giornata di lotta "contro il muro dell’apartheid" in Cisgiordania, indetta dalla campagna internazionale "Stop the Wall" per il prossimo 9 novembre, anniversario della caduta del Muro di Berlino, con manifestazioni in diverse città europee. L’iniziativa (che per ora da noi ha raccolto solo le scontate adesioni del Forum Palestina, del Comitato di solidarietà con l’Intifada, degli Amici della Mezzaluna Rossa palestinese e di pochi altri) inchioda alla medesima gogna la recinzione di difesa contro i kamikaze voluta da Israele e il "muro della vergogna" che fu uno dei simboli del totalitarismo del ’900. Nemer Hammad non si stupisce per la data prescelta: "E’ assurdo – dice al Foglio – che, nel momento in cui si festeggia l’anniversario della caduta di un muro in Europa, se ne costruisca un altro in Medio Oriente. Un muro che è prima di tutto un sistema per disegnare nuovi confini favorevoli a Israele, inglobando parti di territorio che non gli competono". Rimane il fatto che con l’inizio della seconda Intifada è cominciata un’offensiva di attentati kamikaze, drasticamente diminuiti da quando la barriera è in costruzione (ragione per cui la schiacciante maggioranza degli israeliani la considera con favore). Hammad, tuttavia, si dice convinto che quel muro tradirà, alla lunga, proprio le aspettative di sicurezza in nome delle quali viene edificato, "perché creerà migliaia di nuovi kamikaze. Nessuno ama morire, ma tra i giovani palestinesi ogni nuova umiliazione fa aumentare la rabbia e i candidati al martirio. Gli israeliani hanno ragione a chiedere come priorità la sicurezza, ma devono considerare che anche nell’altro campo si convive con la paura. Sarei d’accordo con quel muro, se percorresse la frontiera del 1967: in quel caso, nulla in contrario. Ma la costruzione procede mangiando parti importanti del nostro territorio e costringendo in nuovi ghetti decine di migliaia di palestinesi. E poi, i kamikaze sono un problema anche per noi, oltre che per la società israeliana". Con conseguenze ben diverse… "Ma se l’Anp non riesce a controllare la situazione la responsabilità è soprattutto di Israele", replica Hammad, che non vuol sentir neanche parlare di acquiescenza o di un uso della minaccia degli attentatori suicidi da parte dell’Anp di Arafat. "Vogliamo negare che dopo gli accordi di Oslo, tra il 1995 e il 1996, abbiamo arrestato moltissimi militanti dei gruppi radicali, tanto che ci sono piovute addosso le critiche di Amnesty International? O che abbiamo sostenuto scontri armati con militanti di Hamas e del Jihad mentre da parte israeliana si continuavano a costruire insediamenti? Dopo Oslo, i due popoli in conflitto avrebbero dovuto vedere i frutti dell’accordo, ma ai palestinesi è toccato subire la costruzione di un muro intorno a Gaza. Ma non crede che una lotta di liberazione che usa i kamikaze si condanna al discredito e al suicidio? "La maggioranza dei palestinesi è contraria agli attentati suicidi e lo è di più quando si apre una strada al negoziato. Dobbiamo provare a percorrere insieme di nuovo quella via, con la garanzia di una presenza internazionale". Sta parlando della road map? "Penso piuttosto alla nuova proposta di Ginevra, partita da esponenti dei due popoli in conflitto. Duramente criticata, com’era prevedibile, sia dal Likud che da Hamas e da altri gruppi radicali palestinesi. Per quanto ci riguarda, dovremmo anche lavorare a costruire impianti sportivi, teatri, cinema, perché i giovani palestinesi ora hanno a disposizione soltanto la moschea o la chiesa. Che vanno bene, ma non devono diventare la loro seconda casa. Così si possono sottrarre i giovani all’influenza di gruppi come Hamas. Ma nelle nostre città assediate per questo non esiste nemmeno lo spazio" Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.