Le differenze fra due mentalità chi condanna il terrorismo e chi lo applaude
Testata: La Stampa Data: 21 ottobre 2003 Pagina: 30 Autore: Fiamma Nirenstein Titolo: «Ebrei e arabi, a ciascuno il suo terrorista»
Un articolo importante di Fiamma Nirenstein con un titolo sbagliato. Perchè "A ciascuno il suo terrorista" quando tutto il pezzo è una lampante dimostrazione di quanta differenza ci sia tra chi lo è in Israele e chi lo è nella società palestinese? Il titolo ne uguaglia la condizione, l'articolo ne illustra l'abisso che li separa. Mi è capitato di compiere, lavorando per La Stampa, un test inconsueto sulla differenza fra società palestinese e società israeliana, un test che dovrebbe far nascere molte domande in quelli che seguitano a parlare di odio mortale fra due società, di spirale della violenza, di simmetria del conflitto. Per caso, ho intervistato due presunti terroristi, uno di una parte e uno dell'altra. L'ebreo, di nome Sela Tor, l'ho incontrato dopo che lo Shabbach lo aveva trattenuto in detenzione preventiva per 27 giorni sospettato di sette omicidi, di possesso e uso d'armi, di associazione a delinquere. Sela, rilasciato da pochi giorni perché le accuse non sono state provate, pensa esattamente quello che pensa un terrorista palestinese rispetto agli ebrei: «Niente di personale, solo che i testi sacri dicono che gli arabi non devono esistere sulla mia terra. Uomini, donne e bambini, in fase di conquista della terra, sono soltanto ostacoli all'adempimento della volontà di Dio». Quindi, dice Sela, io non li ammazzo, ma se qualcuno lo fa, tanto meglio. Subito dopo, ecco tutte le differenze col terrorismo arabo: lo Shabbach (il servizio segreto dell'interno) ha catturato e torchiato Sela Tor, l'ha tenuto in isolamento, lo ha interrogato senza tregua al limite della tortura psicologica: sempre la luce accesa in una cella nera, minuscola, senza finestre, le mani legate durante l'interrogatorio, il bugliolo vicino al materasso per terra. Per i terroristi lo Shabbach non ha nessuna simpatia, anche se sono ebrei. Anche la società israeliana in genere non ha simpatia per Sela: persino i suoi compagni di Hebron e in genere della Yesha, l'organizzazione dei settler della Giudea e della Samaria, ha fatto un appello perché chi sa qualcosa delle organizzazioni eversive (che in un anno hanno ucciso nove arabi con agguati notturni e ne hanno ferito dozzine) vada diritto alla polizia a denunciarle; i rabbini, anche quelli ufficiali degli insediamenti, hanno fatto decine di statement contro il terrorismo, e Sela Tor li considera (mi ha detto) dei traditori, neppure dei rabbini veri. Quanto all'esercito, in base alle informazioni collezionate e a un colloquio degli psicologi con la recluta, ha deciso che Tor doveva restarsene a casa. Non ha mai servito Tzahal. Infine tutta la vita di Sela, che ha 22 anni, è totalmente avulsa dal contesto sociale. Sembra, con la kippà e il tallit a colori, un figlio dei fiori e di fatto ama la natura sopra ogni cosa, fa il falegname, è un no global della Torah. Ha già tre bambine, è figlio di una famiglia in cui il padre e uno dei suoi otto fratelli hanno avuto a che fare con la polizia per episodi di estremismo antiarabo, dichiara di non sentire la radio, di non leggere i giornali, di parlare solamente con «Lui». Nell'esercito il colpo definitivo per cui è stato riformato venne dato dal fatto che quando gli chiesero se sentiva le voci, rispose «ancora no, ma spero di sentirle presto, con l'aiuto di Dio». Adesso, veniamo a Abu Amad, come mi disse di chiamarsi un uomo di trentacinque anni che ho incontrato sul cancello della polizia preventiva di Betlemme, lo scorso 2 luglio, nel giorno dello sgombero israeliano della città e quindi della sua presa di possesso da parte della polizia comandata da un capo molto rispettato, Abu Jihad. Abu Amad ci è apparso pallido, vestito di nero, con gli occhialini, come un vecchio studente della Sorbona, una breve barba nera, i denti radi, la parlantina bassa e roca, da fumatore. Era venuto fuori proprio in quei momenti dal nascondiglio dove era stato rintanato per quasi due anni: membro molto conosciuto delle Brigate di Al Aqsa, protagonista di azioni terroristiche contro ebrei, che si è rifiutato di specificare, era ricercato da Israele attivamente. Si era nascosto in campagna in uno spazio ristretto e scuro, vedendo solo la persona che gli portava da mangiare, senza contatti con sua moglie e i quattro figli. Per compagnia aveva una radiolina che però non poteva sentire quasi mai per paura di essere intercettato. Insomma, un pezzo grosso, con molti conti aperti: uno che per scampare la morte o l'arresto si era dovuto nascondere sul serio. Anche lui pensa che gli ebrei devono semplicemente andarsene dalla sua terra, e che se muoiono - donne, bambini, tutti quanti - non c'è proprio niente di male, è la giusta lotta del popolo palestinese per la sua terra. Ma l'accoglienza sociale di questo suo modo di vedere, è tutta un'altra cosa rispetto a quella di Sela. Abu Amad è corso davanti alla polizia nel primo momento della sua libertà (dovuta all'uscita delle truppe israeliane) senza temerne per un attimo le conseguenze, anche se allora la road map ancora prometteva l'arresto dei terroristi, perché quella è casa sua: «Ero un ufficiale della polizia preventiva». E anche un membro delle Brigate di Al Aqsa? Sì, tutte e due le cose, e anche adesso non esclude di potere continuare sulla stessa strada. Ma più delle parole, possono i fatti: i poliziotti in divisa, un minuto dopo che il capo della polizia stessa ha dichiarato che adesso saranno i suoi uomini a occuparsi dei terroristi, fanno a gara nell'abbracciare il redivivo, è uno di loro che torna fra loro, il consenso è totale, l'affettuosità senza ombre. Sono baci, sorrisi, pacche sulle spalle, strette di mano. Uno studio recente spiega che nella società palestinese i terroristi non hanno nessuna caratteristica particolare né di emarginazione, né di ignoranza, né di fanatismo... È un atteggiamento semplicemente di main stream, un comportamento qualificato socialmente, con una quantità di ricompense nell'opinione pubblica, e talora anche nella pratica. Ho visto Abu Amad circondato dal consenso; Sela Tor, circondato dal dissenso. Abu Amar, pronto a rientrare nella polizia. Sela Tor, pronto a essere di nuovo beccato dalla polizia. Abu Amad fedele alle sue istituzioni, ad Arafat, cui mi ha dichiarato di essere fedele in primo luogo, alla polizia, in cambio di una totale legittimazione. Sela Tor, un misfit che nemmeno i suoi vicini di Hebron vogliono vicino, anche se non è mai stato condannato per terrorismo, arrabbiato col suo primo ministro, il suo esercito, la sua polizia, i suoi rabbini che lo delegittimano. Israele odia il terrorismo, e invece un grande mondo di estremismo islamico-nazionalista lo ama, quasi senza accorgersene, come fosse un fatto naturale. Questa è una differenza colossale, la differenza che è frapposta, come un mare, fra due mondi. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de La Stampa. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.